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RELAZIONE SEMESTRALE DELLA DIA (I 2019) - SINTESI

RELAZIONE SEMESTRALE DELLA DIA
(I 2019)

PRESENTAZIONE
Il 16 aprile 2019 si è tenuta a L’Aja, presso la sede di Europol, la prima “Conferenza Operativa sulle strategie di contrasto alle organizzazioni criminali di tipo mafioso”.
Un importante passo in avanti nella lotta al crimine organizzato transnazionale, che punta ad intercettare obiettivi strategici da investigare, in sinergia, su più Stati.
La Conferenza si inserisce nell’ambito delle attività della Rete Operativa Antimafia “@ON - Operational Network”, una Rete Operativa coordinata da EUROPOL e istituita su input della DIA, per sostenere l’azione di contrasto internazionale alle mafie per la portata transnazionale che ha assunto questa criminalità, agevolando lo scambio di informazioni tra le Autorità di polizia degli Stati Membri. La Rete@ON si propone, inoltre, di sviluppare l’approccio c.d. “amministrativo” nel campo della lotta al crimine di tipo mafioso, rivolto al recupero dei beni illegalmente acquisiti dalle organizzazioni criminali, promuovendo il riconoscimento all’estero delle misure di prevenzione patrimoniali, che allo stato rappresenta una peculiarità tutta italiana.
Per armonizzare le differenti discipline interne dei Paesi membri vanno valutate con attenzione le prospettive offerte dal Meccanismo di revisione della Convenzione di Palermo, che permette di colmare le lacune normative che ancora impediscono ai 189 Paesi aderenti di contrastare, con efficacia, le strutture criminali organizzate. La Convenzione appare, ad oggi, l’unico strumento che può realmente dare slancio internazionale alle misure di prevenzione patrimoniali, dal momento che ammette la possibilità che i provvedimenti di confisca vengano eseguiti prescindendo dalla natura, penale o extra-penale, del procedimento da cui scaturisce la rogatoria.
In linea con i compiti assegnati alla DIA dall’art. 108 del Codice Antimafia, la “Relazione semestrale”, prevista dal successivo art. 109, approfondisce le “connotazioni strutturali” e le “articolazioni” della criminalità organizzata calabrese (capitolo 2), siciliana (capitolo 3), campana (capitolo 4), pugliese e lucana (capitolo 5), nelle regioni di elezione.
Nel capitolo 6 “Proiezioni della criminalità organizzata sul territorio nazionale” vengono esposte le manifestazioni delle mafie oltre le regioni d’origine e, a seguire, il capitolo 7 “Le organizzazioni criminali straniere in Italia” chiude l’analisi dei sodalizi che operano sul territorio nazionale. Le proiezioni all’estero dei clan sono illustrate nel capitolo 8 “Criminalità organizzata italiana all’estero e relazioni internazionali”
Il capitolo 9 “Appalti pubblici” descrive le attività svolte dalla DIA in questo settore, attraverso l’Osservatorio Centrale sugli Appalti Pubblici (O.C.A.P.) e il capitolo 10 si sofferma sulle “Attività di prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio” volte ad individuare i grandi patrimoni mafiosi attraverso l’approfondimento delle segnalazioni di operazioni sospette (s.o.s).
Il capitolo 11 “Il regime detentivo speciale di cui all’articolo 41 – bis O.P.” riepiloga l’attività svolta dalla DIA con riferimento ai detenuti mafiosi sottoposti a questo speciale regime carcerario.
Il capitolo 12, riservato alle “Conclusioni”, nel tracciare le “Linee evolutive della criminalità organizzata” approfondisce, in particolare, “Il rapporto mafia e territorio”.
Il tredicesimo e ultimo capitolo propone un focus di approfondimento su un tema specifico, il rapporto “Mafia & rifiuti”, che nell’esaminare le varie fasi che compongono il “ciclo dei rifiuti”, evidenzia le modalità attraverso le quali la criminalità organizzata infiltra il sistema, prospettando infine delle possibili linee di prevenzione e contrasto.
Da ultimo, il capitolo “Allegati” schematizza le principali attività di prevenzione e contrasto concluse dalla DIA.

ANALISI DEI FENOMENI MAFIOSI.
L’analisi condotta nella Relazione semestrale traccia la distribuzione sul territorio e gli assetti interni delle organizzazioni criminali, ivi comprese quelle di matrice straniera, nella prospettiva di rilevarne le specifiche tendenze criminali.
La messa a sistema delle risultanze info-investigative delle diverse consorterie consente di tracciare gli attuali modelli operativi delle mafie, utili a prevederne l’evoluzione e, quindi, a calibrare un’adeguata strategia di contrasto.
Criminalità organizzata calabrese
L’analisi delle risultanze investigative e giudiziarie intervenute nel semestre restituiscono ancora una volta l’immagine di una ‘ndrangheta tendenzialmente silente, ma più che mai viva nella sua vocazione affaristico imprenditoriale, saldamente leader nei grandi traffici di droga, ambito in cui continua ad acquisire forza e “prestigio”, anche a livello internazionale. L’efficacia delle consorterie calabresi è da ricercarsi, innanzitutto, nella loro struttura organizzativa a base familiare, compatta dall’interno e per questo meno esposta al fenomeno del pentitismo.
Ciò rende la mafia calabrese la più affidabile anche dinanzi ai paritetici gruppi criminali stranieri, con i quali intesse relazioni, espandendosi capillarmente. Uno dei punti di forza della ‘ndrangheta risiede nella sua capacità di stabilire legami diretti con diversi interlocutori.
Le più recenti investigazioni hanno dato prova di come le ‘ndrine riescano a relazionarsi egualmente con le altre organizzazioni criminali del Sud o del Centro del Paese, ma anche con interlocutori di diversa estrazione sociale, siano essi politici, imprenditori o figure professionali in ogni caso utili ai tornaconti delle cosche.
In tal modo esprime un radicato livello di penetrazione nel mondo politico ed istituzionale, ottenendo indebiti vantaggi nella concessione di appalti e commesse pubbliche. Parimenti, l’infiltrazione nel settore imprenditoriale le consente di inserirsi nelle compagini societarie sane, ottenendo il duplice effetto di riciclare i proventi illecitamente accumulati e, nel contempo, di acquisirne ulteriori attraverso i canali legali, arrivando anche a “scalare” le imprese fino a raggiungerne la titolarità.
Pertanto, ci si trova di fronte ad una mafia arcaica nella struttura e moderna nella strategia, capace di creare e rafforzare sempre di più i propri vincoli associativi interni, creando seguito e consenso soprattutto nelle aree a forte sofferenza economica, ma allo stesso tempo in grado di adattarsi alle evoluzioni del contesto esterno, nazionale ed internazionale, tenendosi al passo con i fenomeni di progresso e globalizzazione, anche grazie alle giovani leve che vengono mandate fuori Regione a istruirsi e formarsi per poi mettere a disposizione delle ‘ndrine il bagaglio conoscitivo accumulato.
Non a caso, la ‘ndrangheta è stata una delle prime organizzazioni criminali ad intuire le opportunità offerte dai Paesi dell’Est europeo, come dimostrano alcune recenti evidenze investigative che hanno fatto luce sugli investimenti in diverse aree anche grazie ai fondi strutturali dell’Unione europea.
Nelle altre regioni d’Italia e all’estero la ‘ndrangheta replica i propri modelli di origine, ribadendo i valori fondativi delle consorterie, facendo leva sui mai tramontati vincoli tradizionali, mentre al di fuori dell’Italia non si insediano solo realtà economico-imprenditoriali, ma prima di tutto viene creata una base strutturale, in grado di gestire i più remunerativi affari illeciti.
Il modello organizzativo continua ad essere replicato, in particolare, in numerose regioni (Lazio, Piemonte e Valle D’Aosta, Liguria, Lombardia, Trentino Alto Adige, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Umbria, Abruzzo, Molise e Sardegna analizzate, in dettaglio, nel cap. 6. “Proiezioni della criminalità organizzata sul territorio nazionale”) e, all’estero, in alcuni Paesi europei (Spagna, Francia, Regno Unito, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo, Svizzera, Germania, Austria, Repubblica Slovacca, Albania, Romania e Malta), nonché nei continenti americano (con particolare riferimento al Canada, USA, Messico, Colombia, Brasile, Uruguay, Argentina Turchia e Repubblica Popolare Cinese) ed in Australia (tali presenze sono state dettagliate nel cap. 8. “La criminalità organizzata all’estero”). Contesti, quest’ultimi, dove si sono, nel tempo, stabilmente insediati numerosi affiliati, incardinati in locali che, seppur dotati di una certa autonomia, continuano a dar conto al comando strategico della Reggio Calabria.
Quest’ultima resta territorialmente suddivisa in “mandamento centro”, “mandamento tirrenico” e “mandamento jonico”, che comunque trovano un punto di convergenza unitario in un organo collegiale, definito Provincia o Crimine.
Nell’area del mandamento centro si conferma l’egemonia delle cosche LIBRI, TEGANO, CONDELLO e DE STEFANO, testimoniata anche da recenti, significativi pronunciamenti giudiziari.
La famiglia reggina dei CONDELLO è stata duramente colpita all’esito delle 25 condanne comminate dal GUP di Reggio Calabria nel marzo 2019, per circa 230 anni di reclusione, nell’ambito dell’inchiesta “Eracle”. La cosca CONDELLO è stata, altresì, colpita sul piano patrimoniale. L’8 marzo 2019, a Reggio Calabria, i Carabinieri hanno eseguito un decreto di sequestro nei confronti di un pregiudicato ritenuto contiguo alla famiglia CHIRICO, espressione, nella frazione di Gallico, della più potente cosca CONDELLO. Il valore dei beni attinti dalla misura patrimoniale, tra cui alcune quote di un panificio e vari rapporti bancari e polizze assicurative, ammonta a circa 650 mila euro. Per ciò che concerne la cosca LIBRI, il 13 febbraio 2019, nell’ambito dell’operazione “Take Away”, la Polizia di Stato ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 7 affiliati, a vario titolo responsabili di sequestro di persona e tentata estorsione, reati aggravati dalle modalità mafiose. Il successivo 22 aprile 2019, a Malta, la Guardia di finanza, in collaborazione con la locale polizia, ha catturato un 43enne latitante, esponente della cosca TEGANO, in esecuzione di un mandato di arresto europeo per i reati di cui agli art. 416 e 416 bis c.p., scaturito dall’operazione “Galassia”, condotta dalla DIA e dai Finanzieri nel novembre 2018.
Nel mandamento tirrenico, le cosche continuano ad esprimere una spiccata vocazione imprenditoriale che ha, tra l’altro, determinato, nel tempo, taluni mutamenti strutturali ed organici nelle più potenti famiglie di ‘ndrangheta, generando nuove alleanze e consolidando il controllo delle attività illecite e gli equilibri criminali esistenti.
Tendenzialmente, l’ingerenza delle cosche si manifesta attraverso la gestione “indiretta” degli appalti, attenendosi a criteri di equa spartizione fra le diverse consorterie egemoni nell’area di interesse.
Nella Piana di Gioia Tauro si conferma il predominio delle cosche PIROMALLI e MOLÈ, pesantemente colpite, anche nel periodo in riferimento, sul fronte patrimoniale.
Infatti, il 2 gennaio 2019, a Gioia Tauro, la Guardia di finanza ha eseguito un decreto di sequestro di beni nei confronti di 4 esponenti della famiglia BAGALÀ (collegata ai PIROMALLI), per un valore complessivo di oltre 4,6 milioni di euro. Il successivo 22 marzo 2019, all’esito di ulteriori indagini patrimoniali, a Gioia Tauro (RC), Taurianova (RC) e Milano, sono stati eseguiti ulteriori provvedimenti ablativi nei confronti di due dei citati soggetti, per altri 7,5 milioni di euro.
Nel comprensorio di Rosarno-San Ferdinando, si continuano a registrare le ingerenze delle cosche PESCE e BELLOCCO, particolarmente attive nell’infiltrazione dell’economia locale, nei diversi traffici illeciti (specie in ambito portuale), nelle estorsioni, nell’usura e nella gestione dei giochi e delle scommesse.
Sul versante jonico della provincia reggina il paese di San Luca è da sempre considerato la “mamma” di tutti i locali di ‘ndrangheta, depositaria della tradizione, della “saggezza” e delle regole istitutive che costituiscono il patrimonio “valoriale” di tutte le cosche, nel cui territorio sorge il Santuario della Madonna di Polsi, noto per i summit durante i quali si orientano gli affari, si definiscono le alleanze, si dirimono le controversie e vengono dettate le strategie criminali.
Nel mandamento jonico le cosche continuano ad evidenziare una spiccata propensione al narcotraffico internazionale, facendo leva su consolidati rapporti di affidabilità con i fornitori stranieri, grazie ai quali riescono a movimentare grandi quantitativi di stupefacenti.
Per quanto attiene alla dislocazione delle consorterie, si richiama, in primo luogo, il locale di Platì, ove si registra l’operatività delle cosche federate BARBARO-TRIMBOLI-MARANDO.
Nel locale di San Luca risultano egemoni le cosche PELLE-VOTTARI-ROMEO e NIRTA-STRANGIO.
La capacità delle cosche in argomento di espandere i propri interessi e di infiltrarsi oltre i confini regionali ha trovato un’ulteriore conferma, il 23 gennaio 2019, a conclusione dell’operazione “Geenna”, ad opera dei Carabinieri, che hanno eseguito, in Valle d’Aosta, un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 16 indagati, ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, concorso esterno in associazione di tipo mafioso, tentato scambio elettorale politico-mafioso, estorsione, associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, detenzione e ricettazione di armi e favoreggiamento personale, in alcuni casi aggravati dal metodo mafioso.
Il locale di Africo, invece, si caratterizza per l’egemonia della cosca MORABITO-PALAMARA-BRUZZANITI.
Il 9 giugno 2019, a Neuwied (D), la polizia tedesca, in collaborazione con i Carabinieri, ha tratto in arresto il latitante 28enne STILO Rocco, esponente della cosca MORABITO-PALAMARA-BRUZZANITI ed, in particolare, dell’articolazione MORABITO-Scassaporte, in esecuzione di un mandato d’arresto europeo emesso dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria. L’uomo, che deve scontare 1 anno e 8 mesi di reclusione per detenzione illecita di droga e rapina aggravata, si era reso irreperibile dal 19 maggio 2019, in quanto sottrattosi ad un ordine di esecuzione per la carcerazione emesso dalla stessa Autorità giudiziaria reggina.
Nel locale di Siderno opera la cosca COMMISSO - che conserva la spiccata vocazione a proiettare all’estero i propri interessi criminali, soprattutto in Canada - in contrapposizione a quella dei COSTA-CURCIARELLO.
In provincia di Catanzaro si osserva una sorta di staffetta generazionale, una “rigenerazione” forzata, causata dal venir meno di capi e affiliati di rilievo decimati dagli arresti. Ad avanzare silenziosamente sullo scenario criminale operante nel territorio compreso tra la costa ionica e la c.d. “montagna”, cioè la zona montuosa della Presila catanzarese e crotonese, cognomi importanti della ‘ndrangheta storica che cercano di consolidare la propria presenza colmando un vuoto apparente. La mappatura della criminalità organizzata nella città e nella provincia di Catanzaro non ha fatto registrare significativi mutamenti, mettendo in evidenza come continui l’operatività e la presenza dei clan dei cd. GAGLIANESI e degli ZINGARI, attivi soprattutto nei quartieri meridionali, affiancando, nella provincia, la presenza primaria della cosca cutrese dei GRANDE ARACRI, in particolar modo attiva nel settore imprenditoriale.
La provincia di Vibo Valentia continua a costituire territorio di riferimento della famiglia MANCUSO di Limbadi, che si avvale di una serie di fidate consorterie satellite, vantando solide e consolidate alleanze con le cosche del reggino, in particolare quelle operanti nel territorio ricadente nella Piana di Gioia Tauro.
Nell’area del capoluogo non risultano sopite le contrapposizioni che, sin dal 2010, hanno visto il tentativo posto in essere dal locale di Piscopio di spodestare e sostituirsi ai MANCUSO. In tale contesto, il 9 aprile 2019, nell’ambito dell’operazione “Rimpiazzo”, la Polizia di Stato ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere a carico di 31 appartenenti al citato locale di Piscopio. Nel corso delle indagini si è appurato come fosse in atto un tentativo del locale di Piscopio di spodestare e subentrare ai MANCUSO, attraverso una lunga serie di omicidi, nella gestione degli affari criminali in tutto il comprensorio di Vibo Valentia, comprendente, oltre al capoluogo, le frazioni Vibo Marina, Porto Salvo e Bivona.
Il territorio di Crotone non ha evidenziato mutamenti significativi nella mappatura delle famiglie ‘ndranghetiste, che vede confermata l’egemonia della cosca GRANDE ARACRI, al vertice del locale di Cutro, da sempre punto di riferimento delle altre cosche crotonesi e delle province limitrofe, potendo peraltro vantare proiezioni operative particolarmente agguerrite nel nord Italia.
Nel capoluogo si conferma l’operatività del clan VRENNA-BONAVENTURA-CORIGLIANO, affiancato dalla cosca TORNICCHIO in località Cantorato; mentre, nella frazione di Papanice sono attive le cosche MEGNA (c.d. dei Papaniciari) e RUSSELLI.
Nell’area di Cutro, oltre alla citata cosca GRANDE ARACRI, sono operative le famiglie MANNOLO e TRAPASSO. In tale contesto rileva particolarmente l’operazione “Malapianta”, conclusa dalla Guardia di finanza il 29 maggio 2019, con l’esecuzione del fermo di indiziato di delitto nei confronti di 35 persone per reati di associazione di tipo mafioso e un sequestro di beni del valore complessivo stimato in 30 milioni di euro. Le indagini hanno confermato l’operatività del locale di San Leonardo di Cutro, facente capo alle famiglie MANNOLO-TRAPASSO-FALCONE-ZOFFREO, con ramificazioni anche in Puglia, Lombardia, Veneto e Emilia Romagna, oltre che all’estero, “in rapporti di dipendenza funzionale dai GRANDE ARACRI…”.
La provincia di Cosenza ed, in particolare, il capoluogo si caratterizzano per la presenza e la costante operatività delle cosche LANZINO-PATITUCCI, PERNA-CICERO, ABBRUZZESE e RANGO-ZINGARI, sodalizi che per la conduzione delle progettualità criminali ricorrono anche ad azioni collusive con soggetti istituzionali.

