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INTERVENTO DEL SENATORE GIUSEPPE LUMIA ~ termine dei lavori della Commissione Parlamentare Antimafia in questa XVII legislatura

INTERVENTO DEL SENATORE GIUSEPPE LUMIA

Con il termine dei lavori della Commissione Parlamentare Antimafia in questa XVII legislatura si chiude sostanzialmente anche un ciclo di un lungo cammino della stessa Commissione Parlamentare Antimafia e, per molti versi, della stessa
Antimafia in generale.

I risultati sono stati molteplici. La Commissione Antimafia è stata un fondamentale punto di riferimento per molte istituzioni: dal Parlamento ai vari livelli di governo locali, regionali e nazionali;  dalla stessa magistratura,  organizzata in particolare nelle varie DDA territoriali  e nella Procura Nazionale Antimafia,  alle varie forze di polizia, specializzate e attive nella lotta alle  mafie;  dai  diversi movimenti nazionali e locali della società  civile che contrastano potentissime mafie nei territori del nostro Paese al grande lavoro educativo e culturale delle Scuole e delle Università italiane; dal mondo dell’informazione che da anni promuove inchieste e informa del sistema delle mafie e delle sue collusioni ai tanti cittadini onesti che scelgono la strada della testimonianza e della denuncia a rischio della propria vita.

Con l’approvazione di diverse leggi, della legge sui testimoni di giustizia in chiusura di legislatura e soprattutto con il varo della legge "madre" del codice Antimafia, si è riusciti a raggiungere un livello di conoscenza e di elaborazione che poche istituzioni hanno mai raggiunto in Italia, in Europa e nel contesto delle democrazie avanzate.

Naturalmente non è stato un cammino lineare; spesso è stato contrassegnato da luci e ombre, alti e bassi, momenti più felici ed altri un po’ più contraddittori ed opachi.

Dalla nascita della Commissione Parlamentare Antimafia nel 1962 ad oggi diverse generazioni di esponenti politici si sono dovute confrontare con il cosiddetto negazionismo che occultava ostinatamente la presenza delle mafie sino a quando nel 1976 al termine della VI Legislatura, con una relazione di maggioranza e soprattutto con quella di minoranza su cui lavorò principalmente Pio La Torre, viene abbattuto il muro del "negazionismo" ed è emerso il profilo di una mafia potente e violenta, radicatissima nei territori e soprattutto collusiva con la politica, le istituzioni, l’economia.

Le stagioni successive hanno impegnato la Commissione Parlamentare Antimafia ad abbattere un altro  muro, forse più insidioso, quello "minimalista" che, parente del negazionismo, cerca di svilirne la portata e la minaccia che da sempre ha accompagnato la vita del nostro Paese ed ha tentato di svuotare gli stessi successi e il cammino democratico con una presenza inquietante che si snoda lungo le varie tappe che dall’unità d’Italia ci hanno portato alla seconda guerra mondiale, dalla strage di Portella delle ginestre del 1947 alla strage dei sindacalisti durante un lungo tratto del secondo dopoguerra, proseguendo con l’abbattimento fisico di alcune tra le migliori intelligenze politiche con in testa gli omicidi Impastato nel 1978 - Mattarella nel 1980  -  La Torre nel 1982 fino alle stragi del ’92 – ’93 che chiudono un rapporto mafia - istituzioni nella prima Repubblica e aprono nuovi canali di collusione con la nascente seconda Repubblica.

Gli anni della seconda Repubblica sono stati anni convulsi in cui non si è riusciti sempre a dare costanza e sistematicità al lavoro della Commissione antimafia nella lotta soprattutto al rapporto mafia – politica – economia. Spesso si è dovuto fare un lavoro di difesa e di resistenza nei confronti della migliore legislazione antimafia e degli stessi risultati ottenuti sul versante repressivo - giudiziario. In questo frangente momenti alti comunque sono stati toccati come, ad esempio, quando la Commissione  sul caso Impastato,  per la prima volta nella storia italiana, ha saputo dimostrare con dovizia di particolari il depistaggio e le responsabilità istituzionali intorno ad un omicidio che si colloca ad un crocevia di svolta di cosa nostra, guidata dal vecchio gruppo Bontade - Inzerillo - Badalamenti, verso il dominio dei Corleonesi così come  anche il lavoro sull' ascesa travolgente della ‘ndrangheta, sull'emergere della mafia dei Casalesi, sull'espansione delle mafie al Nord, in Europa e nel contesto internazionale segnano diversi importanti e significativi contributi della Commissione Parlamentare Antimafia.

