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Roma: manette per il clan Casamonica-Di Silvio

 



"Qua comannamo noi”, “Non ti scordare che questa è zona nostra”, sono alcune delle frasi intimidatorie utilizzate dagli appartenenti al clan Casamonica-Di Silvio per affermare la supremazia nel territorio che consideravano di loro proprietà.

Questa mattina, al termine dell’operazione “Cardè”, sei elementi del gruppo criminale, tutti legati da vincoli di parentela, sono stati arrestati dai poliziotti di Squadra mobile di Roma, Servizio centrale operativo, commissariato “Romanina”, Reparto mobile, Reparto prevenzione crimine e Volanti.

L’ordinanza di custodia cautelare in carcere è stata emessa dal Giudice per le indagini preliminari del tribunale della Capitale su richiesta della Direzione distrettuale antimafia.

Gli arrestati sono accusati di estorsione aggravata dal metodo mafioso, tentata estorsione, spaccio di sostanze stupefacenti, usura ed esercizio abusivo dell’attività finanziaria.

L’indagine conclusa oggi, che prende il nome dal termine sinti con il quale viene indicato il denaro, è una costola di quella scaturita dopo il cruento episodio avvenuto il 1° aprile 2018 all’interno del Roxy Bar, che si trova nel cuore del territorio che l’organizzazione criminale considera di sua proprietà.

In quel locale alcuni membri del clan, che da tempo esercitavano soprusi e intimidazioni, aggredirono violentemente il titolare e una donna disabile che aveva tentato di difenderlo. Il tutto per ostentare il loro dominio nel quartiere e spaventare le persone con lo scopo di garantirsi la loro reticenza, un metodo riconosciuto come mafioso dal giudice che poi li ha condannati.

Dopo le condanne l’attività investigativa ha avuto ulteriori sviluppi, focalizzandosi su altri componenti delle famiglie Casamonica e Di Silvio.

In particolare sono state documentate attività tipiche del gruppo criminale come lo spaccio di cocaina e le estorsioni, molte delle quali mirate proprio ad ottenere il denaro necessario a coprire le spese per il processo relativo al Roxy Bar. 

L’usura era comunque l’attività “di famiglia” nella quale, sempre con violenze e minacce, si arrivava a chiedere interessi pari al 102,5 per cento annuo, pretendendo in garanzia cambiali di importo molto superiore rispetto al debito contratto.

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