Criminalità organizzata siciliana
Tradizionalmente Cosa nostra si presenta come un’organizzazione verticistica, unitaria e strutturata in famiglie raggruppate in mandamenti, nella parte occidentale e centrale della Sicilia. Nelle province orientali, si affiancano altri sodalizi criminali fortemente organizzati ed inclini ad evitare contrapposizioni con le più influenti famiglie.
Nel comprensorio di Gela (CL), la stidda si connota per la tendenza all’accordo con le più pericolose compagini mafiose, soprattutto per la spartizione di illeciti guadagni provenienti dal traffico di stupefacenti, dalle estorsioni e dall’usura. Articolato è anche il rapporto di Cosa nostra con la criminalità locale, che viene spesso impiegata come forma di manovalanza, garantendo in questo modo alle famiglie sia il controllo del territorio, sia la “fidelizzazione” dei piccoli sodalizi criminali, anche stranieri.
Proprio con riferimento ai gruppi criminali stranieri, è necessario sottolineare come tendenzialmente agiscano con l’assenso delle organizzazioni mafiose del territorio. E’ ormai comprovato come i nigeriani, oltre ad essere stanziati pressoché su tutto il territorio nazionale, rappresentino una presenza importante anche in Sicilia ed in particolare a Palermo, ove hanno trovato un proprio spazio, con il sostanziale placet di Cosa Nostra che permette loro di controllare la prostituzione su strada e alcuni segmenti di spaccio di stupefacenti in determinate zone.
Gli esiti delle operazioni più recenti confermano ulteriormente una struttura gerarchicamente organizzata e un radicamento tipicamente geografico delle organizzazioni criminali siciliane che stanno mostrando la propensione, da una parte a rivitalizzare i contatti tra le famiglie dell’isola e, dall’altra, a recuperare i rapporti con le proprie storiche propaggini all’estero. Si aggiunga il tentativo, spesso riuscito, di tessere ulteriori alleanze con sodalizi stranieri, ad esempio balcanici e sud-americani, soprattutto per il traffico di stupefacenti.
Nel semestre in esame sono stati, infatti, acclarati consolidati rapporti tra organizzazioni criminali situate in Germania e la famiglia nissena dei RINZIVILLO, per realizzare l’attività di approvvigionamento e distribuzione della droga. Le indagini hanno rivelato come le organizzazioni, quella italiana facente capo alla famiglia RINZIVILLO e quella di stanza in Germania, palesavano l’intenzione di procedere ad una scambio di ostaggi liberati solo a definizione – positiva - del traffico illecito. In questo modo la criminalità organizzata italiana assume e fa proprie le metodologie di contrattazione degli “affari” criminali tipiche delle compagini criminali sudamericane.
Lo stesso tipo di trattativa criminale, che ricorda proprio il modus operandi dei “narcos” è emersa da una attività investigativa incentrata sui traffici di stupefacenti effettuati dalla famiglia catanese dei MAZZEI e sui rapporti di questa con organizzazioni balcaniche per l’approvvigionamento dello stupefacente. La fornitura di droga, avvenuta in Albania, è stata garantita dalla presenza di un affiliato, elemento di fiducia della famiglia, nel luogo ove l’organizzazione balcanica operava, il soggetto sarebbe stato trattenuto essenzialmente a garanzia dell’affidabilità della consorteria siciliana.
La ricerca di canali di approvvigionamento di stupefacenti stabili è chiaramente documentata anche nelle operazioni “Black Smith” e “Kerkent”.
La prima, conclusa dalla Squadra Mobile di Palermo il 21 maggio 2019, ha consentito di arrestare, in esecuzione di Ordinanza di Custodia Cautelare del GIP di Palermo, su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia, 21 soggetti responsabili di aver condotto un traffico di hashish e cocaina in quantità ingenti da Napoli, presso un clan camorristico operante nell’area di Palermo.
A conclusione della seconda, invece, la DIA ha tratto in arresto 32 persone facendo luce sulle dinamiche del mandamento mafioso di Agrigento, in fase di riorganizzazione, documentando come il suo elemento di vertice avesse costituito e diretto in prima persona, un’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti il cui approvvigionamento avveniva anche grazie ai qualificati contatti con la ‘ndrangheta vibonese. 
In generale Cosa nostra palermitana, dopo anni di revisione interna, ha tentato di darsi un’organizzazione definitiva per ripristinare la piena operatività del tradizionale organismo di vertice, la Commissione provinciale, deputata ad assumere le decisioni più importanti per l’intera organizzazione. Questo fermento ha trovato riscontro, come detto in precedenza, nelle risultanze dell’operazione “Cupola 2.0” dell’Arma dei carabinieri, del 4 dicembre 2018, e nel correlato sviluppo operativo del 22 gennaio 2019. Le indagini hanno, inoltre, dato conferma dell’evoluzione dei rapporti tra Cosa nostra e i c.d. “scappati” o “americani”, ovvero i perdenti della guerra di mafia contro i corleonesi. Molti di loro, tornati a Palermo, hanno recuperato l’antico potere mafioso, forti anche degli storici rapporti con i boss d’oltreoceano, stringendo addirittura accordi con l’ala corleonese.
Cosa nostra palermitana, benché duramente colpita dall’attività di contrasto istituzionale, è comunque ancora molto pervasiva. In particolar modo, emerge come le sue strategie operative siano rivolte costantemente all’imposizione del “pizzo”, che rappresenta una fonte primaria di sostentamento e costituisce un fondamentale strumento di controllo del territorio. Nel capoluogo, l’operazione “Athena”, di marzo 2019, ha compendiato le risultanze investigative raccolte sul mandamento di Palermo-Porta Nuova, consentendo di individuarne gli organici e le attività illegali tra cui le estorsioni e l’approvvigionamento di sostanze stupefacenti. Su quest’ultimo fronte, l’organizzazione mafiosa siciliana, oltre a ricercare contatti diretti per l’approvvigionamento nei Paesi di produzione o di transito, opera in un sistema criminale integrato anche con ‘ndrangheta e camorra.
Nel contesto di Trapani, le posizioni di vertice dei mandamenti mafiosi di Trapani ed Alcamo risultano stabilmente detenute da noti esponenti delle storiche famiglie mafiose con un sistema di successione quasi “dinastico” e quella di Castelvetrano continua a fare riferimento al latitante Matteo MESSINA DENARO. Più dinamica appare la situazione del mandamento di Mazara del Vallo, la cui valenza negli equilibri di Cosa nostra è tradizionalmente rilevante avendo rappresentato nel passato una delle articolazioni mafiose più importanti per l’affermazione della leadership corleonese. A Mazara, infatti, la questione della reggenza sta attraversando una fase di transizione, non priva di tensioni, a seguito degli arresti avvenuti a conclusione delle operazioni Anno Zero ed Eris, che lo scorso anno avevano colpito i vertici del mandamento. A queste attività si aggiunge l’operazione Scrigno, conclusa a marzo 2019, che ha documentato l’esistenza e l’operatività sull’isola di Favignana di un’articolazione di Cosa nostra gerarchicamente dipendente dalla famiglia mafiosa di Trapani, il cui capo veniva messo a conoscenza di ogni controversia, per la conseguente composizione o risoluzione.
Si rammenta, poi, come una delle cinque storiche famiglie mafiose operanti a New York sia originaria di un paese della provincia, Castellammare del Golfo. Pur in assenza di evidenze di specifici collegamenti in atto, le attività investigative nella vicina Palermo, hanno fatto emergere rinnovati contatti tra Cosa nostra e le similari organizzazioni statunitensi.
Nella provincia, la figura di Matteo MESSINA DENARO, formalmente a capo del mandamento di Castelvetrano e rappresentante provinciale di Trapani, tende a costituire ancora un ideale punto di riferimento. Infatti il latitante continua a beneficiare di quel sentimento di fedeltà, caratteristica delle organizzazioni mafiose nei confronti della figura leader, da parte di molti membri di Cosa nostra trapanese, anche se non mancano segnali di insofferenza da parte di alcuni affiliati per via della latitanza, che tende a riverberarsi inevitabilmente in forma negativa sulla gestioni delle questioni importanti per gli affari dell’organizzazione.
Il contesto criminale della provincia di Agrigento continua ad essere caratterizzato dalla presenza dominante di Cosa nostra, che monopolizza la gestione delle più remunerative attività illegali e condiziona ancora pesantemente il contesto socio-economico, già duramente messo alla prova da un perdurante stato di crisi. Cosa nostra agrigentina rappresenta una delle più solide roccaforti dell’organizzazione e ha vissuto una costante evoluzione, espandendo l’area degli interessi dall’originario contesto agro-pastorale a settori criminali ben più remunerativi.
Un ruolo minore, ma comunque di rilievo, viene occupato dalla stidda, originariamente parte scissionista di Cosa nostra, ma che oggi fa affari con quest’ultima.
Anche in questa provincia, i business mafiosi rispecchiano le esigenze di liquidità e di controllo del territorio, trovando nel racket delle estorsioni, nel traffico di stupefacenti e, più recentemente, nel controllo del gioco d’azzardo dei settori di primario interesse.
L’operazione “Assedio”, del mese di giugno, oltre a far luce sugli assetti organizzativi della famiglia di Licata, ha evidenziato un’inedita forma di estorsione: un imprenditore edile licatese si è visto costretto a versare alla predetta famiglia 5 mila euro per aver realizzato lavori in territorio tedesco. Si è rilevata anche l’imposizione indebita di slot machine presso numerosi esercenti nell’area periferica licatese.
Le analisi delle attività giudiziarie concluse nel semestre confermano, anche nella provincia di Caltanissetta, la tendenza della criminalità organizzata ad infiltrare, senza distinzione, l’edilizia, l’agricoltura, il ciclo di smaltimento dei rifiuti e gli appalti. Ciò senza tralasciare gli affari di tradizionale interesse quali lo spaccio degli stupefacenti, le estorsioni e l’usura
Anche in questo territorio le consorterie tendono a limitare gli atti di violenza, che comporterebbero un’intensificazione delle attività di contrasto delle Forze dell’ordine. I gruppi preferiscono, invece, agire in modo silente e infiltrare settori produttivi che, sebbene in un momento di diffusa crisi generale, si presentano comunque d’interesse.
Nonostante l’azione di contrasto giudiziaria ed i sequestri dei patrimoni mafiosi, Cosa nostra mostra forti capacità di ricostituzione dei propri assetti, pur esprimendo un numero contenuto di famiglie radicate soprattutto nei paesi dell’entroterra. Ciò a riprova dell’origine rurale del fenomeno mafioso che trova, in primo luogo, nel settore dell’imprenditoria agricola la fonte storica di sostentamento.
Rimane stabile l’articolazione delle consorterie nissene nei mandamenti di Vallelunga Pratameno e di Mussomeli, nella parte settentrionale della provincia – dove più forte risulta l’influenza dei MADONIA storicamente legati ai corleonesi – e nel mandamento di Riesi.
Più complessa appare l’articolazione delle consorterie mafiose nel mandamento di Gela, dove le famiglie di Cosa nostra convivono da tempo con l’organizzazione criminale della stidda.
Nell’area gelese, la famiglia RINZIVILLO si conferma attiva anche nello spaccio, come emerso dall’operazione “Smart”, conclusa dai Carabinieri nel mese di aprile.
Da tempo la provincia di Enna, cuore rurale della Sicilia, esprime una delle realtà socio-economiche più depresse dell’Isola, nella quale gli interessi della criminalità organizzata si concentrano soprattutto sulle possibilità che offre il settore agropastorale.
Il territorio ennese rappresenta da sempre un’area di espansione dei sodalizi di Cosa nostra nissena e catanese. È inoltre comprovata la tendenza delle consorterie locali al ricorso ad alleanze con le organizzazioni mafiose operanti nelle province di Catania, Caltanissetta e Messina.
Nella Sicilia orientale, in particolare nel territorio catanese, Cosa nostra si caratterizza per l’assenza di configurazioni rigidamente strutturate e per la convivenza di diverse organizzazioni.
Per quanto regolate secondo gli schemi classici delle consorterie mafiose, queste organizzazioni evidenziano comunque una certa fluidità: gli affiliati alle famiglie possono transitare in altri sodalizi per la realizzazione di specifici affari.
La capacità di Cosa nostra etnea di espandersi oltre i confini provinciali, agganciando relazioni con altre consorterie mafiose e ponendosi in posizione nodale rispetto alle dinamiche criminali mafiose dell’intera regione, viene dimostrata anche dalle risultanze della nota operazione “Cupola 2.0”. Si è tenuto, proprio a Catania, un “summit di mafia interprovinciale con numerosi esponenti di cosa nostra catanese, agrigentina e palermitana…”, nel quale “c’era tutta la Sicilia”. Viene confermata anche dagli esiti di questa operazione la posizione di vertice della famiglia SANTAPAOLA-ERCOLANO che, saldamente radicata nel capoluogo etneo e capillarmente estesa in tutto il territorio provinciale, dilata le proprie propaggini sulle vicine province mediante una fitta rete di personaggi di riferimento.
Nel territorio di Siracusa si conferma la generale tendenza, tipica della Sicilia centro-orientale, alla coesistenza di operatività di diverse organizzazioni mafiose. Nell’area si registra l’attivismo sia dei BOTTARO-ATTANASIO, sia dei SANTA PANAGIA. I primi si rapportano stabilmente al clan etneo dei CAPPELLO, mentre i secondi rappresentano un’articolazione della compagine dei NARDO-APARO-TRIGILA, a sua volta vicina a Cosa nostra catanese, in particolare alla famiglia dei SANTAPAOLA.
Degno di menzione è anche il sequestro di beni riconducibili ad un imprenditore siracusano che, nel tempo, aveva intessuto rapporti con esponenti dei BOTTARO-ATTANASIO ed era risultato contiguo ai SANTAPAOLA-ERCOLANO. Il patrimonio sequestrato ha un valore complessivo di circa 40 milioni di euro.
In provincia di Ragusa, Cosa nostra appare fortemente influenzata dalle famiglie catanesi che in questo territorio hanno esteso il loro potere anche sostenendo sodalizi locali (quali quello dei PISCOPO) o affiliando gruppi originari del luogo (come i MORMINA di Scicli, propaggine della famiglia MAZZEI di Catania).
Nel territorio, le famiglie di Cosa nostra devono convivere con organizzazioni malavitose riconducibili alla stidda gelese e particolarmente radicate nei territori di Vittoria, Comiso, Acate e Scicli,  dove hanno instaurato una solida egemonia apparentemente senza entrare in conflitto con le compagini mafiose.
Un assetto pressoché stabile dell’organizzazione stiddara si rileva nella città di Vittoria, dove il clan DOMINANTE-CARBONARO, nonostante lo stato di detenzione del fondatore e del boss subentrato nella reggenza, appare il sodalizio criminale di maggiore caratura.
Nel periodo in esame, il clan è stato colpito da un importante sequestro a carico di un imprenditore collegato ai DOMINANTE-CARBONARO, il quale aveva di fatto assunto una posizione di “monopolio” nel settore degli imballaggi destinati alle derrate alimentari, commercializzate nel mercato ortofrutticolo di Vittoria (RG).
Come ampiamente descritto nel cap. 6. “Proiezioni della criminalità organizzata sul territorio nazionale” (in particolare con riferimento alle presenze in Lazio, Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Umbria e Molise), l’interesse fuori regione delle consorterie mafiose siciliane si rivolge prevalentemente al narcotraffico – dove mira ad acquisire una sempre maggiore autonomia nei rapporti con i cartelli sudamericani – e al riciclaggio di capitali.

