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Presi gli autori del tentato duplice omicidio a Palermo

 

Una dimostrazione di forza finalizzata a ribadire la propria “pregnanza mafiosa” nel quartiere Zen di Palermo, una caratteristica che deriva dal modo in cui il gruppo criminale si esprime nel contesto ambientale.

È proprio questa la lettura data dagli investigatori della Squadra mobile palermitana all’agguato portato a termine, in perfetto stile mafioso, il 23 marzo scorso.

Quel pomeriggio un commando armato ha tentato di uccidere Giuseppe Colombo e i suoi due figli durante un inseguimento avvenuto per strada e in pieno giorno, con decine di colpi sparati ad altezza d’uomo mentre le vittime cercavano di fuggire.

Alla fine i destinatari degli spari sono scampati all’assalto, ma due di loro stati colpiti a braccia, gambe, glutei e talloni, e per questo trasportati dalla terza vittima, rimasta miracolosamente illesa, all’ospedale Villa Sofia del capoluogo siciliano.

L’indagine ha portato ad individuare, come appartenenti al gruppo di fuoco, e ad arrestare, quattro palermitani, ritenuti complici di due fratelli già fermati, per lo stesso motivo, la notte successiva alla sparatoria.

Gli investigatori hanno scoperto che il tentato duplice omicidio è stato l’epilogo di una vecchia storia di rivalità e rancori tra gruppi criminali che, la mattina precedente all’agguato, era stata infiammata da un’accesa discussione tra quelle che sarebbero diventate le vittime del raid armato e i due fratelli arrestati.

La spedizione punitiva, alla quale hanno partecipato più di dieci persone, arrivate sul posto a bordo di tre auto di grossa cilindrata, moto e scooter, è diventata una sorta di parata militare per ostentare il proprio potere criminale di fronte a tutto il quartiere.

Subito dopo l’agguato, gli esecutori hanno tentato di ripulire la strada dalle tracce degli spari, lasciando comunque sul posto almeno una decina di bossoli, curandosi poi di nascondere subito le armi utilizzate.

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