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MAFIA, GLOBALIZZAZIONE, EUROPA: UNA SFIDA PER LA POLITICA di Giuseppe Lumia

 

In Germania, i giovani si interrogano sulla presenza della mafia. 

I giovani dell’SPD di Kassel e del PD della Sardegna hanno organizzato un seminario online, al quale mi hanno invitato per presentare una relazione sulla lotta alle mafie nel contesto globale ed europeo. 

Quello che segue è dunque il mio contributo, che ha dato vita a un intenso confronto e ha gettato le basi per un percorso progettuale comune.




MAFIA, GLOBALIZZAZIONE, EUROPA: UNA SFIDA PER LA POLITICA

di Giuseppe Lumia


Sono molto contento di dialogare con una storica organizzazione come i Jusos. Ringrazio in particolare Elio Sanchez, promotore di questa iniziativa, Alberto Vettese, che ha tradotto in tedesco la relazione e le slide e che farà da interprete in questo incontro, e il PD di Berlino.

Le nuove generazioni hanno sulle spalle compiti eccessivamente gravosi. Nel cammino della storia a volte ci si trova di fronte a responsabilità a cui non ci si può sottrarre. Voi siete la generazione che dovrà misurarsi con sfide drammatiche, come il cambiamento climatico, la diffusione delle disuguaglianze, il proliferare delle guerre. Ve ne aggiungo un’altra: la liberazione dalle mafie. È possibile su questa dimensione ottenere dei risultati? Sì, abbiamo ormai un elevato livello di conoscenza e una gamma di interventi in grado di colpirle a tutti i livelli: sul piano militare, su quello economico-finanziario, su quello sociale e culturale, su quello politico-istituzionale. 

È necessario però un piglio progettuale e la “scelta delle scelte”: inserire la lotta alle mafie tra le priorità dell’agire politico e culturale. Voi giovani potete essere la leva per fare questo grande salto di qualità. 

In Italia, nel mondo del volontariato, abbiamo avuto una crescita straordinaria grazie soprattutto ai giovani nella gestione dei beni confiscati e nel loro riutilizzo sociale. Alcuni campi agricoli prima in mano alla mafia adesso sono aziende che producono i migliori prodotti con il marchio dell’antimafia: dall’olio al vino, dai pomodori alla pasta. Anche nella scuola intere generazioni si stanno misurando con la necessità di liberarsi dal pensare e sentire mafioso, che inquina le comunità e crea l’humus sociale nel quale le mafie affondano per reclutare i giovani.

Non è stato un cammino semplice: si è dovuto pagare un prezzo di sangue elevatissimo. In questa lotta sono caduti magistrati, esponenti delle forze dell’ordine, giornalisti, sacerdoti, imprenditori, sindacalisti, esponenti politici. La mia esperienza si è forgiata sul campo, prima in Sicilia e poi in Parlamento. Ho guidato la Commissione parlamentare antimafia e su di me ancora pende una condanna a morte. Anch’io ho dovuto cambiare tantissimo nella gestione della mia quotidianità e privarmi delle più elementari condizioni di mobilità e di vivibilità. Non sempre si ottengono i consensi adeguati, ma vi assicuro che la lotta alle mafie richiede il meglio di ognuno di noi ed è un dovere a cui non possiamo sottrarci.

Allora predisponiamoci insieme a una riflessione che sposta l’attenzione dall’effetto alla causa. Indicarvi fatti specifici è ormai superfluo, basta collegarsi a qualunque sito specializzato per avere notizie e documentazione. 

Vi proporrò invece una lettura che va a monte, per provare realmente a capire dove sta la forza del fenomeno mafioso e come avviare un vero percorso di liberazione.


LE MAFIE SONO UNA REALTÀ DEVASTANTE CON CUI FARE I CONTI

Le mafie sono sempre più una drammatica realtà. 