All’estero, tra i Paesi più interessati al fenomeno, si segnalano la Spagna, la Francia, la Svizzera, il Belgio, Paesi Bassi, la Germania, la Repubblica Ceca, l’Albania, Romania, Malta, il Canada, gli Stati Uniti d’America, il Messico, la Colombia e il Venezuela (cfr. cap. 8 “La criminalità organizzata all’estero”).

Criminalità organizzata campana
Anche le ultime indagini che hanno interessato il “sistema” camorra confermano la coesistenza di clan connotati da assetti e strategie operative diversificate, caratteristiche che rendono complesso darne una definizione univoca. Continuano a coabitare sugli stessi territori, in particolare nel capoluogo regionale e nella provincia, realtà criminali molto diverse. Sodalizi con radici consolidate quali il cartello noto come ALLEANZA DI SECONDIGLIANO (nato per iniziativa dei gruppi LICCIARDI, CONTINI e MALLARDO), il clan MAZZARELLA, i gruppi POLVERINO, NUVOLETTA/ORLANDO e aggregati criminali meno evoluti a livello organizzativo, che si caratterizzano per un uso sistematico della violenza e per gli scontri armati con omologhi clan.
L’elevata densità criminale delle aree dove tali fenomeni criminali proliferano, fa sì che negli spazi rimasti vuoti siano pronte a inserirsi altre famiglie.
Ancora più insidiosa, rispetto alle manifestazioni di violenza, appare la strategia di “sommersione”, tesa ad infiltrare l’economia e la politica e a stringere accordi con altre organizzazioni criminali di diversa matrice territoriale, italiane e straniere.
I numerosi clan che fanno parte di questa galassia, nella quale si inserisce a pieno titolo il cartello casertano dei CASALESI il quale, nonostante le numerose inchieste giudiziarie e i provvedimenti patrimoniali, riesce ancora efficacemente a difendere e curare i propri interessi illeciti attraverso ramificazioni finanziarie anche internazionali e importanti reti di imprese controllate da fiduciari dell’organizzazione. A tale scopo i CASALESI possono contare su interlocutori con specifiche e diverse competenze professionali, capaci di gestire attività economiche di elevata e sofisticata complessità.
La propensione ad espandersi in territori appannaggio di altri gruppi, spesso tessendo alleanze con sodalizi locali, e a radicarsi anche in altre regioni, rende evanescente il tentativo di delinearne una precisa collocazione territoriale, mentre ai fini investigativi è più che mai necessario ricostruirne le relazioni, compito per il quale si sono spesso rivelate fondamentali le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Sulle dinamiche interne ed esterne ai clan è destinato ad avere ripercussioni importanti il ritorno sul territorio di personaggi di particolare caratura criminale, per effetto delle avvenute scarcerazioni. Uno di questi è il gruppo MALLARDO, al cui interno si registrano recenti scarcerazioni “eccellenti”. Tuttavia, benché lo stato di detenzione rappresenti anche un sistema per isolare i capi dai sodalizi, plurime indagini hanno dimostrato che non di rado i clan di riferimento riescono a ricevere dalle carceri le comunicazioni per le decisioni più importanti. Non meno importanti sono le alleanze che assicurano la sopravvivenza del gruppo: è quanto si è registrato per il clan casertano BIDOGNETTI, i cui organici erano stati pesantemente intaccati da operazioni giudiziarie, ma la cui operatività è stata assicurata dall’esistenza di accordi con le famiglie napoletane MALLARDO e LICCIARDI. Quest’ultime, con il loro appoggio, hanno fatto in modo che il clan, benché privato dei sui uomini più pericolosi, potesse continuare a mantenere la propria influenza sul territorio.
La “dualità” del sistema camorra è particolarmente evidente in alcune aree del capoluogo e nella provincia dove, accanto ai clan con le caratteristiche citate, operano piccoli gruppi a composizione prevalentemente familiare, che riescono ad acquisire il controllo di limitati spazi territoriali, spesso con l’appoggio di sodalizi più strutturati. Si tratta di aggregati delinquenziali, che in alcuni casi conquistano la scena criminale per un limitato arco temporale, si connotano soprattutto per un uso sistematico della violenza e per scelte operative quasi sempre di matrice conflittuale, a cui conseguono cruente faide con clan di analoga composizione. Tra questo microcosmo di gruppi e le consolidate organizzazioni si è determinato un intreccio sinergico, talvolta strumentale, tra capacità criminali di vecchi clan e modalità gangsteristiche giovanili. Una sinergia siffatta finisce per avvantaggiare i gruppi storici, nei cui confronti il pulviscolo di quelli più piccoli sembra assumere il più delle volte un ruolo servente se non addirittura di vero e proprio serbatoio di forza militare. Le organizzazioni storiche e strutturate tendono a monitorare e, se del caso, a influenzare le dinamiche criminali dei gruppi minori laddove le loro violente contrapposizioni, con il conseguente intervento repressivo di Magistratura e Forze di polizia, possano interferire e nuocere alle loro attività.
Entrambe le realtà criminali si innestano su territori caratterizzati da un profondo disagio culturale ed economico, di cui le prime vittime sono i giovani, protagonisti di gravi episodi di violenza urbana che la cronaca locale riporta giornalmente e che diventano bacino di reclutamento da parte delle organizzazioni criminali, in ragione di prospettive di facili guadagni e di una degradante pseudo-identificazione sociale .
A Napoli continuano a convivere sistemi criminali con connotazioni profondamente differenti. Se da un lato l’indagine denominata “Cartagena” ha confermato la piena stabilità e operatività del cartello noto come “ALLEANZA di SECONDIGLIANO”, composto dai clan CONTINI, BOSTI, LICCIARDI, originari di Napoli e MALLARDO di Giugliano in Campania (NA), dall’altro permangono focolai di tensione che si sono manifestati attraverso attentati contro affiliati a gruppi rivali: in due di questi, verificatisi tra aprile e maggio 2019, sono stati coinvolti dei bambini.
Nei quartieri del centro storico continuano a registrarsi forti tensioni, in particolare nelle aree di Forcella, della Maddalena e dei Tribunali, con un rinnovato scontro tra i gruppi SIBILLO e BUONERBA, appoggiati da sodalizi più strutturati, originari di altre zone, quali i clan CONTINI, RINALDI e MAZZARELLA. I conflitti esterni ma anche le tensioni interne alle stesse compagini hanno provocato numerose occasioni di fibrillazione, spesso degenerate in azioni intimidatorie di matrice estorsiva.
La scelta strategica operata dalla famiglia MAZZARELLA di tessere una serie di alleanze le ha consentito di conquistare la leadership su gran parte dei territori del centro storico. In tale contesto, l’avanzata dei gruppi rivali è stata compromessa da arresti avvenuti nei primi mesi del 2019, che hanno coinvolto affiliati al clan RINALDI, da sempre contrapposto ai MAZZARELLA, il cui reggente è stato catturato, nel mese di febbraio, a San Pietro a Patierno, periferia nord di Napoli.
Nei quartieri Vasto, Arenaccia, Ferrovia, San Carlo Arena, nei Rione Amicizia e Sant’Alfonso e nel Borgo Sant'Antonio Abate opera il gruppo CONTINI, uno dei clan più solidi e attivi del capoluogo che, per frenare le mire espansionistiche del contrapposto clan MAZZARELLA e ampliare il suo raggio d’azione, ha appoggiato il sodalizio SIBILLO.
L’operazione “Cartagena” ha fatto emergere anche i rapporti tra il gruppo CONTINI e il clan COMMISSO di Siderno (RC) riguardo alla fabbricazione e commercializzazione in territorio nazionale e transnazionale - specificatamente in Olanda - di banconote di vario taglio, contraffatte, nonché a traffici di stupefacenti importati in Italia attraverso l’Olanda e la Spagna, provenienti dal Venezuela e dalla Colombia.
Nei Quartieri Spagnoli, la scarcerazione, nell’aprile 2018, del capo del clan MARIANO ha determinato la reazione di gruppi antagonisti manifestatasi con una serie di attentati, proseguiti fino al corrente anno: tra questi si citano, il ferimento di un affiliato ritenuto vicino al capo clan, avvenuto il 25 gennaio 2019 e l’esplosione, il 31 gennaio, di diversi colpi d’arma da fuoco contro l’abitazione dello stesso capo clan. L’accrescersi delle tensioni ha spinto i gruppi coinvolti a ricercare alleanze con altri sodalizi.
Nel quartiere Sanità gli assetti criminali sono stati ulteriormente destabilizzati dagli arresti, il 18 febbraio 2019, di affiliati ed elementi apicali dei clan SEQUINO, stanziato in via Santa Maria Antesaecula, legato alla famiglia MAZZARELLA e dell’antagonista VASTARELLA, egemone nella zona delle Fontanelle e referente dei LICCIARDI nel rione.
Nei quartieri a nord di Napoli è in atto una rimodulazione degli assetti criminali dell’area nord di Napoli che riguarda, in particolare, le organizzazioni operative nel territorio di Secondigliano, dove sarebbero saltati i precedenti equilibri, già scossi dal declino del clan LO RUSSO e dal progressivo indebolimento dei sodalizi VANELLA-GRASSI e AMATO-PAGANO, a vantaggio di altre formazioni criminali. Altro potente gruppo locale è la famiglia LICCIARDI della Masseria Cardone, che ha esteso i propri tentacoli sul quartiere Secondigliano, assegnando la reggenza di singoli rioni a propri referenti. Si tratta delle famiglie CARELLA, del Rione Berlingieri; GRIMALDI di San Pietro a Patierno e MAIONE, che gestisce l’area nota come “Perrone”.
La zona occidentale della città di Napoli è sempre stata caratterizzata da un’elevata parcellizzazione criminale, causa, nel tempo, di numerosi scontri armati tra i diversi gruppi, provocati dalla necessità di evitare sconfinamenti territoriali e conservare il predomino sui traffici illeciti. Anche in quest’area, le lunghe detenzioni dei capi clan hanno determinato l’ascesa di figure di secondo piano cresciute all’interno dei rispettivi clan. Queste figure, in alcuni casi hanno assicurato continuità alle attività illecite della consorteria di apparenza, in altri hanno dato luogo a nuove formazioni camorristiche, accettando il rischio di dare inizio a sanguinose faide.
Nell’area della provincia settentrionale operano diversi gruppi le cui dinamiche criminali sono interconnesse con quelle di alcuni sodalizi del capoluogo e della provincia di Caserta. Diversamente da quanto accaduto per Napoli, non si evidenziano conflittualità, poiché clan storici quali i MALLARDO, i MOCCIA e i POLVERINO, seppur indeboliti dagli arresti, sembrerebbero ancora in grado di far valere la loro leadership, forti di un significativo potere economico. Altro elemento di forza delle organizzazioni locali è il rapporto che lega alcune di loro con il mondo politico-imprenditoriale.
L’area vesuviana è stata interessata da alcuni importanti eventi che, tuttavia, non ne hanno rimodulato gli assetti criminali.
In provincia di Caserta si conferma la pervasiva presenza e la permanente vitalità dei clan SCHIAVONE, ZAGARIA, BIDOGNETTI, federati nel cartello dei CASALESI, con rilevanti insediamenti in Veneto, Emilia Romagna, Toscana e Lazio. Il loro potere si manifesta non solo in ambiti più strettamente criminali ma soprattutto in contesti di natura affaristica, dove sono in grado di esercitare una forte influenza in virtù di meccanismi collaudati negli anni, malgrado quasi tutti i fondatori e gli affiliati storici siano stati arrestati, condannati e si trovino, tuttora, in stato di detenzione. Senza contare, poi, le collaborazioni di elementi di spicco del cartello. Al riguardo, si richiama la decisione di collaborare con l’AG del figlio del capo del clan BIDOGNETTI, risalente ai primi mesi del 2019, che segue l’analoga scelta adottata da uno dei figli del capo del gruppo SCHIAVONE, nell’anno precedente.
Continuano ad essere portate a termine, in tutta la provincia operazioni finalizzate alla disarticolazione di associazioni dedite a traffici di stupefacenti. Tra i reati fine delle organizzazioni casertane un peso importante hanno le estorsioni, consumate non solo attraverso richieste di denaro ma anche di prestazioni d’opera gratuite, o di assunzione di affiliati presso le imprese taglieggiate.
Parte importante dell’ossatura del sistema casertano sono le figure di imprenditori-camorristi che, come conclamato in numerosi procedimenti giudiziari, sono riusciti ad inserirsi in appalti per la realizzazione di opere pubbliche, con la spinta di organizzazioni camorristiche e la complicità di amministratori pubblici, ma anche a monopolizzare la gestione di interi comparti produttivi. Un modus operandi che si è registrato non solo in Campania ma anche in altre regioni.
La provincia di Salerno presenta una situazione generale riferita alla criminalità organizzata particolarmente disomogenea, con aspetti e peculiarità che variano in ragione della sensibile diversità geografica, storica, culturale, economica e sociale che connota le diverse zone della provincia. Non si registrano significativi cambiamenti sotto il profilo degli equilibri e dei principali interessi delittuosi dei sodalizi locali.
Permangono importanti collegamenti con consorterie originarie del napoletano e del casertano, con le quali i clan salernitani condividono interessi e sinergie criminali.
Le stesse sinergie sono riscontrate anche tra gruppi locali, specie nel caso in cui siano risultate funzionali ad una migliore gestione delle attività criminali. L’azione repressiva di Magistratura e Forze di polizia ha determinato, di fatto, un affievolimento dell’effettiva “operatività criminale” dei clan nelle diverse realtà territoriali. Nei vuoti di potere conseguenti alla citata azione di contrasto, si sono inseriti gruppi criminali minori, non sempre identificabili come sodalizi di chiara matrice camorristica, orientati comunque alle tipiche attività delle associazioni mafiose: traffico di stupefacenti, estorsioni, usura, detenzione di armi, rapine e truffe ai danni delle assicurazioni e di enti pubblici. Anche questi gruppi, al pari degli omologhi napoletani, manifestano la loro presenza sul territorio attraverso violente azioni intimidatorie.
Per quanto attiene alla dislocazione territoriale delle consorterie, possono individuarsi tre macro-aree.
La prima è costituita dall’area urbana salernitana, dove è in atto un assestamento degli equilibri del potere criminale, legati al fenomeno della droga e dove il porto commerciale assume un ruolo rilevante nella definizione del dispositivo di contrasto a illeciti quali il traffico internazionale di stupefacenti e di sigarette, in cui spesso risultano coinvolte organizzazioni criminali di altre aree della Penisola.
La seconda è rappresentata dall’agro Nocerino-Sarnese, storicamente più permeato dalla presenza di consorterie di tipo camorristico, in rapporti con i clan della limitrofa area vesuviana, dedite principalmente al traffico di sostanze stupefacenti e ai reati contro il patrimonio (estorsioni, usura e rapine), con episodi di intimidazione nei confronti dei commercianti della zona.
La terza comprende la Costiera Amalfitana, il Cilento e il vallo di Diano, zone molto estese e contraddistinte da rinomate località turistiche marittime e montane, caratterizzate da una presenza di organizzazioni criminali attive, in modo particolare, nel settore delle costruzioni. In particolar modo il Cilento e il Vallo di Diano - oltreché essere luoghi prescelti per la latitanza da parte di camorristi napoletani e casertani - negli ultimi anni stanno emergendo per attività di riciclaggio e reimpiego di capitali di provenienza illecita, investiti in loco da sodalizi provenienti dall’area napoletana nonché per la presenza, nella gestione di attività commerciali e del traffico di sostanze stupefacenti, di soggetti legati a consorterie ‘ndranghetiste, che hanno qui esteso la loro influenza tramite pregiudicati locali.
A Salerno si conferma il ruolo egemonico del clan D’AGOSTINO, per il quale il traffico e lo spaccio di stupefacenti, insieme all’usura, alle rapine ed alle estorsioni, restano le principali attività illecite.
Il territorio di Avellino resta permeabile ad infiltrazioni di clan delle province di Napoli, Caserta e Benevento. I gruppi locali, molti dei quali con proiezioni anche in altre aree della regione e del territorio nazionale, sono inseriti in numerosi settori illeciti ed hanno dimostrato, in passato, di saper condizionare le amministrazioni pubbliche locali.
La aree della provincia di Benevento maggiormente caratterizzate dall’operatività di associazioni camorristiche sono il Capoluogo, la Valle Caudina e la Valle Telesina, dove operano gruppi criminali minori legati alle consorterie SPARANDEO e PAGNOZZI, la prima presente nel capoluogo, la seconda nella Valle Caudina, entrambe in rapporti “d’affari” con clan napoletani e casertani.
Come meglio specificato nel cap. 6. “Proiezioni della criminalità organizzata sul territorio nazionale” (in particolare con riferimento alle presenze in Lazio, Liguria, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Umbria e Abruzzo), l’interesse fuori regione delle consorterie mafiose campane si rivolge prevalentemente al narcotraffico e al riciclaggio di capitali.
All’estero, tra i Paesi più interessati al fenomeno, si segnalano la Spagna, il Regno Unito, la Svizzera, la Germania, Paesi Bassi, Repubblica Ceca, Malta, Albania, Romania, la Colombia, Venezuela, Cina e Paesi africani (cfr. cap. 8 “La criminalità organizzata all’estero”).

