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Yakuza

Dal bellissimo sito Rising Sun Page traggo questa relazione sulla yakuza.


Sebbene non ci sia una data di nascita precisa, si possono tracciare le radici della yakuza nel 1612, quando individui chiamati kabuki-mono (letteralmente, “i pazzi”) cominciarono a “farsi notare” dai funzionari giapponesi. Non si vede come avrebbero potuto passare inosservati, coi loro vestiti e acconciature fuori dal normale, il loro atteggiamento di tracotanza, e il fatto che portassero la katana lunga (solo i samurai erano ufficialmente autorizzati). Terrorizzavano la gente per il semplice divertimento, arrivando anche all’omicidio, sempre per futili motivi. Si aggregavano in bande e parlavano in un loro specialissmo slang. Già allora, una caratteristica importante era l’assoluta fedeltà ai componenti del proprio gruppo.



I kabuki-mono erano in realtà ex servitori dello shogun (erano infatti chiamati anche hatamoto-yakko). Durante lo shogunato dei Tokugawa le guerre inter-clan finalmente cessarono, e 500.000 samurai persero il loro impiego, in poche parole! Divennero in questo modo dei ronin: molti di loro si riciclarono come delinquenti, abbandonandosi a saccheggi in tutto il Giappone.
Per difendersi da queste bande, i villaggi organizzavano gruppi di vigilantes, i machi-yokko (”servitori della città”) che spesso e volentieri riuscivano a battere sul campo i ronin. Questi gruppi di autodifesa erano costituiti da impiegati, negozianti, locandieri e anche altri ronin. Ognuno di essi era un esperto giocatore d’azzardo e questa comune carateristica li aiutò a formare strette relazioni personali, un po’ come l’odierna yakuza. Proprio questa gente, da protettori di villaggi, si sono trasformati col tempo come gli oppressori! Abbastanza divertente, se non fosse per quelli che dovevano subire il pizzo ed altre amenità.


Il gioco d’azzardo è stata la prima fonte di introiti della nascente yakuza, i “servitori della città” si associarono ben presto ai bakuto. Essi erano speciali figure istituite dal governo durante l’era Tokugawa per giocare d’azzardo (e naturalmente vincere!) con operai del settore edilizio e dell’irrigazione. Il fine era ovviamente quello di recuperare – in un modo abbastanza contorto – i sostanziosi salari che il governo doveva corrispondere agli operai. A un gioco con le carte molto popolare dei bakuto si deve anche il nome stesso yakuza. L’hanafuda era simile al blackjack: ad ogni giocatore venivano distribuite 3 carte, il cui valore andava sommato assieme. L’ultima cifra del numero risultante era quella determinante: ad esempio, la peggior giocata era 20, in quanto la mano in realtà valeva zero. La combinazione era 8-9-3, ovvero ya-ku-sa (ecco il nome!), e stava a indicare un qualcosa di ovvia inutilità. Questo nome venne ben presto affibbiato ai bakuto, che, in definitiva, erano figure prettamente inutili della società.
Le usanze di questi gentiluomini sono state alla base di 2 tradizioni molto famose: il taglio delle dita e i tatuaggi. La pratica del taglio delle falangi, yubitsume, era posta in essere per fare ammenda di un qualche errore. Durante una rigorosa cerimonia chi aveva sbagliato si tagliava la prima falange del mignolo, indebolendo la mano e impedendo al bakuto di poter impugnare la propria spada con la stessa fermezza di prima. Ulteriori infrazioni significavano naturalmente ulteriori mutilazioni (anche se dopo la prima, la gente era MOOOLTO più attenta!). Lo yubitsume era anche usato come ultimo avvertimento prima dell’espulsione dalla yakuza. I tatuaggi fungevano, almeno in origine, come le tacche sui fucili da caccia: attorno al braccio correva un cerchio nero per ogni crimine commesso. Con l’andare del tempo finirono per diventare una specie di test di resistenza, in quanto per completare un tatuaggio sulla schiena occorrevano centinaia di ore di lavoro – senza i moderni strumenti di adesso!
Assieme ai bakuto, la yakuza poteva contare su altre figure, chiamate tekiya (una sorta di spacciatori da strada) e gurentai (teppista). Da notare che questi termini sono tutt’ora usati per descrivere i membri della yakuza: eeeh, cosa non si fa per mantenere vive le tradizioni! Tutte queste persone provenivano da uno stesso background culturale: poveri, diseredati, delinquenti e disadattati. Ognuno di essi si “faceva il nido” in una particolare area geografica: i bakuto rimanevano lungo le vie principali e all’interno delle città, mentre i tekiya operavano nei mercati e fiere in giro per il Giappone.
Fu in questo stesso periodo che l’organizzazione interna assunse la relazione padre/figlio, ovvero oyabun-kobun: l’oyabun dava aiuto, consigli e protezione, mentre il kobun gli giurava assoluta fedeltà e doveva essere sempre pronto a servirlo. Furono anche stabilite le regole del rito di iniziazione: chi stava entrando nella famiglia mafiosa beveva una coppa di sake, di fronte ad un altare shintoista. La quantità di sake presente nel recipiente era direttamente proporzionale all’importanza che il soggetto avrebbe avuto.