Anche in questa legislatura il lavoro è stato intenso, per molti versi dirompente, carico di risultati che la mole della relazione finale testimonia, un lavoro da apprezzare e da condividere unanimemente con una particolare inchiesta, che penso potrà costituire un punto di svolta per il lavoro dei prossimi anni, sul rapporto mafia-massoneria, un lavoro coraggioso e rischioso per la nostra Presidente e per chi in Commissione si è esposto pubblicamente a sostegno di questa importante attività contro un lato oscuro di una massoneria che non ha mai fatto i conti  con la presenza interna delle mafie e su quelle relazioni di potere dove si articolano segreti livelli organizzativi di alte collusioni, devastanti per la libertà ed il cammino democratico del nostro Paese. Altri temi affrontati in Commissione hanno aperto piste di inchiesta che dovranno essere sviluppati successivamente. Innanzitutto l'attenzione nei confronti della mafia dei Nebrodi, una cosa nostra pericolosissima e nello stesso tempo ricca e affaristica. Ecco perchè ho più volte rimarcato l'idea che va definita come "mafia dei terreni" piuttosto che come "mafia dei pascoli", per evitare il rischio di scadere in una lettura consolatoria e minimalista, trascurando invece la portata innovativa del Protocollo Antoci e lo stesso rischio di vita a cui è andato incontro il Presidente Antoci, per aver sfidato e condiviso una strategia di attacco nei confronti di boss mai colpiti prima sul piano delle frodi pubbliche e comunitarie. Anche sulla stessa attenzione al tema del gioco d'azzardo si aprono piste di indagine ancora da sviluppare, alla luce anche di quanto emerso di recente nell'inchiesta della Procura di Palermo. Un altro lavoro da sottolineare è quello sul rapporto calcio, ultrà e mafie, così anche sulla presenza della 'ndrangheta in Emilia Romagna, con i livelli di potere coinvolti come scaturisce dal processo Aemilia. Stesso ragionamento vale per la presenza mafiosa ad Ostia che per anni è stata sottovalutata, usata e tollerata. Deve inoltre essere sottolineato il lavoro sulla gestione dei beni sequestrati e confiscati che deve essere realmente trasparente e diretto efficacemente a fini sociali, occupazionali e produttivi.  Sono tutti temi che testimoniano la possibilità che la Commissione Antimafia ha di affrontare problemi spinosi e di guidare un impegno antimafia coraggioso e costruttivo. Stesso ragionamento vale per quattro questioni che la Commissione Antimafia ha affrontato e che mi stanno particolarmente a cuore: il caso Mico Geraci, il caso Attilio Manca, che meriterebbero una relazione a parte, la presenza delle mafie in Europa e nel mondo, con un'attenzione particolare per quanto sta avvenendo in Canada dentro la galassia del clan Rizzuto e della 'ndrangheta di Siderno e l'inchiesta sul famoso quadro del Caravaggio. Anche su queste importanti inchieste la Commissione è chiamata a tenere alta l'attenzione sia delle forze dell'ordine e della magistratura, sia nella sua futura attività, nella prossima legislatura.

Nella verifica della chiusura di questo lungo ciclo fatto di inchieste e di tanti successi manca all’appuntamento un lavoro sistematico e profondo intorno alle stragi ’92-’93, alla cosiddetta trattativa, a quei passaggi decisivi del rapporto mafia - politica - istituzioni della fine della prima Repubblica e della nascita della seconda Repubblica. Un biennio tragico, una ferita ancora aperta  che continua a sanguinare su cui solo una istituzione autorevole come la Commissione Parlamentare Antimafia avrebbe potuto far luce anche sulle più terribili e amare verità intorno alle responsabilità politiche ed istituzionali che hanno consegnato al nostro Paese un dato certo: le mafie ci sono e rimangono potenti, condizionano la vita democratica, soprattutto nelle varie fasi di crisi, vivono di collusioni e vanno eliminate perché sono uno dei nodi principali che impediscono al nostro Paese di  sprigionare tutte le migliori energie che possono far decollare la nostra società, la nostra economia, liberare i territori da questa presenza devastante e ridare alla politica quel nobile ruolo di guida che soprattutto i giovani attendono da troppo tempo.

