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OPERAZIONE PERSEVERANCE - ESEGUITE 27 MISURE CAUTELARI REALI DI BENI E DISPONIBILITÀ FINANZIARIE PER 2,5 MILIONI DI EURO NEI CONFRONTI DEI PRESUNTI UTILIZZATORI DI FATTURE FALSE EMESSE DA SOCIETA’ RICONDUCIBILI ALLA ‘NDRANGHETA OPERANTE IN EMILIA

 

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OPERAZIONE PERSEVERANCE - ESEGUITE 27 MISURE CAUTELARI REALI DI BENI E DISPONIBILITÀ FINANZIARIE PER 2,5 MILIONI DI EURO NEI CONFRONTI DEI PRESUNTI UTILIZZATORI DI FATTURE FALSE EMESSE DA SOCIETA’ “CARTIERE” RICONDUCIBILI A SOGGETTI RITENUTI INTRANEI O CONTIGUI ALLA ‘NDRANGHETA OPERANTE IN EMILIA

La Polizia di Stato e la Guardia di Finanza, su delega della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bologna, stanno dando esecuzione a 27 misure cautelari reali, per complessivi 2,5 milioni di euro circa, emesse dal G.I.P. del Tribunale felsineo. Le esecuzioni sono attualmente in corso nelle province di Reggio Emilia, Ferrara, Fermo, Forlì, Lodi, Modena, Parma, Pisa, Perugia, Torino e Verona. In particolare, la Squadra Mobile di Reggio Emilia, nell’ambito dell’attività in oggetto indicata, coordinata dalla DDA di Bologna, nel corso dell’anno 2021, aveva tratto in arresto, in esecuzione di misure cautelari carcerarie, otto soggetti gravemente indiziati di associazione per delinquere di stampo mafioso e reati fine, aggravati dal metodo mafioso, tra i quali, anche, estorsione, detenzione di armi e reati finanziari collegati ad una vorticosa attività di emissione, da parte del clan operante in Reggio Emilia, di fatture per operazioni inesistenti quantificata in 13.441.000,00 [tredicimilioniquattrocentoquarantuno] euro. 

Per il reato di emissione di false fatture, con l’aggravante mafiosa, il GUP del Tribunale di Bologna, con sentenza di primo grado, aveva già disposto la confisca di otto società cartiere (cioè deputate all’emissione di false fatture) ed aveva condannato, per reati fiscali aggravati dal metodo mafioso, sette soggetti; tra questi, anche, due presunti appartenenti al sodalizio ‘ndranghetistico emiliano, allo stato condannati in primo grado, rispettivamente, ad anni 16 e 15 di reclusione per associazione di stampo mafioso, tentata estorsione, detenzione di armi e, appunto, emissione di fatture per operazioni inesistenti. Gli ulteriori cinque soggetti sono stati condannati a pene che variano da 4 anni ad 1 anno e sei mesi per il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, aggravato dal metodo mafioso. L’attività d’indagine, condotta dalla Squadra Mobile della Questura di Reggio Emilia, aveva fatto emergere che il clan 'ndranghetistico operante in Reggio Emilia aveva continuato, nella ipotesi di accusa, ad offrire, in via “professionale”, “servizi” di emissione di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti, per consentire alle imprese beneficiarie l’abbattimento dei propri redditi imponibili.

In relazione alla complessa attività di servizi finanziari illegali assicurati dal clan di 'Ndrangheta reggiano ad imprenditori, Squadra Mobile e Guardia di Finanza di Reggio Emilia in codelega, hanno individuato gli utilizzatori delle fatture false e sviluppato i relativi accertamenti; si è proceduto, dapprima, a verificare l’annotazione delle false fatture nelle dichiarazioni fiscali ed a quantificare l’evaso in 3.711.271,00 [tremilionisettecentoundicimiladuecentosettantuno] euro, e, quindi, a deferire 77 soggetti indiziati di avere utilizzato, per abbattere il proprio carico fiscale, le fatture per operazioni inesistenti emesse dalla locale ‘ndranghetistica emiliana, proponendo il sequestro preventivo per equivalente del profitto assicurato agli utilizzatori dei servizi finanziari illegali. Per 27 indagati il GIP distrettuale ha ritenuto la sussistenza delle esigenze cautelari ed ha emesso i citati provvedimenti ablativi. Si rappresenta che nel corso della medesima operazione questa Squadra Mobile aveva già eseguito un sequestro preventivo per equivalente, emesso dal GIP del Tribunale di Reggio Emilia, della somma di € 717.214,36 a carico di due coniugi, entrambi condannati, in primo grado, ed attualmente detenuti per il reato di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso. L’attività in parola testimonia il massimo sforzo profuso dalla Polizia di Stato, anche in collaborazione con Guardia di Finanza, per reprimere fenomeni criminali ed impedire che patrimoni, illegalmente accumulati, possano contaminare l’economia legale.

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