L’abdicazione dell’ultimo shogun dei Tokugawa nel 1867, e la parallela ripresa del potere dell’Imperatore (in questo caso, Meiji), significarono per il Giappone la rinascita sotto molti aspetti, da quello economico a quello politico. Quest’era di rapidi cambiamenti sfidò la capacità della yakuza di adattarsi alla società: una sfida che, malauguratamente, seppe vincere. Furono reclutati operai edili e dei cantieri navali, tra gli altri (in pochi anni, quasi dal nulla, il Giappone si trasformò da società agricola a industriale); la yakuza finì per controllare anche il business dei risciò. Per contro, le tradizionali attività di gioco d’azzardo dei bakuto dovettero essere ancorà più nascoste, dati i raid sempre più numerosi della polizia. I tekiya, invece, continuarono a prosperare ed arrichirsi dato che, almeno in apparenza, le loro attività erano legali.
Per proteggere i loto interessi, gli oyabun cominciarono ad “occuparsi” di certi politici; il primo e più evidente effetto fu quello di ottenere, se non proprio la legittimazione dei loro affari, un’ampia libertà di azione al riparo da fastidiose investigazioni. Anche il governo ottenne qualcosa in cambio: usò la yakuza per aiutare gli ultranazionalisti, il cui potere era in piena ascesa. Furono create numerose sette segrete, dotate di addestramento e equipaggiamenti militari, particolarmente attive sui fronti dell’assassinio e del ricatto. Questo regno del terrore stile giapponese durò ben addentro agli anni 30 del 1900, culminando con numerosi colpi di stato, 2 assassini di altrettanti primi ministri, attacchi a industriali… Come se non bastasse, la yakuza mise a disposizione una numerosa “forza lavoro” nello “sviluppo” delle terre conquistate della Manchuria e della Cina. Le cose cambiarono un bel po’ allo scoppio della 2° GM: il governo non aveva più bisogno della yakuza, e mise in galera molti suoi esponenti.

Le forze d’occupazione americane individuarono nella yakuza una grave minaccia per lo svolgimento del loro lavoro, e così cominciarono un’approfondita inchiesta sulle sue attività. Purtroppo (non si sa come…) queste indagini furono interrotte nel 1948 in quanto si ritenne la minaccia mafiosa svanita o comunque molto attenuata. Ben lungi dall’essere vero, la yakuza mise le mani sul lucrosissimo mercato nero degli alimenti, inevitabile conseguenza del razionamento imposto proprio dagli americani. Le cose erano facilitate anche dal fatto che i poliziotti giravano disarmati….