Penso che naturalmente la Commissione abbia già accumulato diversi documenti e in diverse legislature abbia solo sfiorato l’argomento.  Nella scorsa legislatura è stato solo iniziato un certo lavoro e in conclusione vennero espressi diversi e divergenti punti di vista sulle stragi del ’92-’93. Io stesso consegnai una sorta di nota di "minoranza" in cui ponevo all’attenzione della Commissione spunti critici e filoni di inchiesta da aprire, dall'attentato dell'Addaura al biennio stragista, punti che rimangono ancora attuali e inevasi.

Sulle stragi la Commissione Parlamentare Antimafia potrebbe procedere sia acquisendo tutta una serie di documentazioni che ancora mancano al suo già copioso archivio, sia sviscerando tutta una serie di questioni che meritano un'inchiesta che utilizza tutti i poteri della Commissione, come quelli già usati sul Caso Impastato e su Mafia e Massoneria, spingendosi anche all'acquisizione diretta degli archivi dei servizi di sicurezza e di tutti gli apparati di Polizia che hanno lavorato a vario titolo e in diversi momenti sulle stragi. Alcune questioni le ho già evidenziate nella già richiamata "nota di minoranza" che ho presentato in Commissione e contenuto nel documento finale del 2013 e che ripropongo per intero all'attenzione anche di questa Commissione.

Per continuare su questa scia, indico di seguito altre dieci tematiche meritevoli di concrete iniziative per l'acquisizione di atti - giudiziari e non - in questa fase finale della legislatura e che nello stesso tempo aprono piste di inchiesta per la prossima Commissione, qualora venisse messa nelle condizioni politiche e legislative di “affondare il colpo” e procedere in modo sistematico.

1) Strage dell'Addaura. E' noto che per la vicenda dell'attentato ordito sulla scogliera dell'Addaura nel 1989 ha proceduto l'AG di Caltanissetta, competente ex art. 11 cpp. I fascicoli integrali delle indagini preliminari e tutti i verbali delle fasi dibattimentali meritano di entrare a far parte del patrimonio documentale della Commissione. Ritengo però opportuno richiedere formalmente alla Procura di Caltanissetta la copia integrale anche degli atti comunque pertinenti alla vicenda dell'Addaura, compresi quelli oggetto di stralcio e/o di ulteriori iscrizioni contro indagati noti e ignoti, nonché tutte le dichiarazioni nel tempo acquisite dai collaboratori di giustizia sulla vicenda. Altrettanto dicasi, per la Procura di Palermo, con riferimento alle acquisizioni investigative riferibili all'omicidio Agostino - Castelluccio e all'omicidio Piazza, considerati i notori collegamenti tra i fatti, sintomaticamente emersi fin dalla prima fase istruttoria della strage. Il filone di indagine deve seguire il cammino che lo stesso Falcone propose quando indicò la traccia di lettura dell'attentato: "le menti raffinatissime", protagoniste di tale decisione. Così si può dipanare un lavoro di inchiesta capace di scavare su cosa nostra e le sue dinamiche interne ed i collegamenti con gli apparati e le forze di Polizia e della stessa magistratura, indagando anche le devastanti delegittimazioni che si svilupparono anche all'interno della stessa antimafia, quando si teorizzò e si diffuse l'idea che fu una sorta di messa in scena architettata dallo stesso Falcone. Chi ispirò tale lettura? Perchè fu fatta propria da settori in voga dell'Antimafia? La Commissione deve valutare anche la portata negativa di un eventuale abbandono dell'indagine giudiziaria necessitata da una probabile prescrizione dei reati al fine di comprendere quali interventi legislativi possano impedire tale infausto evento.

2) Stragi di Capaci e di via D'Amelio. Ritengo necessario procedere all'integrale acquisizione degli atti processuali, con le stesse modalità di cui sopra, nonché di copia integrale degli atti del cd Gruppo investigativo Falcone-Borsellino. E' necessario avere un quadro sinottico e tematico di tutta la documentazione processuale in modo da comprendere incongruenze, contraddizioni, sottovalutazioni e piste nuove da sviluppare.