Alcuni settori dell’economia illegale sono in piena espansione. L’elenco è lunghissimo: le estorsioni, innanzitutto, il controllo della prostituzione e la tratta degli esseri umani, a danno soprattutto degli immigrati; non dimentichiamo poi il traffico internazionale delle armi, dei rifiuti speciali e delle scorie radioattive, dei diamanti, dell’oro, dell’argento e delle pietre preziose, di animali esotici. Altre attività sono quelle più consolidate, come il controllo delle risorse pubbliche, con truffe e corruzione, soprattutto del ciclo del cemento e degli appalti. Su tutte spicca il narcotraffico, che è l’attività che garantisce ricchezze smisurate e tiene insieme tutte le mafie. 

L’economia illegale si mescola con l’economia legale grazie all’attività di riciclaggio, che non subisce un contrasto adeguato e così si rischia di trovarci di fronte un inquinamento economico di portata storica. Esiste una miriade di professionisti, i cosiddetti “colletti bianchi”, che sono al servizio delle attività mafiose soprattutto nel passaggio dall’economia illegale a quella legale.

Ma anche la vita sociale ne viene condizionata. Le mafie avanzano in molti quartieri di tutte le principali città europee e mondiali. Giorno dopo giorno conquistano, nei loro riti e traffici, giovani che pensano così di aver trovato una sorta di appartenenza, oltre alla possibilità di arricchirsi, seppure il più delle volte tutto si trasforma per loro in una vita violenta e senza alcuno sbocco familiare, professionale e legale.

Nella stessa politica, abbiamo fenomeni di collusione e di corruzione legati ai rapporti con le mafie, che rischiano di incrinare la credibilità delle istituzioni democratiche. Dove c’è un’organizzazione mafiosa, c’è sempre una possibilità che si instaurino rapporti con la politica. È questa la caratteristica devastante della mafia.

Come reagire? 


NEGAZIONISMO E MINIMALISMO: UN APPROCCIO DA EVITARE

Innanzitutto bisogna curare due virus devastanti: il negazionismo e il minimalismo. 

Il negazionismo è diffuso e prevale in particolare in quelle aree che non hanno una tradizionale presenza mafiosa, come il Centro-Nord dell’Italia e di diversi Paesi europei. È un fenomeno che ho potuto constatare nella mia lunga attività anche in Germania. Vi mostro alcune cartine tematiche, nelle quali è evidenziata la sola presenza delle mafie italiane in Germania, che ho inserito in un mio libro, dal titolo chiaro ed esplicito, “‘ndrangheta made in Germany”, che ho scritto con il giornalista ed esperto Orfeo Notaristefano dopo la strage di Duisburg. Una strage che è arrivata dopo che si è lasciata indisturbata la ‘ndrangheta quando investiva con il riciclaggio i proventi dal narcotraffico nella ricostruzione della ex Germania dell’Est. Si è sottovalutato il pericolo quando la ‘ndrangheta si è radicata attraverso le imprese, con legami economici e in qualche caso anche politici. Ci si è scandalizzati quando è passata alle armi. Eppure non si è imparata a sufficienza la lezione. 

Nella prima cartina, è indicata la presenza della ‘ndrangheta, nella seconda quella della camorra, nella terza c’è la sacra corona unita e nella quarta cosa nostra. 





Il negazionismo disarma la coscienza popolare ed espone le democrazie e la politica a essere infiltrate dalle mafie e svuotate dall’interno. 

Il minimalismo è una minaccia ancora più sottilmente pericolosa, perché non nega la presenza delle mafie ma la svilisce, la considera un piccolo effetto inevitabile della società, come quella occidentale, dove il pluralismo sociale e l’economia non possono subire rigorosi e stringenti controlli di legalità.

Il minimalismo spesso è anche il viatico per coabitare con le mafie e colludere con i boss e i loro affari. Il danno in questo caso è ancora più grande del negazionismo perché crea una condizione ipocrita e contribuisce a diffondere quella sfiducia nella politica e nella democrazia che sta colpendo fasce consistenti del mondo giovanile in tutti i settori della società europea. 

Da dove partire? Qual è l’approccio giusto?

La prima scelta è quella di analizzare bene il contesto globale del rapporto con le mafie e così fare un quadro reale da cui partire. 