Come scritto all’inizio, fu in questo periodo che un nuovo tipo di affiliati nacque: i gurentai. Indirettamente favoriti anche dalle forze alleate e dal vuoto di potere risultante l’aver spazzato via la vecchia classe dirigente, essi presero le redini del mercato nero, usando spesso e volentieri estorsioni, intimidazioni varie e pestaggi. Come alle origini della yakuza, i gurentai erano i reietti della società. Purtroppo, quel che rimaneva del governo si appoggiò ancora una volta alla yakuza per controllare il lavoro degli immigrati koreani (legittimando per l’ennesima volta l’operato della yakuza).
Le forze d’occupazione si accorsero che la yakuza era ben organizzata e operante a pieno regime, sotto la protezione di “non meglio identificati” alti esponenti governativi giapponesi. La cosa era talmente fuori dal controllo che nel 1950 gli americani ammisero che non era possibile eradicare la criminalità organizzata, lasciando in tal modo la popolazione esposta a qualsiasi crimine. Quasi come in diretta risposta, il comportamento della yakuza divenne sempre più violento, sia a livello di singolo affiliato, che globalmente. Le katane erano un ricordo del passato, sostituite dalle pistole. Con esse i criminali si misero a rapinare e terrorizzare anche le persone comune, non più membri di clan rivali.
Tra il 1958 e il 1963 i membri della yakuza crebbero del 150%, portandosi a quota 184.000, più della Jeitai (Forze di Autodifesa), per fare un paragone. Si divisero il circa 5.200 gang, operanti su tutto il territorio. Un così alto numero di famiglie non poteva non portare ad una guerra, come regolarmente accadde.

Le guerre non fanno bene agli affari, oltre a portare l’indesiderata attenzione dei media; questo dovette pensare Yoshio Kodama, che alla fine della sua opera di mediazione riuscì a ristabilire una pace tra le famiglie. In galera per tutta la prima parte dell’occupazione americana, Kodama si trovava in buona compagnia: ministri, militari e ultranazionalisti. Lui stesso apparteneva a quest’ultimo gruppo, facendo parte del Kenkoku-kai (Associazione delle fondamenta della Nazione). Tra gli anni ‘30 e ‘40 lavorò come agente segreto per il governo, girando l’Estremo Oriente. La sua carriera fu così rapida che, verso la fine della guerra, a soli 34 anni ottenne il grado di rear admiral (equivalente al nostro ammiraglio di divisione), fungendo anche da consigliere del primo ministro. Sebbene le forze d’occupazione individuarono nel suo fanatismo un elemento di forte preoccupazione, la loro sezione G2 dell’intelligence strinse un accordo con questo bel tomo, facendolo lavorare come tramite tra di loro e la yakuza.
Come accennato, i primi anni ‘60 videro una serie ininterrotta di guerre tra gang, e Kodama si attivò per creare invece una super-coalizione tra le famiglie. Usando le sue vaste conoscenze, riuscì ad assicurare una tregua tra Kazuo Taoka, oyabun del Yamaguchi-gumi, e Hisayuki Machii, un boss koreano a capo della famiglia Tosei-kai. Non contento di ciò, continuò ad usare la sua influenza per mediare le posizioni tra l’Inagawa-kai e i loro alleati nel Kanto e gli Yamaguchi-gumi stessi. Alla fine queste improduttive guerre cessarono, facendo assurgere Kodama ad una specie di italico-nipponico ruolo di Padrino.

Tutti sappiamo come appoggi politici (più o meno spontanei) siano basilari per il prosperare di attività criminose, e il Giappone non ha fatto eccezione. Un episodio, apparentemente insignificante, portò a scoprire come l’elezione del 1987 di Noboru Takeshita a primo ministro fosse stata aiutata dalla yakuza.
Durante un comizio di propaganda, un gruppo di persone stava suonando delle trombe per protestare contro Takeshita, ma fu ben presto zittito da un altro gruppo di individui. Questi, si scoprì, erano membri di una gang di Kyoto appartenente alla famiglia Inagawa-kai, inviati su richiesta di un imprenditore amico del politico. Questo businessman versava in gravi difficoltà, e voleva a tutti i costi che Takeshita fosse eletto senza alcun problema, siccome lo avrebbe salvato dalla bancarotta. Come potava esserne certo? Beh, semplice: gli aveva pagato 500 milioni di yen! In quanto all’oyabun che acconsentì di inviare alcuni uomini, il suo tornaconto si scoprì presto: avrebbe ricattato il futuro primo ministro. Non sarebbe stata certamente una bella cosa sapere che nella sua elezione c’era stato l’elemento “propiziatore” degli yakuza!! Takeshita, capo del Partito Liberal Democratico (una specie di DC nipponica) fu costretto a dimettersi nel 1992, ma ammise solo di aver ricevuto la tangente da parte dell’imprenditore. Che cosa abbia fatto poi per il boss della yakuza nessuno lo sa… Nessuno che abbia voglia di rimanere tra i vivi, intendo.