Criminalità organizzata pugliese e lucana
Le mafie pugliesi, distinte sulla base delle zone geografiche di influenza in mafia foggiana, criminalità barese e, nel Salento, sacra corona unita, continuano a rappresentare realtà criminali eterogenee e di complessa classificazione.
L’analisi dei dati relativi al primo semestre 2019 conferma l’esistenza di sistemi criminali dotati di estrema dinamicità. Nella Regione, infatti, si configurano scenari in cui, a forme più strutturate di alleanze e confederazioni criminali, finalizzate soprattutto ad una gestione sinergica degli affari illeciti più remunerativi e con rilevanza anche extraregionale (traffici di stupefacenti ed armi, riciclaggio), si contrappongono storici antagonismi e repentine fratture. Queste, non di rado, sono l’effetto di strategie ben ponderate, finalizzate a conquistare posizioni di supremazia nei rapporti tra consorterie o nell’ambito di “comparanze”, spesso approfittando degli altalenanti momenti di difficoltà vissuti dai contrapposti sodalizi a causa dell’efficace e pressante attività di contrasto delle Forze di polizia.
Tale singolare fermento negli assetti criminali ha comportato, nel periodo in esame, specie nel foggiano e nella contigua provincia di Barletta-Andria-Trani, un numero considerevole di fatti di sangue che in molti casi hanno colpito direttamente capoclan ed esponenti di rilievo delle cosche .
In generale, gli ambienti malavitosi della Regione, mafiosi e di delinquenza comune, continuano a manifestare accese forme di aggressività e violenza,  nelle menzionate faide interne per ristabilire gli equilibri di forza , nella commissione di reati predatori con un disinvolto ricorso ad armi, anche da guerra, ed esplosivi , e infine nei confronti di appartenenti alle Forze di polizia o di funzionari pubblici .
In tali contesti va collocato l’omicidio del 13 aprile 2019, a Cagnano Varano (FG), del Maresciallo Maggiore dei Carabinieri Vincenzo DI GENNARO, commesso da un pregiudicato a seguito di alcune attività di polizia giudiziaria esperite nei suoi confronti.
Il 25 aprile 2019, un altro emblematico episodio di violenza si è verificato a Bisceglie (BAT), dove, un pregiudicato per spaccio di stupefacenti ha esploso alcuni colpi di arma da fuoco contro il Comandante ed un Maresciallo della Tenenza dei Carabinieri, fortunatamente senza provocare danni alle persone.
Le attività criminali delle consorterie pugliesi si sviluppano su diversi fronti, a partire dal traffico di stupefacenti, alimentando in maniera considerevole le entrate dei gruppi malavitosi. 
La posizione geografica e l’affaccio delle coste sull’Adriatico fanno sì che la criminalità pugliese gestisca, assieme agli albanesi, un’importante fetta del mercato europeo della droga, in quanto quest’ultimi tradizionalmente assicurano l’approvvigionamento della marijuana dai propri territori d’origine. I rilevanti proventi del mercato della marijuana, oltre ad essere riciclati in madrepatria nello sviluppo di assets strategici come edilizia e turismo, sono oggi reinvestiti dalle consorterie shqiptare  nell’acquisto dell’eroina di provenienza asiatica e della cocaina , spesso direttamente dai narcos colombiani. In Puglia, tale mercato viene agevolato dalla presenza stanziale di numerosi cittadini di origine albanese , divenuti in qualche caso anche organici o fiancheggiatori della criminalità organizzata locale. Per altro verso, “il “lato opaco” (the grey area) dell’imprenditoria pugliese - esaltando la sua componente criminale - troverebbe opportunità per immediato e fruttuoso reinvestimento di fondi illeciti all’interno dell’Albania, attraverso lo stabilimento in loco di società apparentemente legittime, anche sfruttando il fatto che la locale legislazione di settore - non particolarmente “invasiva” in termini di controlli preventivi - consente che si strutturino attività commerciali, artigiane ed industriali sul mercato con notevole facilità” .
Più nel dettaglio particolare attenzione merita nell’ultimo periodo la provincia di Foggia, dove il forte legame dei gruppi criminali con il territorio, i rapporti familistici di gran parte dei clan foggiani e la massiccia presenza di armi ed esplosivi favoriscono un contesto ambientale omertoso e violento. Nella città di Foggia, in cui si continuano a registrare frequenti azioni intimidatorie, si conferma la spiccata operatività della società foggiana, all’interno della quale operano le tre batterie dei PELLEGRINO-MORETTI-LANZA, SINESI-FRANCAVILLA e TRISCIUOGLIO-PRENCIPE-TOLONESE, sotto-articolazioni dotate di autonomia decisionale. Lo scenario criminale del Gargano continua ad essere contraddistinto da una forte instabilità sulla quale incide in modo determinante la cruenta contrapposizione tra i clan ROMITO e LI BERGOLIS, che si riverbera su tutta la criminalità locale e, in particolare, a Vieste, nella faida tra i clan PERNA e RADUANO. Nell’area garganica assumono un ruolo sempre più strategico i territori di San Marco in Lamis, Rignano Garganico, Sannicandro Garganico e Cagnano Varano con le incisive presenze di gruppi locali - come i MARTINO ed i DI CLAUDIO-MANCINI, tra loro contrapposti - ed il ritorno della famiglia malavitosa TARANTINO, cui si aggiungono nuove figure criminali che sono riuscite a diventare punti di riferimento in zona per i sodalizi di Foggia, San Severo e Gargano.
Nell’area dell’alto Tavoliere, la città di San Severo continua ad essere un importante epicentro nelle politiche criminali di definizione di assetti interni e strategie comuni, ciò per un rafforzamento dell’influenza della mafia sanseverese in tutta Nel basso Tavoliere, l’esistenza di un organo decisionale condiviso fa sì che la criminalità cerignolana (i cui rappresentanti più significativi si individuano nei vertici del clan PIARULLI e DI TOMMASO) non risenta delle fibrillazioni in atto nel resto della provincia. Manifesta, invece, una comprovata capacità di assoggettare il tessuto criminale locale in modo pragmatico, riducendo al minimo le frizioni in seno allo stesso, nonostante la pluralità di soggetti e di interessi illeciti in gioco.  la provincia ed in particolare nel comune limitrofo di Torremaggiore.
I diversi gruppi operanti nella provincia di Barletta-Andria-Trani dimostrano una spiccata aggressività criminale che, pur mantenendo tratti di autonomia operativa, si coniuga con quella delle limitrofe organizzazioni criminali baresi, foggiane e soprattutto cerignolane.
Le compagini criminali più strutturate della provincia di Bari, oltre ai tradizionali traffici delittuosi, appaiono sempre più interessate all’infiltrazione dell’imprenditoria legale, specie quella connessa al settore degli appalti pubblici, all’edilizia e al commercio. Questi gruppi manifestano competenze tecniche sempre più elevate ed una marcata propensione ad investire in settori economici emergenti, come quello del gioco d’azzardo e delle scommesse on line.
La provincia di Taranto vede l’operatività di piccoli aggregati criminali, nell’area cittadina così come nelle aree provinciali, tutti attivi nel traffico delle sostanze stupefacenti, nelle estorsioni e nell’usura.
In provincia di Brindisi, le recenti evidenze investigative confermano la perseverante attività criminale dei capi storici della sacra corona unita brindisina
Per la provincia di Lecce, lo scenario complessivo delle consorterie criminali mafiose appare frammentato, multiforme e fluido. Ormai privi di leader carismatici e ulteriormente indeboliti dalle collaborazioni di alcuni affiliati, i gruppi criminali della provincia stanno attraversando un periodo difficile, pur tentando di continuare ad esprimere una capacità criminale in nome e per conto dei capi della SCU reclusi. Questi ultimi continuerebbero, dal carcere, a dettare le regole per il mantenimento dell’ordine mafioso, condividendo la gestione delle illecite attività attraverso una sorta di investitura nei confronti di parenti e luogotenenti liberi.
Sul circondario salentino è particolarmente evidente l’attivismo criminale del clan TORNESE, che da Monteroni di Lecce risulta egemone, tramite propri fiduciari, anche nei territori di Guagnano, Carmiano, Veglie, Leverano, Arnesano, Porto Cesareo e Sant’Isidoro.
Gli assetti criminali della regione Basilicata non possono essere letti in maniera disgiunta da quelli pugliesi e calabresi. Si continua, infatti, a registrare una interazione tra i sodalizi lucani e le frange criminali della Puglia (specie delle province di Bari, Foggia e Taranto), le cosche dell’alto Ionio calabrese e i gruppi stranieri.
Come meglio specificato nel cap. 6. “Proiezioni della criminalità organizzata sul territorio nazionale”, l’interesse fuori regione delle consorterie criminali pugliesi si rivolge prevalentemente al traffico di stupefacenti e al cosiddetto “pendolarismo criminale” finalizzato alla commissione di reati predatori. Non mancano contatti con territori esteri, in particolare con l’Albania, per l’approvvigionamento di carici di stupefacenti via mare e con Malta, per le attività illegali connesse al settore dei giochi on line.

Le organizzazioni criminali straniere in Italia
Il panorama nazionale criminale negli ultimi anni ha fatto emergere in più occasioni come i sodalizi di matrice straniera non solo spesso ricorrano ad una interazione con quelli nazionali, ma abbiano anche acquisito una indipendenza sempre maggiore nelle attività illecite.
In sostanza, nel corso del tempo, tali consorterie si sono sovrapposte alle presenze criminali tradizionali, agendo nel sud del paese con l’assenso delle organizzazioni mafiose di quel territorio , mantenendo una gestione più autonoma nelle regioni del centro-nord.
Anche nel semestre in argomento, permangono quali attività preminenti dell’operatività della criminalità straniera nel nostro Paese, il traffico di stupefacenti, delle armi, i reati inerenti alla immigrazione clandestina e le tratta di persone da avviare alla prostituzione ed al lavoro nero - attraverso il fenomeno del caporalato - la contraffazione, i reati contro il patrimonio, e i furti di rame.
Le criminalità più attive nel traffico delle sostanze stupefacenti sono quella albanese, la nigeriana e la marocchina che operano ognuna in modo specifico.
Per la nigeriana, l’analisi condotta restituisce l’immagine di una criminalità che, nonostante la pluralità dei gruppi e cults che la compongono, si presenta compatta e con una fisionomia del tutto peculiare. Si tratta di cults che nel tempo sono stati in grado non solo di avviare importanti sinergie criminali con le organizzazioni mafiose autoctone, ma di diventare essi stessi associazioni di stampo mafioso, perseguibili ai sensi dell’art.416 bis c.p.. Una vera e propria “mafia nigeriana” connotata dal vincolo associativo, dalla forza di intimidazione, dal controllo di parti del territorio e dalla realizzazione di profitti illeciti. A questa connotazione si vanno ad aggiungere la componente mistico-religiosa, i codici di comportamento ancestrali e l’uso indiscriminato della violenza.
La criminalità albanese continua ad apparire tra le più pericolose, anche in ragione della spiccata vocazione ad intessere proficue relazioni internazionali.
Punto di forza è sicuramente la presenza capillare sul territorio italiano, caratterizzata da forme associative ben strutturate, composte da nuclei che si raccordano direttamente a propri referenti presenti in Albania, specie per l’approvvigionamento di stupefacenti.
Proprio la predilezione verso i traffici di stupefacenti conferisce ai sodalizi albanesi un ruolo importante nei rapporti con le altre organizzazioni criminali, anche straniere, tanto da rappresentare, per alcuni gruppi mafiosi autoctoni (soprattutto pugliesi), un canale privilegiato per l’approvvigionamento di stupefacenti, principalmente eroina e cocaina, potendo confidare su una fitta rete di connazionali operanti, oltre che in madrepatria, anche in America del sud, Olanda, Spagna, Turchia e Inghilterra.
La criminalità cinese continua a concentrare i propri interessi criminali prevalentemente nel favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, finalizzata al lavoro “nero”, alla prostituzione ed alla tratta degli esseri umani, nei reati contro la persona (talvolta commessi nell’ambito di azioni intimidatorie o scontri tra gruppi contrapposti), rapine ed estorsioni in danno di connazionali, contraffazione di marchi e contrabbando di sigarette. Tali condotte delittuose sono, spesso, reati-presupposto per altri delitti, quali il riciclaggio e il reimpiego di capitali: non mancano, infatti, le evidenze investigative circa la gestione degli illeciti proventi tramite la creazione di aziende fittizie.
Per la criminalità romena, il traffico di stupefacenti, anche in concorso con soggetti criminali italiani, lo sfruttamento della prostituzione, la tratta di persone, l’intermediazione illecita dello sfruttamento della manodopera rimangono i reati di maggior interesse.
Le indagini degli ultimi anni hanno evidenziato, invece, l’interesse dei gruppi criminali originari dei Paesi dell’ex Unione Sovietica soprattutto verso la commissione di reati contro il patrimonio, verso il traffico di stupefacenti e di armi, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e lo sfruttamento della prostituzione, mentre non viene escluso un più ampio sistema di riciclaggio e reimpiego dei proventi illeciti in Italia ed in altri Stati d’Europa.
Per quanto riguarda la criminalità sudamericana, che ricomprende componenti di origine boliviana, colombiana, venezuelana, dominicana, peruviana ed ecuadoriana, si confermano gli interessi nei traffici internazionali di stupefacenti, nello sfruttamento della prostituzione e nei reati contro il patrimonio e la persona.Tra i vari gruppi, resta alta la pericolosità delle “gang” dei latinos, le cd. pandillas, diffuse soprattutto nelle aree metropolitane di Genova e Milano.
Anche i gruppi criminali del Centro-Nord Africa e dell’estremo Oriente stanziati nel nostro Paese interagiscono, spesso, con cittadini italiani o di altre nazionalità, in particolare per il traffico e lo spaccio di sostanze stupefacenti.


LINEE EVOLUTIVE DELLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA.
IL RAPPORTO “MAFIA E TERRITORIO”.