3) Strage di Capaci: le acquisizioni peritali sulla composizione dell'esplosivo.
Risulta di grande utilità disporre di una completa raccolta delle consulenze e delle perizie sulla natura e sulla composizione dell'esplosivo, anche al fine di apprezzare la significatività della presenza di residui di pentrite. Siffatto materiale potrà costituire la base per ulteriori approfondimenti, pure di natura comparativistica. Un lavoro da sviscerare con attenzione perchè potrebbe fornire interessanti spunti di inchiesta sui contatti tra cosa nostra e ambienti degli apparati e dell'eversione come è dimostrato infatti dal coinvolgimento sia della famiglia mafiosa di Mistretta, dei Rampulla, sia dai Barcellonesi di Messina, con in testa personaggi del calibro di Cattafi,  famiglie mafiose molto vicine ai servizi e ad aree eversive.

4)Strage di Capaci: la formazione degli identikit. La Commissione ha ormai compiuta contezza della circostanza che vennero formati vari identikit di persone notate in autostrada, sulla verticale del famoso cunicolo, intente ad attività mai chiarite o giustificate. Si pensi alle circostanziate dichiarazioni rese dall'ing. Naselli, che condussero alla formazione di identikit che, nell'immediatezza dei fatti, produssero addirittura specifiche iniziative della divisione della Polizia di prevenzione specializzata nel contrasto al terrorismo di destra. Siffatti elementi conservano straordinario interesse, soprattutto perché non ancora oggetto di uno studio complessivo e sistematico. Conseguentemente appare necessario che la Commissione acquisisca, debitamente indicizzate, tutte le evidenze agli atti della Direzione centrale della Polizia di prevenzione, comunque riferibili alla strage di Capaci e di possibili ruoli di soggetti legati ad ambienti terroristici, nonché dalla Questura di Palermo, un elaborato di analisi dei dati e delle notizie che consentirono la formazione degli identikit (con particolare riguardo all'identikit relativo alla persona individuata da Naselli in Santino Di Matteo, come risulta dall'apposita relazione formata dal commissario Di Legami).

5)Strage di via D'Amelio: la pista del telecomando Telcoma. Appare utile che la Commissione acquisisca ogni atto relativo agli accertamenti nei confronti di tali germani di Di Stefano, operatori nel campo della componentistica elettronica, con impresa corrente in Mascalucia, oggetto di indagini da parte delle procure di Catania e di Caltanissetta. Il tutto sia in riferimento alle prime indagini sia in riferimento alle successive attività di impulso della DNA (da parte dei PNA Vigna e Grasso). La Commissione acquisirà dalle Direzioni centrali della Polizia criminale e della Polizia di prevenzione ogni evidenza riconducibile all'impresa costruttrice di telecomandi TELCOMA, con specifico riferimento alle reti di commercializzazione dei suoi prodotti nel 1992. A tal Fine la DCPP trasmetterà ogni atto utile a verificare i punti di contatto tra la rete di commercializzazione dei prodotti Telcoma e i fornitori della componentistica elettronica impiegata nella strage del rapido 904 (vicenda Sciaudinn).

6) Strage di Capaci e Strage di via D'Amelio: i telefoni clonati. La Commissione acquisirà dalla Direzione Centrale della Polizia di prevenzione un rapporto di analisi, corredato da tutta la documentazione pertinente utile a conoscere le vicende delle indagini sulla circolazione di telefonia clonata all'epoca delle stragi e a verificare se nei circuiti della clonazione della telefonia portatile siano stati coinvolti personaggi legati ad ambienti della destra eversiva.

7) Strage di Capaci: la presenza di soggetti esterni nella scelta del sito e nella fase preparatroria. La Commissione acquisirà dalla Direzione centrale della Polizia Criminale tutti gli atti riferibili alle dichiarazioni del 2015 al quotidiano La Repubblica rese dal collaboratore di giustizia Gioacchino La Barbera in ordine alla presenza di soggetti esterni alla mafia durante le fasi preparatorie della strage di Capaci.

8) Strage di Capaci e velivoli in volo sul luogo dell'attentato. La Commissione acquisirà dalla Direzione centrale della Polizia di prevenzione ogni evidenza utile ad approfondire il contenuto delle dichiarazioni che segnalarono il sorvolo del teatro della strage da parte di un velivolo non identificato.

9) Stragi del 93/94: le presenze femminili e le rivendicazioni della Falange. La Commissione acquisirà dal ROS, dalla DIA e dalla Polizia di prevenzione tutti gli atti relativi alle indagini effettuate su presenze femminili nelle stragi di via Fauro, Georgofili e via Palestro, nonché sulle rivendicazioni della Falange armata e sulla possibile identificazione degli autori delle stesse.