Per dare una prima idea di come è strutturata un tipico clan yakuza, si può prendere l’organigramma del Yamaguchi-gumi, fino a pochi anni fa una delle più potenti famiglie in Giappone. Al vertice c’è ovviamente l’oyabun, chiamato anche kumicho (boss supremo). Fino alla sua morte nel 1981, l’oyabun era Kazuo Taoka; ai suoi funerali parteciparono 200 gang affiliate, attori, cantanti, musicisti (e numerosi poliziotti in assetto antiguerriglia), a riprova di quanto la yakuza potesse operare alla luce del sole.
Questa rete di appoggi è difficilmente comprensibile per noi occidentali. I clan disponevano di regolari rappresentanze nelle varie città, delle specie di ambasciate, e nessuno diceva niente! Ad esempio, nel 1980 la Yamaguchi-gumi tentò di aprire i propri uffici nella città di Sapporo, ma i suoi delegati furono fermati da 800 affiliati alla gang locale e dall’accoglienza non proprio calorosa preparata all’aeroporto cittadino. A impedire lo scoppio di disordini pensarono 2000 poliziotti, ma la surrealtà della situazione è evidente: come se la Camorra avesse voluto aprire un ufficio a Palermo (magari con tanto di insegna al neon), ma la Mafia si fosse opposta con una manifestazione di piazza!! Boh, chi ci capisce qualcosa è bravo.
Attorno all’oyabun nella gestione degli affari c’è una vasta fauna di gentiluomini dai poetici nomi: saiko komon (consiglieri anziani), shingiin (consulenti), kumicho hisho (i segretari del boss), wakagashira (il secondo in comando), che ha a disposizione a sua volta dei wakagashira-hosa (sottoposti). In terza posizione troviamo il shateigashira, per poi giungere ai shatei (letteralmente, i “giovani fratelli”: i senior boss), i wakashu (”giovani uomini”: i junior boss) e ai kaikei (i contabili).
I ragionieri sono molto importanti in quanto il giro d’affari di una “normale” famiglia della yakuza è impressionante, per non parlare poi della Yamaguchi-gumi, uno dei pesci grossi. I suoi boss generavano un giro d’affari annuo di circa 460 milioni di US$ (ai valori nel 1991), controllando oltre 2.500 uomini d’affari, il gioco d’azzardo e lo strozzinaggio, investendo i sudati guadagni in attività sportive e altre forme di intrattenimento. Era un mestiere rischioso, ma ognuno dei suoi 103 boss si intascava ogni anno 130.000 US$, esentasse ovviamente!
Alle tradizionali fonti di reddito vennero aggiunte lo smercio di droga (principalmente anfetamine), il riciclaggio di denaro, contrabbando, pornografia e prostituzione. Falsare partite di baseball, corse di cavalli e aste pubbliche erano piacevo diversivi; l’impadronirsi di beni immobili, ospedali e addirittura di scuole di Inglese era perfettamente normale per la Yamaguchi-gumi.
Un tale giro d’affari era generato da una struttura imponente: Yamaguchi-gumi poteva contare su 13.346 membri divisi in 587 gang, alla fine del 1983 e il loro controllo si estendeva su 36 delle 47 prefetture giapponesi. Al vertice della piramide vi era un consiglio degli 8 maggiori boss, sotto la presidenza di Fumiko Taoka, moglie del defunto Kazuo Taoka (vedi “Yamaguchi-gumi”). Comunque un “vero” boss dovette essere eletto: scartando l’”intellettuale” Hiroshi Yamamoto, individuarono in Masahisa Takenaka l’uomo giusto.