La nota “visione” classificatrice di Falcone tra attività criminali “di primo e secondo livello” tracciata nel libro “Cose di Cosa Nostra”, trova un’importante conferma nelle evidenze info-investigative raccolte nel semestre. Esse rappresentano la cartina di tornasole di un agire mafioso che continua a muoversi tra attività criminali “di primo livello” e “di secondo livello”, intendendo le prime le azioni illegali “essenziali”, che si esprimono attraverso la “pressione” e il controllo capillare del territorio e che generano una forte liquidità di denaro.
Sono esse le vere “fonti primarie” in cui rientrano le estorsioni, l’usura, i sequestri di persona, il traffico e lo spaccio di stupefacenti, il contrabbando di tabacchi, il traffico di armi, il gioco e le scommesse quando attuati su circuiti completamente illegali e, con specifico riguardo alla criminalità straniera, la prostituzione, la tratta degli esseri umani, le rapine e i furti e tutto ciò che concorre, in termini di manovalanza criminale, al perfezionamento di tali attività.
Le attività “di primo livello” sono funzionali sia al sostentamento del gruppo (vi rientrano il “salario” mensile e le spese connesse alla detenzione degli affiliati), sia a capitalizzare denaro sporco che necessita di essere riciclato.
Esse rappresentano il welfare, perché offrono occupazione, assistenza e assicurano un tenore di vita proporzionale all’impegno criminale profuso nelle attività del gruppo.
Le attività “di primo livello” oltre ad alimentare l’organizzazione e a consentire la gestione di un vero e proprio welfare, determinano un surplus molto rilevante che deve essere reimpiegato. Da qui la necessità di una seconda fase.
Le attività criminali “di secondo livello” rappresentano l’evoluzione della strategia mafiosa e si caratterizzano per metodi più sofisticati e discreti. Queste appaiono oggi sempre più “necessarie” per la “nuova” mafia imprenditrice, perché offrono il vantaggio di destare meno allarme sociale, coinvolgendo imprenditori, professionisti e pubblici funzionari. Allo stesso tempo consentono alla mafia di inquinare l’economia legale e di espandersi oltre regione e all’estero, facendole assumere le caratteristiche proprie di un’impresa.
Si tratta di “attività” complesse, in molti casi legate al riciclaggio e al reimpiego di capitali, che si nutrono dell’infiltrazione nella pubblica amministrazione e della gestione degli appalti, della grande distribuzione, del ciclo dei rifiuti, del gioco e delle scommesse.
Le attività “di secondo livello” possono essere espressione di due modalità operative.
In primo luogo, sono temporalmente legate alle attività criminali “di primo livello” e in genere ai c.d. “reati spia”, che generano un forte afflusso di denaro contante. Questa fase segna il passaggio tra le attività illegali e quelle solo apparentemente legali.
Un passaggio che ha un costo (fino al 50% delle somme da riciclare), che l’organizzazione mafiosa sopporta pur di far perdere le tracce della provenienza illecita del denaro.
In secondo luogo, sono realizzate dalle mafie alla stregua di un’impresa dal solido “capitale sociale”, che si muove, pertanto, all’interno di un contesto di apparente legalità. In questi casi la corruzione di pubblici funzionari, lo scambio elettorale politico-mafioso, l’infiltrazione negli Enti locali, l’acquisizione di aziende produttive e la ricerca di imprenditori e professionisti compiacenti, costituiscono il volano per moltiplicare i profitti e allargare il raggio d’azione degli investimenti, allontanando sempre di più l’“aura mafiosa” dai propri affari.
È questo il momento in cui la mafia si presenta nella sua veste più moderna e imprenditrice, ammantandosi di apparente legalità.
I professionisti e gli imprenditori collusi - l’area grigia dell’economia criminale - consentono alle cosche di entrare in contatto con un’altra area grigia, altrettanto pericolosa, in cui operano gli apparati infedeli della Pubblica Amministrazione.
La corruzione è l’anello di congiunzione tra queste due aree grigie.
È lo strumento attraverso il quale le cosche, mediate dall’imprenditoria collusa, diventano, di fatto, un vero e proprio contraente della Pubblica Amministrazione, con ciò rafforzando e consolidando la propria posizione.
Le commesse pubbliche, i finanziamenti nazionali e comunitari, unitamente a settori da sempre privilegiati dalle consorterie mafiose (si pensi ai rifiuti, all’edilizia ed al ben noto ciclo del cemento) sono diventati un’occasione irrinunciabile per i gruppi criminali perché, oltre a consentire loro di drenare risorse e di riciclare denaro, permettono di infiltrarsi negli apparati pubblici e nelle procedure di aggiudicazione degli appalti.
Non sono mancati, infatti, anche nel semestre in esame casi di scioglimenti di Consigli comunali collegati ad infiltrazioni negli appalti pubblici.
Proprio per la complessità delle azioni mafiose, la distinzione tra attività criminali “di primo e secondo livello” non sempre si riscontra in maniera netta. In molti casi le due fasi coesistono, generando un circuito illegale in cui l’una alimenta l’altra e viceversa.
L’esempio più evidente di categoria “a cavallo” tra i due ambiti è costituito dal settore dei giochi e delle scommesse. Tali attività, se da un lato possono essere qualificate “di primo livello” (quando si sviluppano su canali del tutto illegali), dall’altro vanno ricomprese in quelle “di secondo livello” quando, pur essendo svolti con finalità criminali, si realizzano su piattaforme di gioco legali o nei confronti di operatori legali del settore.
A questo punto, per interpretare le linee evolutive future delle mafie, è opportuno comprendere le modalità con le quali, tendenzialmente, ciascuna organizzazione mafiosa si esprime rispetto alle due tipologie di azione criminale.
Tra le attività criminali “di primo livello” la più remunerativa e la più trasversale tra le organizzazioni è quella degli stupefacenti, settore in cui la ‘ndrangheta è senza dubbio la protagonista del traffico internazionale, ma in cui opera anche Cosa nostra, la camorra, la criminalità organizzata pugliese e le organizzazioni criminali straniere (in special modo albanesi, marocchine e nigeriane), spesso anche con manovalanza criminale di minori.
Accanto agli stupefacenti, tra le tipiche “attività criminali di primo livello” si collocano le estorsioni e l’usura (comuni a tutte le matrici criminali), che oltre a generare una forte liquidità, sono funzionali al controllo del territorio.
Queste attività vengono, infatti, utilizzate dalla ‘ndrangheta come veri e propri “cavalli di Troia” per penetrare l’economia legale, attraverso la progressiva acquisizione di imprese “pulite”. In parallelo, gli atti intimidatori restano gli strumenti prediletti per indurre imprenditori e commercianti a pagare il “pizzo”.
Le evidenze investigative raccolte nel semestre testimoniano come l’organizzazione calabrese non abbia mai abbandonato la pratica dei sequestri di persona, per estorcere denaro o per incutere timore. A differenza degli albori criminali delle cosche, in cui erano i facoltosi imprenditori del nord ad essere coinvolti, questa pratica sembra oggi confinata alla Calabria.
Una pratica, quella in parola, che si è riscontrata anche per Cosa nostra e la camorra.
Ci sono poi attività criminali “di primo livello” che appartengono in maniera quasi esclusiva alle organizzazioni straniere, come la tratta degli esseri umani, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e la prostituzione, fenomeni interconnessi che vanno ad aggiungersi al traffico di sostanze stupefacenti, come si è visto trasversale a tutte le organizzazioni.
La criminalità nigeriana ha dato, nel semestre, forti segnali di vitalità in questi settori, come dimostrano gli arresti di diversi cittadini nigeriani nell’ambito di più operazioni, tra le quali una conclusa a Caserta, nel mese di marzo, dalla Polizia di Stato, un’altra a Torino, dai Carabinieri, nel mese di aprile e un’altra ancora a Palermo, nel mese di giugno, conclusa dalla Guardia di finanza.
Una criminalità che opera da nord a sud e che indipendentemente dalla latitudine fa dell’immigrazione clandestina, della tratta degli esseri umani e dello sfruttamento della prostituzione degli importanti canali di finanziamento.
Le attività criminali “di primo livello”, che come si è visto vengono realizzate dalle mafie soprattutto nelle regioni del sud, dove esercitano ancora un capillare controllo del territorio, oltre ad alimentare la manovalanza criminale e a garantire un sostentamento alle famiglie degli affiliati, generano delle importanti provviste.
Si impone, di conseguenza, per le cosche la necessità di ampliare il proprio raggio d’azione e di reimpiegare questi fondi immettendoli nei mercati legali.
Un processo di espansione “a macchia d’olio” che non è casuale. Le mafie sono portatrici di un modello imprenditoriale che le fa orientare soprattutto lì dove l’utilità marginale, in termini economico-finanziari, è più alta e dove il ritorno dell’investimento è più vantaggioso.
Così le cosche, in Italia, puntano ai mercati del Centro – Nord ed all’estero rivolgono un’attenzione particolare verso i Paesi dove il PIL è in crescita.
È con questa prospettiva che si proiettano fuori dalle regioni d’origine, dove le evidenze info-investigative danno conto di dinamiche delittuose indirizzate innanzitutto alla “gestione del mercato” degli affari, da occupare attraverso il supporto di imprenditori e professionisti, spesso vittime, ma in alcuni casi anche complici consapevoli delle operazioni di riciclaggio delle cosche. Il loro supporto diventa fondamentale non solo per schermare la provenienza dei capitali illeciti – buona parte dei quali derivanti dalle attività criminali “di primo livello”, in primis il traffico internazionale di stupefacenti – ma anche per variare il paniere degli investimenti, creando a tale scopo anche strutture giuridiche complesse.
Sono queste figure intermedie che consentono alle mafie di spostare l’asse degli interessi verso le attività criminali “di secondo livello”, che si sviluppano secondo precise direttrici geografiche.
Tali attività, pur se in maniera più superficiale, si riscontrano già nelle regioni di elezione delle mafie. Non sono mancate, infatti, nel semestre, attività criminali “di secondo livello” che potremmo definire “a filiera corta”, dal momento che, geograficamente, vanno ad insistere sugli stessi territori (Calabria, Sicilia, Campania,  Puglia e Basilicata) in cui, come descritto precedentemente, si realizzano con più frequenza le attività “di primo livello”.
Ma la vera forza delle “attività criminali di secondo livello” si esplica soprattutto al nord.
In Valle d’Aosta e in Piemonte sono state numerose, nel semestre, le evidenze di una infiltrazione da parte della ‘ndrangheta.
Emblematica è l’operazione “Geenna” conclusa nel mese di gennaio dall’Arma dei carabinieri, che oltre a disvelare l’esistenza del locale di Aosta, facente capo alla cosca Nirta “Scalzone” di San Luca (RC) ed un grosso traffico internazionale di stupefacenti, ha documentato la partecipazione al sodalizio, quali concorrenti esterni, di un noto avvocato del foro di Torino e di alcuni amministratori locali. Due figure chiave, funzionali, l’una a dare supporto nella conclusione degli affari della cosca, le altre a tentare di inserirsi negli apparati pubblici.
Spostando l’attenzione verso le “attività criminali di secondo livello” che si sono registrate in Lombardia, si richiama l’attività della DIA di Milano che, nel prosieguo dell’operazione “Linfa”, ha scoperto un’organizzazione collegata ai PESCE-BELLOCCO della Piana di Gioia Tauro (RC) che, attraverso sofisticate triangolazioni tra banche svizzere, moldave e italiane, faceva rientrare nel territorio dello Stato ingenti somme di denaro, in modo da mascherarne la provenienza delittuosa.
A maggio, con un’operazione congiunta denominata “Mensa dei poveri”, i Carabinieri e i Finanzieri hanno scoperto, tra le province di Milano e Varese, l’intreccio di interessi fra un imprenditore attivo nel settore dei rifiuti e delle bonifiche ambientali, ed esponenti del gruppo ‘ndranghetista MOLLUSO di Corsico (MI), collegati al noto sodalizio BARBARO-PAPALIA di Corsico e Buccinasco (MI). L’imprenditore, oltre ad aver assunto nella propria azienda operai segnalati dalla cosca, attraverso rapporti di corruttela era riuscito ad aggiudicarsi importanti appalti, “girando” parte delle commesse alla famiglia MOLLUSO, con la modalità nei noli a caldo.
Aveva, invece, stabilito la sede di una holding a Milano, nella notissima Via Montenapoleone, un imprenditore, residente in provincia di Brescia, “contiguo” al clan RINZIVILLO di Cosa nostra gelese, per conto del quale riciclava capitali. L’uomo aveva infatti costituito una galassia di società attorno alla holding, sparse tra Brescia, Bergamo, Milano, Torino, Verona, Roma e Gela, operanti nei settori della consulenza amministrativa, finanziaria e aziendale, della sponsorizzazione di eventi e del marketing sportivo, del noleggio di autovetture e mezzi di trasporto marittimi ed aerei, del commercio all’ingrosso e al dettaglio di prodotti petroliferi, di studi medici specialistici, della fabbricazione di apparecchiature per illuminazione e della gestione di bar. Tra i beni sequestrati persino un quadro, risalente al XVII secolo del maestro fiammingo Jacob Joardens, stimato 6 milioni di euro.
Anche nel Nord Est si sono colti, nel semestre, chiari segnali di una propensione dei clan, in particolare della ‘ndrangheta e della camorra, ad infiltrare il tessuto sociale e imprenditoriale attraverso le “attività criminali di secondo livello”.
Per quanto riguarda la ‘ndrangheta appare di notevole interesse l’operazione “Terry”, conclusa nel mese di febbraio dall’Arma dei carabinieri.
Le indagini hanno ricostruito le condotte criminali della famiglia Multari, originaria di Cutro (KR) e legata alla cosca GRANDE ARACRI, con le quali, nell’arco di circa un trentennio, si sono infiltrati in provincia di Verona. Soggetti che, presentandosi come imprenditori, sono entrati in contatto con altri imprenditori, insinuandosi, così, nel sistema legale, diventandone dei punti di riferimento, anche per la “risoluzione di problemi” di vario genere. Il nome dell’operazione viene, infatti, dal caso dello yacht “Terry”, per il quale il proprietario, un imprenditore veneziano, dopo averne perfezionato la vendita, ne aveva chiesto la distruzione agli ‘ndranghetisti. L’acquirente aveva scoperto dei gravi difetti nell’imbarcazione, tanto da volerne contestare la vendita, facendo effettuare delle perizie. Allo scopo di evitarle, l’imprenditore ne aveva pertanto richiesto l’incendio ad opera dei clan.
Ha avuto, invece, un riflesso più ampio l’operazione “Camaleonte”, conclusa nel mese di marzo dall’Arma dei carabinieri e dalla Guardia di finanza, che ha fatto luce sugli interessi della cosca GRANDE ARACRI di Cutro (KR) tra diverse province venete, in particolare a Padova, Treviso, Vicenza, Belluno, Rovigo e non ultima Venezia. La cosca, insediatasi nella provincia di Padova e attiva anche nella vicina Emilia, attraverso gravi intimidazioni e violenze, obbligava gli imprenditori a modificare a proprio vantaggio gli assetti societari, al fine di acquisirne il controllo. Prestava, inoltre, danaro a tassi usurari di oltre il 300%, riciclando ingenti somme di denaro con la complicità di imprenditori conniventi, che si prestavano ad emettere ed utilizzare fatture per operazioni inesistenti.
Anche i Casalesi si sono proiettati in Veneto con l’intento di mimetizzare in “attività di secondo livello” i profitti derivanti dai loro crimini.
L’operazione “At last”, conclusa dalla Polizia di Stato e dalla Guardia di finanza ne è un esempio. È stata infatti scoperta un’associazione per delinquere di tipo mafioso, facente capo al clan dei Casalesi, che operava su più livelli.
In una prima fase poneva in essere delle attività usurarie ed estorsive nei confronti di numerosi imprenditori, che portavano alla spoliazione definitiva dell’azienda.
In una seconda fase, utilizzava le aziende così acquisite come “cartiere” per riciclare il denaro sporco attraverso delle false fatturazioni.
La terza e più evoluta fase del sistema mafioso era collegata allo scambio elettorale politico-mafioso, che si sostanziava, prima nel sostegno economico alla campagna elettorale di un ex sindaco di Eraclea e poi nel supporto amministrativo alle diverse attività economico-imprenditoriali sviluppate dalla consorteria, alla quale l’esponente politico assicurava le necessarie pratiche presso il Comune.
Questa azione di infiltrazione da parte dei casalesi si è spinta fino al Friuli Venezia Giulia, dove la DIA di Trieste e la Guardia di finanza hanno arrestato, nel mese di giugno, in prosecuzione dell’operazione “Piano B”, un ex pugile ingaggiato dal cartello per recuperare dei capitali investiti a Pola, in Croazia, attraverso un intermediario finanziario di Portogruaro(VE).
Scendendo in Emilia Romagna, anche nel semestre in esame si è avuta un’ulteriore conferma della vitalità della cosca GRANDE ARACRI, come si è detto attiva anche in Veneto.
Nel mese di giugno, l’operazione “Grimilde” della Polizia di Stato, prosecuzione della nota indagine “Aemilia”, ha interessato innanzitutto le province di Parma, Reggio Emilia, Piacenza e Mantova dove, oltre agli arresti, sono state sequestrate una serie di società collegate alla citata cosca.
Anche la camorra vede nell’Emilia Romagna un territorio su cui estendere i propri interessi. Una conferma in tal senso viene da un’operazione conclusa, nel mese di aprile, dalla DIA e dalla Polizia di Stato, che ha portato all’arresto dei titolari di una nota catena di pasticcerie, espressione degli interessi della fazione ZAGARIA del clan dei casalesi. Il gruppo aveva pianificato una importante espansione imprenditoriale verso l’Emilia Romagna, dove voleva far fiorire, appunto, nuovi punti vendita.
Per quanto meno strutturata, anche la criminalità organizzata pugliese ha trovato nel territorio emiliano terreno fertile per impiantare attività criminali “di secondo livello”.
È quanto emerso a seguito degli accertamenti conclusi, nel mese di gennaio, sempre dalla DIA di Bologna, che hanno portato a sequestro del patrimonio di un imprenditore vitivinicolo ravennate, del valore di oltre 50 milioni di euro.
In Toscana, tra i segnali mafiosi registrati nel semestre vale la pena di richiamare il tentativo, da parte di referenti delle cosche calabresi, di aprire un’attività di ristorazione sulla spiaggia di Marina di Grosseto. Tentativo sventato grazie al sequestro della società eseguito dalla Guardia di finanza nel mese di marzo.
Una strategia d’azione che punta a sfruttare le potenzialità economiche e a destare il minor allarme sociale che in Toscana appartiene anche alle organizzazioni straniere. Tra queste, quella cinese rappresenta una realtà che si è consolidata nel tempo, operando specialmente nel settore tessile. Proprio un imprenditore del settore è stato colpito, nel mese di maggio, da una confisca eseguita dalla DIA di Firenze. L’uomo, operante nella zona di Prato, aveva accumulato un consistente patrimonio grazie alla gestione del gioco d’azzardo all’interno di capannoni industriali, al contrabbando di merce e al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Un discorso del tutto particolare meritano le attività “di secondo livello” che si sono registrate nel Lazio, dove forse è più accentuato il sincretismo criminale tra consorterie di diversa matrice.
Emblematica, in proposito, per quanto riguarda il semestre, è l’operazione “Equilibri”, conclusa nel mese di maggio dall’Arma dei carabinieri e che ha fatto luce sugli interessi di un sodalizio mafioso di origini catanesi, il clan FRAGALÀ, da anni trapiantato in provincia di Roma. Il gruppo, che si finanziava con il traffico di stupefacenti provenienti dalla Colombia e dalla Spagna, oltre ad essersi federato con una componente del clan dei Casalesi, aveva allacciato rapporti con diversi gruppi mafiosi operanti nella Capitale, nella prospettiva di spartirsi pacificamente le aree in cui reimpiegare i capitali illeciti, con una particolare predilezione per gli investimenti immobiliari.
Dalla disamina sin qui fatta è evidente che le attività di riciclaggio presuppongono l’esistenza di denaro di provenienza illecita.
Per scardinare l’intera impalcatura è necessario, quindi, togliere linfa al “primo livello”.
Lo sforzo investigativo di tutte le Forze di polizia, unitamente all’impalcatura della normativa antimafia nazionale, nonostante i risultati ottenuti nel corso degli anni, non appaiono da soli sufficienti a eradicare il sistema delle organizzazioni mafiose in Italia. Tanto più che negli ultimi anni sono emerse prepotentemente anche le organizzazioni criminali straniere, che in questo sistema sono riuscite comunque a trovare un loro spazio e una loro piena affermazione.
È necessaria allora una valutazione. Perché se veramente si vuol sradicare il triste fenomeno delle mafie, bisogna orientare tutte le politiche istituzionali verso un comune obiettivo, che certamente non può essere raggiunto solo con il contrasto giudiziario.
Al riguardo, dall’esame fin qui fatto emerge che nelle regioni del sud Italia, ove le organizzazioni criminali esercitano anche il controllo territoriale, c’è sempre la commissione di reati considerati di “primo livello” e talvolta dei reati di “secondo livello”.
Nelle aree del Centro – Nord, più ricche, prevale invece la commissione di reati di “secondo livello” rispetto a quelli di “primo livello”.
Ciò ha sollecitato un approfondimento sui motivi alla base di questa differenza, per comprendere meglio la relazione che intercorre tra la presenza mafiosa e lo stato economico-sociale di un territorio. Si è proceduto, così, ad effettuare una serie di analisi, prendendo a riferimento alcune significative variabili socio-economiche, per poi raffrontarle, su base regionale, con variabili espressive di una presenza o attività criminale di stampo mafioso.
Sul piano metodologico, le rappresentazioni statistiche delle variabili socio-economiche sono state organizzate su cinque macro-categorie: istruzione, occupazione, povertà, reddito e impresa, ciascuna delle quali espressa graficamente con un colore diverso.
Alle menzionate macro-categorie socio-economiche se ne è aggiunta un’altra, anche questa espressa graficamente, che si riferisce ai fenomeni criminali. Una macro-categoria che prende in esame i soggetti denunciati e arrestati per reati tipicamente mafiosi, come l’associazione di tipo mafioso, l’aver agito con modalità mafiose e lo scambio elettorale politico-mafioso, cui si aggiungono le interdittive antimafia e le operazioni finanziarie sospette.
Il posizionamento raggiunto dalle Regioni nei vari contesti socio-economici e criminali esaminati è stato sintetizzato in due matrici, ciascuna con un proprio punteggio e graduatoria finale.
Il confronto tra la matrice socio-economica e quella criminale consentirà di formulare riflessioni in merito alle possibili relazioni e dipendenze tra i due contesti.

