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Sfruttamento della prostituzione: 8 arresti a Roma

Sono accusate di aver ridotto in schiavitù moltissime donne nigeriane, le 11 persone destinatarie di ordinanze cautelari emesse dal Giudice per le indagini preliminari di Roma.
In carcere sono finiti otto nigeriani; altri due sono da tempo fuori dall’Italia ed un altro ancora è ricercato.
Gli investigatori della Squadra mobile romana hanno ricostruito il percorso o meglio il calvario di queste donne dalla Nigeria all’Italia.
Il viaggio
La collaborazione di alcune vittime ha consentito in particolare di disegnare le fasi del reclutamento e della partenza dai villaggi di origine.
Le donne, spesso minorenni, venivano avvicinate da persone vicine al clan familiare e lusingate con promesse di facili guadagni in Europa.
Non veniva nascosta l’attività di prostituzione che sarebbe stata svolta al loro arrivo in Italia, ma ne venivano enfatizzati gli aspetti positivi: guadagni ingenti e poche o nulle le spese di viaggio e mantenimento.
Dopo aver accettato, le donne venivano sottoposte ad un rito religioso con uno stregone che suggellava il patto con le divinità.
Il culto JuJu in Nigeria è molto diffuso e i patti stipulati con i “sacerdoti” di questa religione sono molto temuti dalla popolazione: non rispettarli significherebbe per le ragazze attirare su di sé e sui propri congiunti malattie, sciagure e morte.
Non appena il rito veniva compiuto le ragazze venivano allontanate dalla propria famiglia; in buona sostanza venivano prese in consegna dall’organizzazione che le teneva rinchiuse in attesa della partenza.
Dalla Nigeria le donne, attraverso il Niger, arrivavano sino a ridosso delle coste libiche, dove venivano alloggiate all’interno di “connection house”, in attesa del passaggio via mare a bordo di barconi.
Ovviamente, già durante il viaggio, le donne capivano che i guadagni promessi non sarebbero mai stati realizzati: il viaggio in camion o in bus veniva anticipato dalle “madame” residenti in Europa. Costava da 30mila a 35mila euro, da ripagare in prestazioni sessuali, e anche il cibo e la permanenza nella “connection house” dovevano essere ripagati nello stesso modo.
Durante il tragitto le donne venivano violentate e malmenate, anche per iniziare quella sorta di assoggettamento che le avrebbe rese oggetti di proprietà dell’organizzazione.
Arrivate in Europa, le donne venivano affidate alle “madame” che continuavano l’assoggettamento psicologico e fisico: permanenza in casa con la “madame”, nessuna relazione sentimentale, pagamento dell’alloggio, del vitto e dell’affitto del marciapiede dove prostituirsi.
Non c’era nessuna possibilità di ribellarsi: il rapporto era talmente stretto che le malcapitate chiamavano le “madame” con il diminutivo di “mami”, mentre le ragazze a loro volta erano chiamate figlie.
Il passaggio di denaro
Difficile è stato ricostruire il passaggio di denaro tra questi moderni schiavisti.
I criminali infatti non utilizzavano sistemi bancari o di money transfer, ma utilizzavano il sistema Hawala; un sistema molto semplice che non prevede reali passaggi di denaro durante la transazione. Il soggetto, che chiameremo A, avendo la necessità di trasferire del denaro al soggetto B, si avvale di un intermediario, l’hawaladar broker, che riceve il denaro e che si rivolge ad un suo referente, un altro hawaladar broker, nella località di destinazione del denaro.
Il segreto sta in un codice, una parola cifrata, un simbolo, che il primo intermediario consegna al soggetto A; questo lo comunicherà al soggetto B, che, a sua volta, lo utilizzerà con il secondo intermediario; quest’ultimo riterrà il codice comunicato, come un codice di sblocco del denaro, che verrà quindi consegnato al soggetto B, fruitore finale della intermediazione.
Il denaro, fisicamente, invece, viaggerà in modo separato attraverso dei corrieri, nascosto in valigie o con altri sistemi.

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