Per Yamaguchi-gumi fu un grossissimo errore – col senno di poi – perchè Yamamoto non la prese affatto bene: fondò con ex-affiliati della Yamaguchi-gumi una sua famiglia, chiamata Ichiwa-kai. Nel 1985 Yamamoto fece uccidere Takenaka (evidentemente la sua mancata elezione a oyabun gli aveva dato un grosso fastidio!), scatenando l’inevitabile guerra. Il nuovo boss della Yamaguchi-gumi dichiarò guerra a sua volta, ma la polizia, durante molti raid, confiscò numerose armi e arrestò un gran numero di affiliati. Per trovare nuovi equipaggiamenti, Yamaguchi-gumi spostò parte degli affari negli Stati Uniti, dove ottenne nuovi armamenti (perfino lanciagranate) in cambio di droga.
Nemmeno questa mossa servì a molto, in quanto la polizia statunitense arrestò il fratello del penultimo oyabun, tale Masashi Takenaka, e l’amministratore finanziario della famiglia, Hideomi Oda: Yamaguchi-gumi era ancora una volta col… sedere per terra, per usare una metafora!

A complicare ulteriormente la vita delle famiglie mafiose, il 1° Marzo 1992 FINALMENTE il governo giapponese emanò la “Legge per la repressione delle attività illegali dei boryokudan (membri della yakuza, o criminali in senso lato)”. Con questo atto si assegnava al termine boryokudan il significato di un gruppo di persone con più di una certa percentuale di membri aventi precedenti penali. Si identificavano inoltre le organizzazioni con tendenze criminali o comunque violente. La legge impediva ai boryokudan di godere dei profitti derivanti da attività fino ad allora escluse dal concetto di “illegali”.
La yakuza, in genere, non si scompose, mettendo in atto diverse manovre per annullare questa legge. La prima, e più ovvia, fu quella di dotarsi di prestanome per le proprie attivitò, tipo uomini d’affari al di sopra di ogni sospetto. Fu addirittura edito un libro intitolato “Come eludere la legge”, distribuito ai membri della Yamaguchi-gumi. L’effetto fu di iscrivere le 77 gang che appartenevano a questa famiglia come organizzazioni religiose o imprese commerciali.
Pochissimi giorni dopo l’approvazione della legge, le mogli e le figlie degli yakuza inscenarono un corteo di protesta nel centralissimo e famosissimo quartiere Ginza, a Tokyo. Il mese successivo, alcuni oyabun asserirono che in realtà loro non facevano male a nessuno, essendo il loro codice di comportamento dedito alla protezione dei membri più deboli della famiglia. Come beffarda smentita, un gruppo di yakuza accoltellarono il regista Itami Juzo perchè stava girando il film contro la yakuza “Minbo no Onna” (”Una donna contro la yakuza”). Un boryokudan “disertore” commentò in televisione l’accaduto e fu gambizzato.

Sembra che per la yakuza i tempi in patria siano diventati duri, in quanto le nuove misure e la “piaga” – dal punto di vista della yakuza, ovvio! – dei pentiti stanno sortendo il loro effetto. Questo però ha portato allo spostamento delle attività dal Giappone agli Stati Uniti, dove le indagini dell’FBI sono ostacolate da un curioso aspetto legislativo: non è illegale il riciclaggio del denaro in Giappone. Si può comprendere come rintracciare il flusso di denaro verso la madrepatria sia pressochè impossibile.



L’esistenza della Yakuza è nota al pubbilico, ed i membri di questa organizzazione non hanno problemi ad ostentare tale appartenenza, infatti, un segno distintivo dei membri di questi gruppi sono i grandi tatuaggi che tutti gli affiliati si fanno eseguire ma usualmente nascondono. L’associazione tra tatuaggi e Yakuza in Giappone è tale che questa pratica è quasi completamente sconosciuta nel resto della popolazione.

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