Si rimanda al testo integrale della Relazione per lo sviluppo grafico-statistico delle singole macro categorie, che ha portato a stilare la graduatoria finale. 

Le elaborazioni grafico-statistiche consentono di mettere a confronto i posizionamenti ottenuti dalle Regioni nelle due matrici relative agli “Aspetti socio-economici” e ai “Fenomeni criminali”:

ASPETTI SOCIO-ECONOMICI

FENOMENI CRIMINALI

REGIONI
Pos.

Pos.
REGIONI

Sicilia
1

1
Campania

Calabria
2

2
Lombardia

Campania
3

3
Sicilia

Sardegna
4

4
Calabria

Puglia
5

5
Lazio

Basilicata
6

6
Puglia

Molise
7

7
Emilia Romagna

Abruzzo
8

8
Piemonte

Lazio
9

9
Toscana

Liguria
10

10
Veneto

Umbria
11

11
Basilicata

Marche
12

12
Liguria

Piemonte
13

13
Marche

Valle d'Aosta
14

14
Abruzzo

Friuli Venezia Giulia
15

15
Trentino Alto Adige

Toscana
16

16
Umbria

Veneto
17

17
Sardegna

Lombardia
18

18
Molise

Emilia Romagna
19

19
Friuli Venezia Giulia

Trentino Alto Adige
20

20
Valle d'Aosta

Dal confronto emerge come ci sia una correlazione – fatte alcune eccezioni che verranno esaminate – tra le Regioni con i contesti socio – economici più depressi e quelle con la più alta densità di fenomenologie criminali di stampo mafioso.
Le Regioni che occupano i primi 7 posti della matrice relativa agli “Aspetti socio – economici” sono, infatti, la Sicilia, la Calabria, la Campania, la Sardegna, la Puglia, la Basilicata e il Molise.
Gli esiti di questa analisi trovano un’importante conferma nel Rapporto SVIMEZ 2019 su “L’economia e la società del Mezzogiorno”, nella parte in cui, con riferimento alle “Politiche di coesione europee e nazionali”, vengono segnalate le Regioni meno sviluppate individuate dalla Commissione UE quali beneficiarie dei fondi stanziati per le Politiche di coesione.
Per l’Italia, si legge nel Rapporto, “le Regioni meno sviluppate salgono da 5 (Campania, Calabria, Puglia, Basilicata e Sicilia) a 7, con l’aggiunta di Molise e Sardegna, Regioni in transizione nel precedente periodo di programmazione. Le Regioni in transizione sono 3: l’Abruzzo (già presente nel ciclo 2014-2020), l’Umbria e le Marche, in precedenza considerate Regioni più sviluppate. Gli ambiti tematici sui quali far confluire le risorse sono quattro: lavoro di qualità, territorio e risorse naturali per le generazioni future, omogeneità e qualità dei servizi per i cittadini, cultura veicolo di coesione economica e sociale.”
Prescindendo dall’ordine emerso nella matrice “socio – economica” e da quello proposto dalla Commissione UE per le “Regioni meno sviluppate”, è sintomatica la presenza nelle prime 7 posizioni delle medesime Regioni. In entrambe l’Abruzzo si colloca all’8° posto.
In maniera quasi speculare, le Regioni di elezione delle organizzazioni mafiose si collocano nelle prime sei posizioni della matrice “Fenomeni criminali”. Nell’ordine emergono la Campania, la Lombardia, la Sicilia, la Calabria, il Lazio e la Puglia.
Il raffronto evidenzia come le condizioni socio-economiche depresse delle Regioni del sud rappresentino un humus che tende a far proliferare la presenza mafiosa.
Una presenza mafiosa che offre “opportunità di lavoro” alle giovani generazioni del meridione attraverso le attività criminali “di primo livello” di cui si è ampiamente argomentato.
Il confronto tra le due matrici offre, inoltre, spunti di riflessione in merito al posizionamento di alcune Regioni del centro–nord nell’ambito dei fenomeni criminali, diametralmente opposto a quello ottenuto con riferimento agli aspetti socio-economici.
La più evidente è quella della Lombardia, che si colloca al 2° posto rispetto alla matrice dei “Fenomeni criminali” e al 18° in quella degli “Aspetti socio - economici”.
L’alto posizionamento nella matrice criminale è da ricondurre al “peso” derivante dalla variabile delle operazioni finanziarie sospette di “interesse istituzionale”, che collocano la Regione al 1° posto e dal “peso” delle interdittive antimafia, che la vedono al 3° posto. Sensibilmente più basso il posizionamento per i reati mafiosi (7° posto).
Questa forbice è segnale di una mafia liquida che, attraverso i flussi finanziari e le attività imprenditoriali impegnate anche nella realizzazione di opere pubbliche, punta a riciclare e reinvestire capitali illeciti lì dove sono più alti i margini di guadagno, dove è più alto il reddito e minore la disoccupazione, dove le strategie d’impresa hanno una prospettiva di sviluppo migliore.
Una chiave di lettura, questa, applicabile anche all’Emilia Romagna, che si colloca al 7° posto per i “Fenomeni criminali” e al 19° per gli “Aspetti socio – economici”.
Un’ampia forbice si registra anche per la Toscana (9° posto per i “Fenomeni criminali” e 16° per gli “Aspetti socio – economici”) e per il Veneto (10° posto per i “Fenomeni criminali” e 17° per gli “Aspetti socio – economici”). Queste ultime due regioni occupano, in entrambe le matrici, un posizionamento consecutivo, sintomatico di una mafia ancora latente che, nel medio periodo, potrebbe manifestarsi con una intensità analoga e con caratteristiche simili nei due territori.
Molto indicativa è anche la posizione del Lazio (che si colloca al 5° posto per i “Fenomeni criminali” e al 9° per gli “Aspetti socio – economici) e del Piemonte (8° posto per i “Fenomeni criminali” e 13° per gli “Aspetti socio – economici).
Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Veneto, Lazio e Piemonte, cui si aggiungono Liguria, Marche, Trentino Alto Adige, Umbria, Friuli Venezia Giulia e Valle d’Aosta , tutte Regioni del centro Nord in cui si sono concentrate le principali attività criminali “di secondo livello”, ovvero quelle attività che puntano ad una silente contaminazione del tessuto socio-economico e che consentono sia di riciclare i capitali derivanti dalle attività criminali “di primo livello”, sia di ampliare le prospettive dell’impresa mafiosa.

STRATEGIA NELL’ATTIVITÀ DI CONTRASTO
L’analisi e gli approfondimenti condotti nel paragrafo precedente delineano una vera e propria evoluzione dei “comportamenti” mafiosi. Comportamenti che vanno interpretati in base all’area geografica in cui si realizzano e a tutta una serie di variabili socio-economiche che condizionano la capacità di resilienza dei cittadini.
È evidente, infatti, che lì dove l’accesso al lavoro, per quanto complicato, resta una concreta possibilità e i servizi alla popolazione sono soddisfacenti, le mafie hanno minore possibilità di attecchire e di assoldare manovalanza criminale.
Ciò vale certamente per le Regioni del Nord che, tuttavia, scontano la strategia espansionistica delle mafie condotta attraverso le attività criminali “di secondo livello”.
Attività “di secondo livello” che, rappresentando la fase matura del processo evolutivo delle cosche, non possono essere lette in maniera disgiunta a quelle “di primo livello”.
Di contro, le attività “di primo livello”, che vedono una preponderante manovalanza criminale proveniente dalle Regioni del Sud (dove comunque non mancano certo rilevanti operazioni di riciclaggio e reimpiego), vanno ad alimentare le attività “di secondo livello” e quindi gli affari mafiosi al Nord.
È evidente che solo l’attuazione di politiche sociali ed occupazionali strutturate nel tempo potrà ridurre il bacino di manovalanza criminale fornito dal Sud, contraendo anche i flussi di denaro da riciclare al Nord.
Nel 1875, Pasquale Villari, nelle sue “Lettere Meridionali”, raccontava di come le mafie proliferassero proprio dove c’era miseria e mancanza di lavoro.
Le “Lettere” denunciavano per la prima volta davanti all’opinione pubblica e alla classe politica del Paese, le cause sociali della camorra, della mafia e del brigantaggio e le condizioni di miseria e di abbrutimento delle masse contadine meridionali.
In una intitolata “La camorra”, Villari riporta la seguente riflessione:
“Negli scorsi mesi raccolsi alcune notizie intorno allo stato delle classi più povere, specialmente nelle province meridionali…(omissis)… Debbo … dire, innanzi tutto, che nel raccogliere queste notizie io ho avuto lo scopo di provare che la camorra, il brigantaggio, la mafia sono la conseguenza logica, naturale, necessaria di un certo stato sociale, senza modificare il quale è inutile sperare di poter distruggere quei mali.”
Dopo aver descritto le forme “infinitamente varie” che “la camorra piglia nei diversi luoghi e fra le diverse persone che la esercitano”, riferisce che ogni sforzo sarà “vano se nel tempo stesso in cui si cerca di estirpare il male con mezzi repressivi, non si adoprano efficacemente i mezzi preventivi. Io non mi stancherò mai di ripeterlo: finché dura lo stato presente di cose, la camorra è la forma naturale e necessaria della società che ho descritta. Mille volte estirpata, rinascerà mille volte. Quella plebe infelice, che con leggi repressive noi a poco a poco liberiamo dai suoi oppressori, deve essere con leggi preventive spinta, costretta al lavoro. Non bisogna contentarsi d’aiutarla con quelle infinite limosine che sono spesso una piaga, perché alimentano l’ozio e il vagabondaggio.” .
In un’altra “Lettera”, intitolata “La mafia”, analizza “i diversi elementi storici che contribuirono a generare ed accrescere il male”, che definisce “una camorra d’un genere particolare”, per cui diventa necessario “sapere come e perché nasce e si mantiene così vigorosa, e più audace assai che la camorra”.
Anche in questo caso propone di “assalire il nemico da due lati: punire e reprimere prontamente, esemplarmente; ma nello stesso tempo prevenire. In che modo?  Bisogna curare la malattia nella sua sorgente prima. Il Governo deve avere il coraggio di presentarsi come colui che vuol redimere gli oppressi dal terrore e dalla tirannide che pesa su di essi.”.