10) La presenza di estremisti di destra nelle vicende stragiste del 92/94. La Commissione acquisirà dal ROS, dalla DIA e dalla Polizia di prevenzione tutti gli atti relativi alle indagini effettuate su presenze di terroristi di destra nei luoghi delle stragi in epoca anteriore e prossima alla consumazione degli attentati, con particolare riferimento ai noti Rampulla e Delle Chiaie.

Solo con un'inchiesta approfondita, rigorosa e coraggiosa sulle stragi, si potrà chiudere in modo più completo un ciclo di lavoro e un altro ciclo si potrà aprire alla luce del contesto geopolitico dentro cui l’Italia dovrà stabilire e scegliere il ruolo che dovrà svolgere.

Innanzitutto, non bisognerà cadere in un errore culturale di approccio a cosa sono le mafie oggi, ai loro livelli di consenso e alla loro evoluzione. Questo errore lo si può sintetizzare così: creare una contrapposizione tra chi considera le mafie come un “male in sé” e chi le considera un “male derivato”. Una divaricazione tra queste due letture è un errore perché entrambe contengono una grande verità e i due approcci vanno posti in relazione e semmai integrati.

Le mafie sono infatti un “male in sé” perché sono un’organizzazione forte, arcaica e allo stesso tempo moderna, sistemica e formata da diversi livelli: quello militare dell'esercizio della violenza, ormai ben conosciuto e colpito ripetutamente, quello sociale e culturale che ha aperto nuove frontiere di analisi del sentire e dell’agire mafioso, quello economico e finanziario che si è iniziato appena a comprendere e a colpire e quello politico-istituzionale su cui si registra invece il più grave ritardo. Livelli questi che le mafie integrano tra di loro, scegliendo il lato che di volta in volta conviene, o per necessità o per opportunità, mettere avanti ma consapevoli che sono tutti sempre da curare per essere pronti ad agire. Non esiste, insomma, una mafia militare diversa da quella finanziaria, per citare due lati che spesso vengono erroneamente contrapposti. Essi fanno parte di un unico sistema e sottovalutarne uno è un grave rischio, per tali motivi, tutti questi lati vanno colpiti contemporaneamente, attraverso un’Antimafia nel suo complesso altrettanto integrata e capace di agire sia sul versante repressivo che su quello sociale e culturale così anche sul piano economico-finanziario e politico-istituzionale.  Così anche le mafie del “male in sé” sono globali e territoriali, dividere questi due livelli e assegnare un primato all’uno o all’altro è anche questo un grave errore da evitare. Globale e territoriale sono entrambi due tratti distintivi di una mafia che si rispetti, si veda ad esempio l’evoluzione della ‘ndrangheta e i tentativi ripetuti di rilancio presenti dentro la stessa cosa nostra, la camorra, la sacra corona unita.

Le mafie "male in sé" richiedono ancora una legislazione mirata che, con l’intuizione di Falcone, chiamiamo oggi da doppio binario: 416bis, 416ter, 41bis, DDA, DNA, sequestro e confisca, antiriciclaggio, interdittiva antimafia... Sono tutte norme fondamentali tipiche da doppio binario che non possono essere messe da parte, semmai vanno completate e soprattutto arricchite sul versante europeo e internazionale con la costituzione di una Procura europea antimafia e di una sorta di DIA europea.

Le mafie come  “male in sé” hanno una propria specificità fatta di un arcaico sistema interno di pseudo-valori come filiazione e  appartenenza  che non impedisce loro di proiettarsi nei circuiti più avanzati della modernità, così hanno saputo fare già nella storia, passando dalla mafia dei feudi a quella della speculazione edilizia, dai rapimenti e dalle sanguinose  faide interne  ai lucrosi affari della  cocaina nel caso della ‘ndrangheta, dalle estorsioni e dal controllo degli appalti al gioco d’azzardo e soprattutto al gioco finanziario, una organizzazione che mantiene un'identità arcaica e nello stesso tempo sviluppa una capacità di adeguamento all’evoluzione della società che è in grado di far sopravvivere l'organizzazione nonostante la perdita dei propri carismatici capi.

cosa nostra non è finita con Totò Riina e Bernardo Provenzano, come prima con Genco Russo e Calogero Vizzini, così non finisce la 'ndrangheta con i Piromalli, i Morabito, i Macrì, gli Alvaro, i Mancuso, gli Oppedisano, i De Stefano, così non finisce la sacra corona unita con i Rogoli, così non finiscono i casalesi con Schiavone o, più di recente, con la cattura di Iovine e di Zagaria e la camorra con Cutolo, Nuvoletta, Alfieri e più di recente con i Misso, con i Di Lauro, con i Giuliano...

