La ‘ndrangheta calabrese appare molto più attiva e “connessa” al territorio. Peraltro, a differenza delle cosche siciliane, la mafia calabrese si è storicamente denotata per la propria capacità di esportare, con una specie di franchising criminale, la struttura organizzativa in altre regioni e Stati pur imponendo il comando strategico presso la “famiglia” o “struttura” di origine residente in Calabria. Indagini recenti a Trieste incentrate sulla figura del clan Iona, che hanno portato alla emergenza un contesto criminale di tipo associativo creatosi tuttavia molti anni or sono, hanno evidenziato una vasta presenza criminosa che ha diversificato i suoi interessi dal traffico di cocaina, al contrabbando di carburante fino al tradizionale intervento diretto negli appalti edilizi attraverso la gestione di ditte di movimento terra e con il reperimento di manodopera.
Per dare una misura del fenomeno, in verità clamorosa, si pensi che in occasione dei lavori di manutenzione ed allargamento della grande base americana di Aviano, più della metà delle ditte ammesse ai lavori e una larga parte dei lavoratori stessi furono segnalati come aventi rapporti con le cosche calabresi. Essendo i lavori di esclusiva pertinenza Usa le varie interdittive anti mafia furono, all’epoca, tranquillamente aggirate. La puntuale osservazione delle vicende del clan Iona da parte della DIA, centro di Padova e sezione di Trieste (operazione "AMARANTO" – procedimento penale nr. 5583/DDA/2014, si ricollega all'operazione "BRIGANTINO" già svolta dalla DIA di Padova - sezione di Trieste negli anni 2003-2004 – procedimento penale n. 2609/DDA/2003), ha altresì permesso di rilevare uno stretto rapporto con ndrine presenti in Veneto, Lombardia e ovviamente Calabria. Recenti ed ingenti sequestri di cocaina collegati al porto di Trieste hanno portato gli inquirenti ad ipotizzare un intervento diretto ed autonomo della Centrale calabrese verso il FVG, motivato dalla necessità della ndrangheta di “decongestionare” il tradizionale approdo di Gioia Tauro, sottoposto invece ad un controllo sempre più efficace da parte delle Forze dell’Ordine. Sembrerebbe quindi che, nonostante “l’affidamento” regionale, la ndrangheta calabrese si riserverebbe di gestire centralmente un traffico che dal Sud America, attraverso Trieste, approderebbe poi all’Est Europa. Peraltro, è bene sottolineare che trasporti di droga di grandi dimensioni vengono programmati in pieno accordo e partecipazione con i fornitori dello stupefacente che solitamente si accollano la responsabilità della consegna per una parte consistente del tragitto prescelto per lasciare poi agli acquirenti una specie di “ultimo miglio”: in questo senso acquistano grande importanza anche i corridoi criminali dei Balcani che, via terra, raggiungono il FVG e l’Italia per lo spaccio nel nostro paese. Va inoltre rilevato, su un altro fronte, la pervasiva presenza di ditte appaltatrici di manodopera negli stabilimenti cantieristici di Monfalcone sospettate di intrattenere rapporti con le cosche sia calabresi che siciliane. Esse svolgerebbero un ruolo determinante nella fornitura di lavoratori interinali delineando in tal guisa una situazione di vero e proprio caporalato. Come ha sottolineato la commissione parlamentare antimafia nel corso della sua visita in Friuli Venezia Giulia risalente al giugno 2015, sono emerse delle criticità che richiedono una interlocuzione, quantomeno per invitare le imprese a siglare un nuovo protocollo di legalità con le parti sociali e la prefettura. Tali protocolli di legalità non sono stati ancora accettati da importanti aziende del settore, anche di proprietà pubblica.
Per dare una misura del fenomeno, in verità clamorosa, si pensi che in occasione dei lavori di manutenzione ed allargamento della grande base americana di Aviano, più della metà delle ditte ammesse ai lavori e una larga parte dei lavoratori stessi furono segnalati come aventi rapporti con le cosche calabresi. Essendo i lavori di esclusiva pertinenza Usa le varie interdittive anti mafia furono, all’epoca, tranquillamente aggirate. La puntuale osservazione delle vicende del clan Iona da parte della DIA, centro di Padova e sezione di Trieste (operazione "AMARANTO" – procedimento penale nr. 5583/DDA/2014, si ricollega all'operazione "BRIGANTINO" già svolta dalla DIA di Padova - sezione di Trieste negli anni 2003-2004 – procedimento penale n. 2609/DDA/2003), ha altresì permesso di rilevare uno stretto rapporto con ndrine presenti in Veneto, Lombardia e ovviamente Calabria. Recenti ed ingenti sequestri di cocaina collegati al porto di Trieste hanno portato gli inquirenti ad ipotizzare un intervento diretto ed autonomo della Centrale calabrese verso il FVG, motivato dalla necessità della ndrangheta di “decongestionare” il tradizionale approdo di Gioia Tauro, sottoposto invece ad un controllo sempre più efficace da parte delle Forze dell’Ordine. Sembrerebbe quindi che, nonostante “l’affidamento” regionale, la ndrangheta calabrese si riserverebbe di gestire centralmente un traffico che dal Sud America, attraverso Trieste, approderebbe poi all’Est Europa. Peraltro, è bene sottolineare che trasporti di droga di grandi dimensioni vengono programmati in pieno accordo e partecipazione con i fornitori dello stupefacente che solitamente si accollano la responsabilità della consegna per una parte consistente del tragitto prescelto per lasciare poi agli acquirenti una specie di “ultimo miglio”: in questo senso acquistano grande importanza anche i corridoi criminali dei Balcani che, via terra, raggiungono il FVG e l’Italia per lo spaccio nel nostro paese. Va inoltre rilevato, su un altro fronte, la pervasiva presenza di ditte appaltatrici di manodopera negli stabilimenti cantieristici di Monfalcone sospettate di intrattenere rapporti con le cosche sia calabresi che siciliane. Esse svolgerebbero un ruolo determinante nella fornitura di lavoratori interinali delineando in tal guisa una situazione di vero e proprio caporalato. Come ha sottolineato la commissione parlamentare antimafia nel corso della sua visita in Friuli Venezia Giulia risalente al giugno 2015, sono emerse delle criticità che richiedono una interlocuzione, quantomeno per invitare le imprese a siglare un nuovo protocollo di legalità con le parti sociali e la prefettura. Tali protocolli di legalità non sono stati ancora accettati da importanti aziende del settore, anche di proprietà pubblica.