Una Questione meridionale che sin da quegli anni si ripropone in maniera pressoché immutata. Una Questione che sicuramente affonda le proprie radici nel più basso livello di sviluppo economico del Sud e nel diverso e più arretrato sistema di relazioni sociali e di servizi al cittadino rispetto alle regioni centro-settentrionali.
È facendo leva su queste carenze di carattere sociale ed economico che prolifera la mafia: “una malattia” – usando le parole del Villari – che “bisogna curare nella sua sorgente prima”, ossia la mancanza di lavoro.
La crescita del lavoro, assieme ad una più diffusa crescita sociale del Mezzogiorno, sarebbero la “trasemina” di valori nuovi, rigeneranti grazie ai quali le “erbe infestanti” non avrebbero più spazio per attecchire e riprodursi. 
Senza lavoro, “quella plebe infelice” diventa facilmente manovalanza delle attività criminali “di primo livello” da esportare al Nord.
Un aspetto, quello dell’interdipendenza tra Nord e Sud e delle politiche da adottare, su cui molto si è soffermato anche il Rapporto SVIMEZ 2019 su “L’economia e la società del Mezzogiorno”, proponendo, in chiave moderna, le linee di soluzione individuate da Villari, Franchetti e Sonnino un secolo e mezzo fa:
“Al centro dell’azione delle politiche – si legge nel capitolo introduttivo “I nuovi temi di un’antica questione”  - va posta la valorizzazione delle complesse complementarietà che legano il sistema produttivo e sociale di Sud e Nord Italia (. . .) Economia e società del Mezzogiorno non sono realtà sganciate dall’Italia. Nord e Sud Italia sono legati da una fitta rete di rapporti commerciali, produttivi e finanziari che generano condizionamenti reciproci, determinando andamenti fortemente correlati delle rispettive economie.
Inevitabilmente i risultati economici e il progresso sociale di ciascuna di esse dipendono dal destino dell’altra. Perciò l’obiettivo della chiusura del divario Nord-Sud non può essere disgiunto da un disegno nazionale di rilancio della crescita. Intorno a un obiettivo prioritario: riattivare gli investimenti pubblici nel Mezzogiorno, prioritariamente nei settori delle infrastrutture sociali, ambientali e, in generale, per migliorare l’accesso ai diritti di cittadinanza. L’unica via «possibile» per il recupero del ritardo accumulato dall’Italia in Europa è tenere insieme le due parti del Paese in una strategia di crescita comune, archiviando la stagione delle soluzioni «per parti» per il Nord produttivo e il Sud assistito”.
È perciò necessario andare a incidere proprio su queste connessioni e interdipendenze tra Nord e Sud.
Molto interessante è al riguardo la pronuncia che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione dovranno prossimamente esprimere sul seguente quesito:
"Se sia configurabile il reato di cui all'art. 416 - bis cod. pen. con riguardo a una articolazione periferica (cd. «locale») di un sodalizio mafioso, radicata in un'area territoriale diversa da quella di operatività dell'organizzazione «madre», anche in difetto della esteriorizzazione, nel differente territorio di insediamento, della forza intimidatrice e della relativa condizione di assoggettamento e di omertà, qualora emerga la derivazione e il collegamento della nuova struttura territoriale con l'organizzazione e i rituali del sodalizio di riferimento.”
La rimessione alle Sezioni Unite si è resa necessaria perché, in tema di mafie operanti in territori diversi da quelli a tradizionale vocazione mafiosa, la “mafiosità” della locale non è ancora un pacifico orientamento delle Magistrature del Nord. Essa sarebbe da verificare in base allo svolgimento in quel territorio di una attività intrinsecamente mafiosa.
La Suprema Corte dovrà, in sintesi, stabilire se sia necessario che l’organizzazione periferica, per vedersi attribuito il reato associativo, declini nel territorio del Nord, dove agisce, gli elementi previsti dal terzo comma dell’art.416 bis c.p., quali l’intimidazione, l’assoggettamento e l’omertà.
L’orientamento rappresenterà un passo in avanti verso la strategia da attuare per contrastare non solo le organizzazioni mafiose, ma anche le sue proiezioni strutturali ed economiche, sia che queste si concretizzino in attività criminali “di primo livello”, sia che si trasformino in quelle “di secondo livello”.
Dal canto suo la DIA continuerà a sviluppare una strategia di contrasto in grado di intercettare entrambe le tipologie di “attività criminali”.
In primo luogo si punterà a rafforzare le “indagini collegate”, che il Codice Antimafia,              all’art. 108, assegna alla Direzione. Si tratta di investigazioni che si prefiggono obiettivi complessi e, come tali, richiedono una preventiva condivisione delle informazioni a vantaggio dell’azione inquirente della Magistratura.
Le indagini antimafia devono aprirsi, infatti, sempre più alla prospettiva di una investigazione ad ampio spettro e di respiro internazionale, perché tali sono i comportamenti dei criminali mafiosi.
In secondo luogo la DIA continuerà ad investire sulle investigazioni preventive, un’arma assai efficace come riferì Falcone il 24 febbraio 1992 al Consiglio Superiore della Magistratura, quale candidato per l’Ufficio direttivo di Procuratore Nazionale Antimafia.
Falcone proponeva la sua visione di quelle che sarebbero diventate le strutture cardine della lotta alla mafia: la Direzione Nazionale Antimafia e la DIA.
Secondo la sua opinione, la DNA doveva essere una “cabina di regia”, con “un compito di impulso, di promozione del collegamento e del coordinamento investigativo”.
La DIA, invece, era certamente “un organismo preposto ad attività di investigazione giudiziaria e quindi un servizio in senso tecnico”. Aggiungeva Falcone però che l’azione di quella che aveva definito la “polizia anticrimine del futuro” sarebbe dipesa “in grandissima parte dall’efficacia delle investigazioni preventive”, in grado di “garantire quella maggiore elasticità di intervento delle forze di polizia che da più parti è stata reclamata.
Non è un caso che, nel corso degli anni, l’epicentro dell’azione di contrasto alla mafia della DIA siano diventate proprio le investigazioni preventive, declinate, a loro volta, nel solco di più direttrici.
La prima è orientata all’analisi dei fenomeni di criminalità organizzata, per intercettarne le strategie evolutive sia in ambito nazionale che internazionale. E la presente Relazione rappresenta la sintesi di quest’analisi.
La seconda si rivolge ad un settore strategico per l’economia del Paese, quello degli appalti pubblici, in cui la DIA è “baricentro” nell’attività di raccolta degli elementi informativi forniti dalle Forze di Polizia, utili a supportare le valutazioni dei Prefetti circa le possibili infiltrazioni mafiose nella realizzazione delle opere.
In tale ambito, anche per il 2019, nella “Direttiva generale per l’attività amministrativa e per la gestione relativa all’anno 2019”, la Direzione è stata individuata dall’Autorità di Governo quale “Referente responsabile” per “rafforzare le misure di protezione dell'economia legale attraverso la prevenzione e repressione dei tentativi di infiltrazione mafiosa negli appalti relativi ai lavori pubblici, alle grandi opere tramite lo svolgimento dell'attività di monitoraggio, ponendo in essere azioni di individuazione e aggressione dei patrimoni mafiosi ed intensificando l’azione di contrasto al riciclaggio dei proventi illeciti acquisiti dalle cosche”.
Un impegno non casuale e che si pone in linea di continuità con il percorso tracciato, negli ultimi anni, da una serie di Direttive Ministeriali che attribuiscono alla DIA una posizione di “centralità” nell’ambito del dispositivo di prevenzione e contrasto alle infiltrazioni negli appalti pubblici.
In questo modo la DIA continuerà ad assicurare ai Prefetti un apporto informativo e di analisi rilevante, in virtù del “suo patrimonio comune”.
Un patrimonio che scaturisce dall’attuazione della circolarità informativa tra la stessa DIA, la Polizia di Stato, l’Arma dei carabinieri e la Guardia di finanza.
Un’ulteriore direttrice operativa che persegue la DIA nell’ambito delle attività preventive è quella del contrasto al riciclaggio dei proventi illeciti acquisiti dalle cosche.
Per garantire la più ampia tracciabilità dei flussi di denaro e per scoprirne l’origine e la destinazione, il decreto legislativo n. 231/2007 individua la DIA tra gli Organismi investigativi specializzati, cui compete l’analisi e l’approfondimento delle segnalazioni di operazioni finanziarie riservandole, in particolare, la competenza su quelle attinenti alla criminalità organizzata.
I settori sinora descritti convergono tutti verso un’ultima, importante direttrice dell’azione preventiva, rappresentata dall’individuazione e aggressione dei patrimoni mafiosi. Il decreto legislativo n. 159/2011 attribuisce a livello nazionale, infatti, solo al Direttore della DIA e al Procuratore Nazionale Antimafia il potere di avanzare, in maniera autonoma, le richieste di applicazione di misure di prevenzione a carattere personale e patrimoniale.
L’obiettivo è quello di colpire i patrimoni mafiosi attraverso il procedimento di prevenzione, che oggi più che mai mira ad intercettare i capitali che le cosche tendono a riciclare anche all’estero.
Si è detto nel capitolo iniziale della Relazione della prima “Conferenza Operativa sulle strategie di contrasto alle organizzazioni criminali di tipo mafioso”. Una riunione tenutasi a L’Aja (NL) nel semestre, presso la sede di Europol, che rappresenta un importante passo in avanti nella lotta alla criminalità organizzata transnazionale.
I lavori avviati a seguito della “Conferenza” - che si inserisce nell’ambito della Rete Operativa Antimafia “@ON”, punteranno sia a potenziare l’azione di contrasto, sia a sensibilizzare gli organismi investigativi degli altri Paesi circa la necessità di colmare l’attuale mancanza, nell’ambito della politica di sicurezza dell’Unione Europea, di una specifica “priorità” dedicata al contrasto dei gruppi di criminalità organizzata più pericolosi o che operano su più ambiti criminali.
Un contrasto che deve necessariamente colpire i flussi di denaro e i patrimoni con gli strumenti offerti dalla legislazione penale e da quella della prevenzione.




























SCHEDE TEMATICHE DI APPROFONDIMENTO


MONITORAGGI
Le attività di verifica effettuate in relazione alle procedure di affidamento ed esecuzione degli appalti pubblici svolte dalla DIA nel semestre in esame hanno riguardato, in particolare, oltre che, come sopra accennato, i lavori di demolizione e ricostruzione del ponte Morandi di Genova, la “Ricostruzione post sisma 2016” e le “Grandi Opere” (così come definite dalla “legge obiettivo”) nonchè più in generale, tutti gli appalti di opere pubbliche ritenuti particolarmente sensibili.
Le attività di controllo sono state così svolte sia attraverso i monitoraggi eseguiti con approfondite analisi delle compagini societarie e di gestione delle imprese, sia attraverso gli “accessi” disposti dai Prefetti e tesi alla verifica delle effettive presenze dei lavoratori nei cantieri.
Nel semestre in esame sono stati eseguiti, in particolare, 758 monitoraggi, nei confronti di altrettante imprese.
La tabella che segue riepiloga e distingue per macro-aree geografiche i monitoraggi svolti:
AREA
I semestre 2019

Nord
201

Centro
46

Sud
511

TOTALE
758

(Monitoraggi svolti per macro-aree geografiche)

Congiuntamente, sono stati eseguiti accertamenti nei confronti di 13.004 persone fisiche, a vario titolo collegate alle suddette imprese.



ACCERTAMENTI ANTIMAFIA

In ossequio alle disposizioni emanate con decreto legge 17 ottobre 2016, n. 189 (recante “Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici del 2016”) e alle “Prime e Seconde Linee-guida antimafia” adottate dal Comitato di Coordinamento per l’Alta Sorveglianza delle Infrastrutture e degli Insediamenti Prioritari (C.C.A.S.I.I.P.), la DIA ha provveduto a riscontrare - entro gli stringenti termini normativamente previsti - le richieste di accertamenti antimafia pervenute dalla Struttura di Missione.
In tale ambito, le articolazioni territoriali della DIA, in sinergia con l’Osservatorio Centrale Appalti Pubblici del I Reparto, hanno evaso 4.427 richieste di accertamenti antimafia, nei confronti di 5.476 imprese che hanno permesso di estendere i controlli a 23.415 persone fisiche collegate..

I semestre 2019
Richieste pervenute
Imprese esaminate
Persone controllate

Gennaio
574
665
3.535

Febbraio
615
769
3.254

Marzo
787
1.079
4.149

Aprile
815
958
4.131

Maggio
915
1.073
4.527

Giugno
721
932
3.819

TOTALE
4.427
5.476
23.415

(Tabella riepilogativa dei controlli effettuati)
L’esigenza di anticipare la verifica di possibili infiltrazioni mafiose si è tradotta, anche nel semestre in esame, nella sottoscrizione di protocolli di legalità, che hanno visto partecipi Prefetture, Pubbliche Amministrazioni appaltanti e operatori imprenditoriali. Anche in questo caso, su richiesta del Gabinetto del Ministro dell’Interno, la Direzione ha fornito il proprio contributo per la stesura di 41 accordi protocollari, nei quali sono state prospettate diverse soluzioni in grado di favorire le sinergie operative tra i vari attori coinvolti.



ACCESSI AI CANTIERI
Gli accessi ai cantieri, disposti dai Prefetti ai sensi dell’art. 84 del decreto legislativo 6 settembre 2011 n. 159 ed eseguiti dai Gruppi Interforze, rappresentano uno dei più incisivi strumenti a disposizione per far emergere possibili infiltrazioni della criminalità organizzata nelle fasi di realizzazione di un’opera pubblica.
Al riguardo, va altresì evidenziato che il patrimonio informativo che viene acquisito ad esito dell’accesso confluisce, successivamente e a cura delle Prefetture, all’interno della predetta banca dati S.I.R.A.C., la quale viene direttamente gestita dalla DIA per le proprie attività di analisi e di conoscenza delle complesse dinamiche criminali che insistono nello specifico settore degli appalti pubblici.
Nel corso del semestre, la DIA, come da riepilogo che segue, ha partecipato agli accessi in 52 cantieri, a seguito dei quali si è proceduto al controllo di 1.774 persone fisiche, 404 imprese e 1.213 mezzi.
Area
Regione intervento
Numero Accessi
Persone fisiche
Imprese
Mezzi

Nord
Valle d'Aosta
-
-
-
-


Piemonte
3
399
24
115


Trentino-Alto Adige
-
-
-
-


Lombardia
-
-
-
-


Veneto
2
62
14
46


Friuli-Venezia Giulia
5
285
27
258


Liguria
3
440
161
328


Emilia Romagna
-
-
-
-


TOTALE Nord
13
1.186
226
747

Centro
Toscana
2
11
12
20


Umbria
7
45
17
16


Marche
11
125
46
63


Abruzzo
9
131
35
65


Lazio
-
-
-
-


Sardegna
-
-
-
-


TOTALE Centro
29
312
110
164

Sud
Campania
4
50
16
29


Molise
-
-
-
-


Puglia
-
-
-
-


Basilicata
-
-
-
-


Calabria
4
196
41
221


Sicilia
2
30
11
52


TOTALE Sud
10
276
68
302

TOTALI
52
1.774
404
1.213

 (Tabella riepilogativa degli accessi ai cantieri svolti)



PROVVEDIMENTI INTERDITTIVI
L’informativa antimafia rappresenta uno dei principali strumenti assegnati ai Prefetti per contrastare il fenomeno dell’inquinamento criminale nelle attività economiche del Paese, avendo quale effetto l’esclusione dalla contrattazione pubblica delle imprese che abbiano compromesso la fiducia della pubblica amministrazione sulla serietà e moralità dell’imprenditore collegato alla mafia.
A seguire una sintesi grafica dei 279 provvedimenti interdittivi emessi dagli Uffici Territoriali del Governo nel I semestre 2018 e comunicati all’Osservatorio Centrale Appalti Pubblici della DIA (OCAP), così come previsto dall’art. 91, co. 7-bis, del Codice antimafia (D.Lgs. 159/2011), suddivisi per regione.




Altro impegno prioritario della DIA resta il contrasto al riciclaggio dei proventi illeciti.
Il crescente grado di finanziarizzazione dei circuiti economici evidenzia come, da una prospettiva investigativa, sia fondamentale garantire la più ampia tracciabilità dei flussi finanziari, per individuare origine, destinazione e beneficiari dei movimenti.
Uno strumento efficace per investigare la criminalità mafiosa, nella sua declinazione economico-finanziaria, è l’approfondimento delle segnalazioni di operazioni sospette, utilissime a disvelare i grandi patrimoni mafiosi che hanno visto la propria collocazione nell’economia legale.

ANALISI DELLE S.O.S.