Le mafie come “male in sé” si possono battere? Certamente sì. Le mafie non sono imbattibili. Si eliminano a condizione che siano aggredite su tutti i loro versanti e sui livelli territoriali e globali in modo sistemico e con una piena condivisione nella politica e con un alto consenso sociale.

A questo proposito, il vero limite dell’Antimafia non è solo nel fatto che in alcuni suoi esponenti si sono avute delle gravi cadute morali, alcune addirittura di rilevanza penale,  che la Commissione Parlamentare Antimafia di questa legislatura ha saputo individuare e denunciare, ma sul fatto, ancor più grave, che nel suo complesso il movimento antimafia non ha saputo fare sistema e si è sempre diviso e contrapposto alla ricerca di un primato: l’Antimafia sociale contro quella repressiva, quella culturale contro quella politica, quella economica contro quella finanziaria. Un conflitto che spesso si è personalizzato, fino a scadere in una lotta sterile ed inconcludente.

In sostanza, l’Antimafia deve imparare a essere plurale, nessun approccio è di per sè decisivo e "messianico", solo la cooperazione e la convergenza delle diverse esperienze e del rispetto del pluralismo possono determinare quel progettare e fare sistemico in grado di ottenere risultati vincenti.

Le mafie sono anche un “male derivato” dalle condizioni sociali, economiche e politiche, spesso caratterizzate da crisi ed involuzioni. Fino a quando avremo nelle grandi città quartieri pieni di sacche di emarginazione e disuguaglianze verrà facile alle mafie reclutare i propri killer e i propri soldati, così come la mafia delle estorsioni avrà sempre qualcuno pronto a rischiare l’arresto pur di non mollare la presa sugli operatori economici.

Insomma, senza riprendere una moderna politica dell'uguaglianza e della giustizia sociale, senza grandi investimenti nel risanamento urbano e sociale dei quartieri a rischio, difficilmente potremo sbaragliare l’esercito delle mafie ed impedire il suo continuo reclutamento. 

Le mafie come “male derivato” si nutrono inoltre di livelli di corruzione dei colletti bianchi e della stessa politica. Fino a quando avremo una Pubblica Amministrazione aggrovigliata nelle numerose forme di   intermediazione burocratica e clientelare ci si incrocerà facilmente con le intermediazioni affaristico-mafiose. La corruzione è pertanto uno dei canali in cui scorre il potere mafioso, ecco perché combatterla è decisivo per ottenere dei risultati determinanti nella lotta alle mafie.

Le mafie come “male derivato” hanno vita facile nell’evoluzione dell’economia finanziaria. Quando il denaro produce denaro, quando le transazioni finanziarie si espandono lungo la rete senza governance e senza trasparenza, è chiaro che gli interessi mafiosi si rafforzano, fanno cartello e mettono in crisi l’autonomia delle democrazie ed il valore della libera concorrenza e dei mercati.

Ecco perché governare l’economia è decisivo, governare l’economia finanziaria è ancora più decisivo, e governare la globalizzazione dell’economia è la sfida delle sfide per vincere la lotta contro le mafie e per molti versi anche quella di alcune forme di terrorismo, che su questi terreni sanno fare lauti affari e sinergie profittevoli.

La stessa Antimafia deve comprendere che separare la dimensione della legalità da quella dello sviluppo è stato un errore tragico. La legalità senza sviluppo è una mera repressione che non avrà mai il successo dovuto e rischia di diventare elitaria, estranea sia ai ceti popolari che agli operatori economici. Anche lo sviluppo senza legalità è destinato a essere sempre più nelle mani di poche lobbies corruttive e di mafie tenute in vita dalla loro borghesia professionale e finanziaria.

La legalità democratica e lo sviluppo sostenibile devono procedere insieme e devono diventare la nuova frontiera della lotta alle mafie come “male derivato”.