LE MAFIE NEI VARI CICLI DELLA GLOBALIZZAZIONE

Bisogna tener conto che il contesto in cui proliferano le mafie è quello globale. La stessa dimensione temporale è quella del “just in time”. In un batter d’occhio, le mafie sono in grado di movimentare traffici illeciti ed esercitare il riciclaggio, mentre il controllo di legalità è parziale, lento e del tutto privo di adeguati strumenti per agire sul piano globale. In sintesi, le mafie sono globali, le antimafie sono locali.

Con la globalizzazione, in sostanza, dobbiamo fare i conti. La politica sino adesso non ha saputo prendere le misure giuste. È spiazzata, silente, sporadicamente la rincorre e non ha ancora saputo trovare l’approccio per una sua adeguata governance. Basti guardare ai cicli della globalizzazione per comprendere il fiato corto della politica e per constatare invece il dinamismo perverso delle mafie. 

Il Primo Ciclo è stato quello della “globalizzazione virtuosa”. È stata ritenuta tale da un coro pressoché unanime sia nella politica sia tra gli esperti per la crescita che in effetti all’inizio si era verificata a vantaggio dei Paesi emergenti. Questa è stata la fase che possiamo definire piuttosto “ingenua”. La globalizzazione è stata infatti decantata ai quattro venti, si è voluto spingerla al massimo, perché si è pensato che fosse la meta più avanzata della convivenza umana. In effetti, all’inizio ha prodotto un processo liberatorio delle energie e delle potenzialità di diversi Paesi, in particolare dei cosiddetti Paesi BRICS. Si è compreso tardi che le cose non erano del tutto semplici e migliorative. Le mafie e le illegalità diffuse venivano pertanto considerate per lo più un inevitabile effetto collaterale dello sviluppo inedito delle società, avanzate e non. 

La politica si è limitata ad osservare e ha lasciato che il fenomeno della globalizzazione scorresse lungo i binari dell’economia senza regole. 

È seguito rapidamente un Secondo Ciclo, quello della “globalizzazione finanziaria”. L’economia reale, quella produttiva, si è fatta travolgere facilmente prima da quella dei titoli in Borsa e poi da quella più moderna delle transazioni elettroniche. La cosiddetta finanziarizzazione dell’economia ha dominato via via gli scambi, ha determinato nuove gerarchie e spostato i luoghi decisionali del vero potere economico. Ma anche questo ciclo ha gettato presto la sua maschera, spingendo interessi economici e diversi Paesi sull’orlo del disastro. Nel 2008, la crisi è esplosa anche nei Paesi occidentali e nella nostra stessa Europa, con drammatiche conseguenze sociali in termini di diffusione di disuguaglianze e povertà. Le mafie non sono rimaste a guardare e non sono state più solo un effetto collaterale della globalizzazione, ma sono divenute parte integrante di un certo modello di sviluppo, privo di governance e di standard di tutela dei diritti umani e dei vincoli sociali e ambientali. 

La politica ha perso un’occasione preziosa, si è limitata a piccole correzioni, per evitare i crolli soprattutto del sistema bancario e non ha imboccato la strada di una progettualità in grado di stabilire regole di governo globale dell’economia e delle transazioni, secondo il modello dello sviluppo sostenibile socialmente e ambientalmente.

Siamo dentro adesso al Terzo Ciclo, quello della “globalizzazione anarchica o cinica”, caratterizzata da un’assenza di regole omogenee e dalla mancanza di soggetti in grado di garantire un’adeguata governance della globalizzazione. Niente controlli, scarsi accordi, diffusione delle mafie e dei riciclaggi. Nel ciclo attuale tutto è lecito: aggredire un Paese come l’Ucraina, sottovalutare il cambiamento climatico, lasciare ai trafficanti di esseri umani la gestione del fenomeno dell’immigrazione. Così le mafie non trovano nessun ostacolo ed entrano sempre più in simbiosi con l’economia e la società, senza avere un contrasto adeguato in termini di prevenzione e repressione. 

La politica si è lasciata addirittura trascinare dalle dinamiche populiste e sovraniste, che sono invece la soluzione peggiore di fronte ai processi di globalizzazione. È giunto il momento allora di cambiare passo e ripensare e riprogettare una nuova governance della globalizzazione. 