Nel primo semestre 2019, la Direzione Investigativa Antimafia ha analizzato 49.104 segnalazioni di operazioni sospette, che ha comportato l’esame di 238.177 soggetti segnalati o collegati, di cui 161.863 persone fisiche e 76.314 persone giuridiche, correlate a 255.229 operazioni finanziarie sospette.
Tale analisi ha consentito di selezionare 6.113 segnalazioni di interesse della DIA di cui 1.231 di diretta attinenza alla criminalità mafiosa e 4.882 riferibili a fattispecie definibili reati spia/sentinella, ossia quei reati ritenuti maggiormente indicativi di dinamiche riconducibili alla supposta presenza di aggregati di matrice mafiosa tra i quali sono ricompresi impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, usura, estorsione, danneggiamento seguito da incendio, ecc..

S.O.S. ATTINENTI ALLA C.O.








ANALISI S.O.S. PER SEGNALANTI
L’analisi condotta su tali segnalazioni ha confermato che la maggior parte è stata effettuata da enti creditizi (57%), mentre ancora poco significativo risulta essere il contributo dei professionisti (5%).




ANALISI S.O.S PER OPERAZIONI FINANZIARIE
Le operazioni finanziarie riconducibili alle s.o.s. analizzate sono per la maggior parte riferibili a operazioni di trasferimento fondi (31%) e per una percentuale altrettanto significativa riferibile a bonifici a favore di ordine e conto (17%).



ANALISI PER AREA GEOGRAFICA

Il maggior numero di tali operazioni è stato effettuato nelle regioni settentrionali (26.701), a seguire le regioni meridionali (16.468) e centrali (12.394) ed ultime le regioni insulari (4.052).
Area Geografica
Nr. SOS
%

Nord
26.701
44%

Sud
16.468
27%

Centro
12.394
20%

Isole
4.052
7%

n.d.
1.043
2%

Totale
60.658
100,00%











ANALISI PER REGIONE
La tabella ed il grafico che seguono evidenziano la ripartizione delle operazioni sospette su base regionale:

REGIONE
CO
Reati spia
Totale

n.d.
222
821
1.043

Abruzzo
415
524
939

Basilicata
130
222
352

Calabria
504
794
1.298

Campania
3.669
7.369
11.038

Emilia-Romagna
1.037
4.179
5.216

Friuli-Venezia Giulia
103
500
603

Lazio
1.186
6.338
7.524

Liguria
103
1.274
1.377

Lombardia
2.158
9.925
12.083

Marche
223
915
1.138

Molise
44
192
236

Piemonte
602
2.872
3.474

Puglia
495
2.110
2.605

Sardegna
63
379
442

Sicilia
1.050
2.560
3.610

Toscana
406
2.754
3.160

Trentino-Alto Adige
30
348
378

Umbria
170
402
572

Valle d'Aosta
39
41
80

Veneto
663
2.827
3.490

Totali
13.312
47.346
60.658




Dal grafico si evince come la Campania, fra le regioni d’elezione delle consorterie criminali (Sicilia e Calabria), risulta avere il più alto numero di operazioni finanziarie effettuate. È preceduta solo dalla Lombardia e seguita dal Lazio ed Emilia-Romagna, contesti geografici, questi ultimi, verso i quali è diretta la maggiore attenzione dei clan mafiosi in relazione alle ampie e diversificate opportunità economiche offerte dal territorio.



RISULTATI CONSEGUITI

L’attività di analisi condotta sulle segnalazioni attinenti alla criminalità organizzata ha permesso, nel periodo in osservazione, di approfondire complessivamente 1.318 s.o.s., di cui:
937  inoltrate alle competenti Direzioni Distrettuali Antimafia direttamente dalla DNA, in quanto correlate a procedimenti penali o di prevenzione in corso;
381 confluite nell’ambito di attività investigativa svolta dai Centri e Sezioni Operative della DIA sul territorio nazionale nei settori giudiziario e di applicazione di misure di prevenzione.


FOCUS “MAFIA & RIFIUTI”

Il Focus di questa Semestrale si pone l’obiettivo di analizzare l’intera filiera di gestione dei rifiuti, mettendola in relazione (grazie a dati di fatto emersi in indagini ed operazioni di servizio) con l’infiltrazione della criminalità organizzata, per cercare di individuare gli snodi più a rischio, affinché le Autorità preposte possano eventualmente intervenire sul ciclo dei rifiuti.
In particolare, i capitoli del Focus approfondiranno gli aspetti criminogeni della complessa filiera dei rifiuti urbani, speciali e pericolosi - compresi i recenti casi che hanno visto, a macchia di leopardo sul territorio nazionale, numerosi incendi presso aree periferiche e capannoni - tenendo presenti le criticità registrate, negli ultimi decenni, in primo luogo in Campania, punto nodale delle problematiche connesse ai reati ambientali.
Successivamente l’analisi è stata estesa alle altre regioni, a cominciare da quelle a tradizionale presenza mafiosa, basandosi sulle inchieste concluse, nel tempo, dalla DIA e dalle Forze di polizia, sui provvedimenti di scioglimento degli enti locali e sulle interdittive antimafia, che danno conto della complessa azione di contrasto, nel profilo preventivo e repressivo, sviluppata in tale settore negli ultimi anni.
L’analisi condotta ha ben evidenziato come la gestione illegale dei rifiuti sia purtroppo in costante espansione ed oggi appare ancor più superfluo affermare quanto essa rappresenti uno dei settori di maggiore interesse per le organizzazioni criminali, attratte da profitti esponenziali e di difficile misurazione, se non per difetto.
Se, per ragioni “storiche”, è alla camorra che deve essere riconosciuta una sorta di primogenitura nella gestione delle fasi più redditizie del ciclo dei rifiuti, col passare del tempo tutte le altre organizzazioni mafiose hanno trovato di grande utilità l’infiltrazione nel settore.
Ma se si attribuisse alla criminalità ambientale - ed, al ciclo illegale dei rifiuti, in particolare - unicamente una veste mafiosa, si correrebbe il rischio, come si è cercato di spiegare nel Focus, di distrarre l’attenzione dalla reale essenza di un fenomeno che si alimenta costantemente grazie all’azione famelica di imprenditori spregiudicati, amministratori pubblici privi di scrupoli e soggetti politici in cerca di consenso, nonché di broker, anche a vocazione internazionale, in grado di interloquire ad ogni livello.
Sicuramente, la minore percezione della pericolosità sociale degli ecoreati ha, nel tempo, giocato un ruolo importante. Oggi, quando si registra un indubbio progressivo aumento della coscienza e della sensibilità verso le problematiche ambientali, è tuttavia evidente che si è ancora lontani dal prendere posizioni forti e decise, diversamente da quanto avviene per altre forme di delittuosità, magari di più forte impatto mediatico ma che, in un quadro generale, comportano un danno sociale non superiore.
Ed allora è quanto mai opportuno effettuare, a tutti i livelli, scelte di civiltà e di assunzione di responsabilità, non dilazionabili, non rinviabili.
Per gli imprenditori produttori di scarti di lavorazione, far parte o meno del circuito illegale è una questione di scelta d’impresa. Decidere a chi affidare i materiali residui delle proprie attività produttive (se ad imprese che operano legalmente o a quelle che si arricchiscono con l’ecoreato) può fare la differenza: il ciclo illecito si alimenta di rifiuti “fantasma” prodotti da aziende che ad esso si rivolgono per gli ampi margini di risparmio in termini di contenimento dei costi di smaltimento (voce passiva del bilancio aziendale), di elusione del pagamento di tributi e di falsa fatturazione, elementi di sicuro appeal per fasce imprenditoriali non trasparenti, a tutti gli effetti borderline.
Il fenomeno trova cassa di risonanza soprattutto in quei territori dove la produzione del rifiuto deriva da un’imprenditoria sommersa che opera totalmente in nero, per la quale lo smaltimento illegale risulta l’unica soluzione.
Anche per gli imprenditori che operano legalmente nel settore dei rifiuti (dalla raccolta allo smaltimento) è una questione di scelta: entrare nel circuito illegale, stabilmente o semplicemente lambendolo in modo occasionale, oppure rimanerne estranei. Il basso rischio e la facilità di guadagno si trasformano in un grave attentato alla libera concorrenza, considerato che commesse ed appalti vengono aggiudicati a società che, grazie alle loro condotte illecite, sono in grado di applicare prezzi inferiori a quelli di mercato.
Può fare la differenza anche scegliere (come cittadini, oltre che per scelta d’impresa) se sottostare o meno alle pressioni intimidatorie della criminalità: purtroppo non pochi sono stati i casi in cui l’imprenditore vittima di estorsione, anziché denunciare, ha preferito mettere la propria azienda a disposizione dei sodalizi, diventandone complice, certo dei margini superiori di guadagno derivanti dal mercato illecito del rifiuto.
La stessa facoltà di scelta vale anche per amministratori, funzionari pubblici e soggetti politici alla ricerca di consenso a qualunque costo, come osservato dalle innumerevoli inchieste degli ultimi anni, indipendentemente dal contesto territoriale: lo scioglimento dei Comuni, così come ampiamente descritto nel Focus, è la prova della forza della corruttela, dove l’interesse personale (economico o per altre utilità) e la ricerca ad ogni costo del consenso politico diventano espressione di una mala gestio non più sostenibile.
Se fino a ieri, poi, l’attenzione mediatica è stata concentrata quasi unicamente verso le regioni del Sud, soprattutto a causa delle travagliate vicende campane, oggi l’asse cognitivo dell’opinione pubblica non può più essere distolto da quanto, da tempo, accade al Centro e nel Nord del Paese: in talune aree, ormai non più considerabili come isole felici - ove si assiste ad una ancora troppo lenta comprensione del fenomeno mafioso - i gruppi criminali trovano un brodo di coltura nutriente per la realizzazione di ecoreati, con le pesanti ricadute, in termini di costo sociale, che abbiamo imparato a conoscere negli ultimi decenni. Le vicende connesse ai gravi episodi incendiari, che - ad esempio, in Lombardia - hanno riguardato capannoni ed aree colme di rifiuti, ne sono una testimonianza da non sottovalutare.
L’analisi delle attività di indagine concluse in tale ambito illecito è da mettere necessariamente in relazione con la situazione gestionale del ciclo dei rifiuti e le sue criticità: la filiera legale (disciplinata dal D. Lgs. 152/2006 - Codice dell’Ambiente) appare troppo lunga negli aspetti spazio-temporali e costringe il rifiuto, dalla produzione allo smaltimento, ad una forte mobilità sul territorio, non solo verso altre regioni - secondo direttrici che oramai non sono più univoche - ma anche verso l’estero.
La perdurante emergenza, che in alcune aree del Paese condiziona ed ostacola una corretta ed efficace gestione del ciclo dei rifiuti, vede tra le sue cause certamente l’assenza di un’idonea impiantistica, primi fra tutti i termovalorizzatori, che a livello regionale, o addirittura provinciale, avrebbe potuto consentire l’autosufficienza e la prossimità, come sancito dall’art 182 bis del D. Lgs. 152/2006. Significativa, si è già detto, la mancata realizzazione di impianti di smaltimento ad alto profilo tecnologico, sul modello di quelli già esistenti in molti altri Stati europei e soprattutto nelle stesse Capitali e, nel contempo, il mancato potenziamento delle ulteriori infrastrutture necessarie, a monte, per il riciclo di materia e la stabilizzazione della trattazione organica.
Una situazione che ha inevitabilmente determinato l’allungamento della filiera ed il mancato compimento del ciclo di gestione, demandando lo smaltimento di quasi tutti i rifiuti urbani al conferimento in discarica, che spesso avviene dopo un farraginoso e dispendioso iter di trattamento e trasporto.
In tale contesto, più è lunga la filiera, più le organizzazioni criminali riescono a trovare spazi di inserimento, sfruttando le situazioni emergenziali e contribuendo, con lo sversamento illegale nelle discariche abusive, all’inquinamento del patrimonio ambientale.
In ragione del know-how investigativo maturato nel tempo, le metodologie di contrasto sviluppate dalle Forze di polizia e dalla Magistratura coincidono - in presenza di un elevato tecnicismo normativo di settore - con quelle applicate in tema di lotta alla criminalità organizzata e necessitano, ugualmente, anche della cooperazione internazionale, nella consapevolezza che, per contrastare efficacemente le proiezioni criminali ed economico-finanziarie delle mafie, occorre comprendere anzitutto l’importanza del crimine transnazionale, da qualsiasi Paese provenga, inteso come una vera e propria assoluta priorità.
In tale contesto, assume particolare valenza lo strumento delle operazioni sotto copertura, oggi previsto anche per il contrasto alle attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti.
La partita in gioco è molto seria e riguarda il futuro delle prossime generazioni; una priorità in cui la sola azione giudiziaria non è sufficiente per vincere.
È, pertanto, assolutamente necessario ridurre il più possibile l’intera filiera, applicando alla lettera la legge 252/2006 e fare in modo, così, che la chiusura del ciclo possa avvenire in prossimità del luogo di produzione del rifiuto, al di là della sola logica del conferimento in discarica.
In definitiva è quanto mai necessario mettere in campo gli opportuni anticorpi per adottare le giuste scelte, ad ogni livello, pubblico e privato, se si vuole davvero interrompere un circuito illegale perverso, la cui azione trova la sua perfetta sintesi nella seguente considerazione:
“I trafficanti lo sanno bene: più rifiuti, più passaggi, più chilometri, più affari in vista”.


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Catanzaro: operazione “Alto impatto”

  Operazione “Alto impatto” nel rione Aranceto di Catanzaro con controlli e perquisizioni della Polizia, Carabinieri e guardia di finanza. Alle operazioni hanno partecipato Polizia locale, Vigili del fuoco e altri enti quali Enel, Italgas e i servizi sociali di Catanzaro. Durante le attività sono state identificate 282 persone, controllati 180 veicoli, di cui 7 sequestrati, contestate 16 violazioni del Codice della Strada ed elevate 2 contravvenzioni amministrative nei confronti di esercizi pubblici che somministravano alimenti e bevande senza alcuna autorizzazione.  Inoltre, gli operatori hanno sequestrato marijuana, denaro contante, attrezzi per lo scasso, centraline elettroniche utilizzate per rubare le autovetture ed anche impianti di videosorveglianza non autorizzati posizionati a guardiania di abitazioni di pregiudicati. Inoltre, sono stati trovati alcuni veicoli rubati che nei prossimi giorni verranno restituiti ai legittimi proprietari. Nel corso dell’operazione sono stati effe

Rubano corrente per alimentare la serra di marijuana

  Comando Provinciale di Latina - Latina, 23/02/2024 11:00 I Carabinieri della locale Stazione di Borgo Sabotino hanno tratto in arresto due uomini di 35 anni in flagranza del reato di coltivazione di sostanza stupefacente. In particolare, a seguito di perquisizione domiciliare i due venivano trovati in possesso di 200 grammi di sostanza stupefacente del tipo marijuana, nonché n.76 piante di canapa indica in infiorescenza, coltivate in una serra realizzata all’interno dell’abitazione. Tutto veniva sottoposto a sequestro. Inoltre, durante le operazioni i Carabinieri accertavano che vi era un collegamento illecito alla rete elettrica mediante manomissione del contatore Enel sia nell’abitazione interessata dalla perquisizione che in altre due case nella disponibilità di uno dei due soggetti arrestati. Dopo le formalità di rito i due soggetti tratti in arresto venivano sottoposti agli arresti domiciliari.

Catania: sequestro di stalle e cavalli nel quartiere San Cristoforo

    Durante un controllo straordinario nel quartiere San Cristoforo, a Catania, i poliziotti della Questura hanno scoperto cinque stalle abusive all’interno delle quali c’erano dei carretti utilizzati per le corse clandestine. Nelle stalle vivevano i cavalli in pessime condizioni igienico-sanitarie e senza microchip. Inoltre, dalle visite fatte dai veterinari dell’Azienda sanitaria provinciale (Asp) è emerso anche che i cavalli avevano subito maltrattamenti da parte dei proprietari. Gli animali sono stati sequestrati dai poliziotti della Squadra a cavallo e della Squadra mobile, che li hanno affidati ad una struttura idonea. Durante le perquisizioni sono stati trovati e sequestrati diversi farmaci dopanti che venivano utilizzati sui cavalli durante le corse clandestine. Sono tre le persone denunciate per maltrattamenti di animali alle quali sono stati contestati anche altri illeciti amministrativi, anche da parte del personale Asp. Sempre a seguito delle perquisizioni sono stati rinven