Naturalmente, il salto di qualità nella lotta alle mafie, sia come "male in sè" sia come "male derivato", non sarà facile se nel nostro Paese prevarrà l’instabilità perenne, la continua conflittualità politica, il conflitto sociale a somma zero, il consociativismo devastante, la segretezza e l’opacità come valore aggregativo. In sostanza, un Paese che ad esempio perde il suo ruolo guida in Europa, che si lascia interferire dalla Russia, che non sa avere un rapporto dignitoso e maturo con gli U.S.A., che non ha un ruolo guida nel Mediterraneo, che si chiude in sé nella cornice asfittica dell’Italietta, rischia di subire la trasformazione mafiosa e rischia di ritornare alle logiche del minimalismo di vecchia memoria. Già questa campagna elettorale denota l’assenza di proposte progettuali forti per liberare il nostro Paese dalla presenza delle mafie.

Nell’Italietta dilaniata e divisa, il contrasto alle mafie perde priorità e piuttosto diventa il campo strumentale di un esercizio improduttivo e inconcludente. Anzi, non è difficile prevedere una futura aggressione alla migliore legislazione antimafia a partire proprio dalle norme tipiche del doppio binario, con in testa il 41 bis e le interdittive antimafia,  lasciando spazio nei territori ai cosiddetti fine pena, ritornati liberi di riorganizzare le fila delle varie consorterie mafiose,  e senza cogliere il ruolo devastante dei  nuovi boss della borghesia mafiosa nell’inserirsi a pieno titolo dentro gli spazi aperti  dall’economia finanziaria e dall’evoluzione dei grandi circuiti dei traffici di droga  e di altri settori illegali intrecciati con diversi ambiti dell’economia legale, quando soprattutto sono lasciati senza regole e responsabilità.

In questo possibile contesto la futura Commissione Parlamentare Antimafia non avrà vita facile, addirittura non è da escludere il rischio che non possa essere costituita in nome del compimento della sua missione o, per altri, in nome di una sua discutibile utilità o, ancora non è da scartare l'ipotesi, che la Commissione venga di nuovo istituita dentro un quadro operativo debole e burocratico.

Ma un altro scenario è possibile. Il nostro Paese ha tutte le risorse, culturali, sociali e democratiche, per uscire dalla crisi, anzi per fare della crisi una risorsa e una opportunità, per curare i suoi mali e diventare un punto di riferimento internazionale per la sua capacità di trovare soluzioni di pace e di cooperazione nei vari contesti conflittuali presenti nel Mediterraneo. Un Paese che sa ritrovare se stesso perchè sa riformare radicalmente la politica, le sue forme di rappresentanza, che sa dare nuovo vigore allo spirito pubblico, responsabilizzare il mercato, gli operatori economici e darsi delle mete di legalità democratica e di sviluppo sostenibile mai raggiunte prima. Un  Paese che, per la prima volta nella storia, sa individuare nella lotta alle mafie la sua vera priorità e sa spostare l'approccio "dall'antimafia del giorno dopo, all'antimafia del giorno prima", chiamando a raccolta le sue migliori energie presenti nella società e nelle istituzioni, coinvolgendo il Parlamento italiano in una sessione speciale dedicata alla lotta alle mafie, così anche i governi locali, regionali ed europei, in una progettualità sistematica e continua, fatta di tappe ed obiettivi, verifica dei risultati e investimenti capaci di colpire le mafie nel loro radicamento sociale, economico e politico, e utilizzare le loro ricchezze a fini produttivi realmente trasparenti e utili per i cittadini e l’economia. 

In questo caso la Commissione Parlamentare Antimafia potrà avere ancora un autorevole ruolo, addirittura inedito e di guida della lotta alle mafie nella società, nell’economia e nelle istituzioni perché ha nella sua memoria, nei suoi stessi archivi e nella sua elaborazione, anche di questa importante legislatura, tutte le conoscenze e le professionalità per sferrare i suoi colpi mortali in tutti i settori e territori in cui sono attive e presenti le diverse mafie.

Nel 2020 ricorreranno i vent’anni della presenza dell’ONU a Palermo, dove per la prima volta si mise a fuoco una possibile strategia di una lotta alle mafie nel mondo. Si firmarono protocolli e i vari Paesi presero degli impegni per una legislazione comune utilizzando la migliore esperienza italiana.

Sarebbe importante riorganizzare un evento mondiale sotto la guida dell’ONU, possibilmente a Reggio Calabria e a Milano, e con il contributo in Italia della nuova Commissione Parlamentare Antimafia, in modo da creare quello spazio giuridico e strategico globale capace di sfidare le varie forme di mafia e batterle in una sorta di guerra globale su cui impegnare le capacità e le intelligenze di cui dispongono la comunità internazionale e le democrazie.








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