UNA NUOVA GOVERNANCE DELLA GLOBALIZZAZIONE, PRESUPPOSTO INDISPENSABILE PER LA LOTTA ALLE MAFIE

La lotta alla mafia non può essere affidata alla buona volontà della magistratura e delle forze dell’ordine, dei cittadini, di alcuni soggetti sociali e di singole personalità politiche. C’è bisogno di promuovere una moderna progettualità, che ha un criterio guida ben chiaro. Si tratta del legame tra legalità e sviluppo, da fare scorrere in un nuovo contesto istituzionale: Stati Uniti d’Europa e ONU.

Il contesto istituzionale deve far maturare nuove politiche pubbliche, soprattutto su aspetti delicati e controversi come la lotta alle mafie. Non può essere pertanto ristretto all’ambito nazionale, superato e incapace di tenere il passo della globalizzazione e foriero di rischiosi conflitti interni ed esterni. L’orizzonte istituzionale della governance deve avere ben altro respiro, si deve collocare a un livello almeno continentale. 

Nel nostro spazio geopolitico, bisogna guardare pertanto alla dimensione europea. Tuttavia, non dobbiamo riferirci all’attuale Europa nel suo ingessato assetto Confederale, che assegna ai singoli Stati il potere reale del governo dell’Unione Europea, con i risultati scoraggianti che conosciamo e che abbiamo sperimentato più volte: nella fallimentare gestione dei processi migratori, durante la pandemia, con l’incapacità di produrre un vaccino e una politica sanitaria condivisa. Adesso, con la guerra che la Federazione Russa sta portando avanti contro l’Ucraina, sono venuti fuori tutti i limiti della gestione comune delle politiche energetiche e sulla sicurezza.

Bisogna invece riferirsi ad un’Europa con un nuovo assetto Federale, in sostanza bisogna investire sugli Stati Uniti d’Europa. Anche le materie delle politiche pubbliche contro le mafie devono quindi trovare un solido ancoraggio in un tale livello istituzionale, per essere condivise e applicate in tutti i Paesi aderenti e per essere efficaci e in grado di orientare le scelte nella più vasta realtà della governance globale.

L’obiettivo, già dalla prossima legislatura europea, deve essere chiaro: contro le mafie è necessario costruire lo spazio giuridico, investigativo e sociale antimafia europeo. 

Per completare il quadro istituzionale, bisogna ripensare e riprogettare pure la funzione dell’ONU, nell’ottica avanzata degli Stati Uniti del Mondo. Oggi, l’ONU ha un tipo di governance interna debole e paralizzata del sistema dei “veti incrociati”. Sulle mafie ha provato più volte a definire protocolli, piani e strategie, ma senza ottenere i risultati sperati. 

Ecco perché è necessario riorganizzare il modello decisionale e prevedere per la lotta alle mafie, come naturalmente per la tutela dei diritti umani, del contrasto al cambiamento climatico e alle disuguaglianze e soprattutto per la promozione della pace, una competenza dotata di rappresentanza e di strumenti di intervento diretto tanto sul lato della prevenzione quanto su quello della repressione.

Con una struttura operativa diversa in gestione all’ONU, ad esempio si potrebbero utilizzare nella lotta al narcotraffico le nuove tecnologie per dettare norme quadro sul versante del consumo. Si potrebbe regolare l’utilizzo trasparente dei social e monitorare con sistemi satellitari avanzati i luoghi di produzione delle sostanze, come pure si potrebbe controllare la commercializzazione che oggi utilizza la rete, ampliando inoltre la sfera di intervento sui Paesi assoggettati ai narcotrafficanti con piani reali e condivisi di riconversione delle colture e con progetti di prevenzione sociale e culturale.

Le politiche pubbliche contro le mafie devono uscire fuori dagli attuali confini locali e diventare di competenza di contesti istituzionali di aree vaste di respiro continentale e mondiale. 

Così si può avere un’Agenda che sposti l’asse dell’intervento pubblico e sociale dal "giorno dopo" le aggressioni delle mafie al "giorno prima", dove si possono ottenere i migliori risultati e si possa perseguire l’obiettivo di liberare l’umanità dalle mafie. 




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