Tratto dall'ordinanza sulla cupola 2.0
Già alla fine degli anni ’50, al Grand Hotel et des Palmes di Palermo, una riunione tra i rappresentanti delle cosche mafiose americane e siciliane diede vita alla Commissione provinciale, organismo di vertice di Cosa nostra, composto dai capi mandamento e deputato ad assumere le decisioni di maggiore rilievo per l’organizzazione. Come è noto, dopo la ‘seconda guerra di mafia’, agli inizi degli anni ’80 la Commissione, sostanzialmente, mutava fisionomia, nel senso che il potere ormai incontrastato dei corleonesi faceva sì che perdesse la sua natura di organo collegiale e ‘democratico’ per essere, invece, dominata da RIINA Salvatore. Tanto che il collaboratore Tommaso BUSCETTA, nell’aula bunker di Rebibbia, nel noto confronto con il RIINA, lo accusava di avere ‘ucciso Cosa nostra’. Con l’arresto di quest’ultimo, avvenuto nel 1993, la commissione, ormai decapitata, cessava di funzionare, pur rimanendo nella struttura ordinamentale di cosa nostra le cui regole, almeno nella forma, non perdono vigore. In assenza del RIINA, dunque, il ruolo di vertice dell’associazione mafiosa veniva assunto, come è noto, da un altro corleonese, il latitante PROVENZANO Bernardo. Ma ciò con una necessaria precisazione. PROVENZANO, infatti, non ha mai goduto di un’investitura formale da parte dei capi mandamento. Egli, quindi, ha esercitato il suo predominio sostanzialmente ma non anche formalmente, e ciò solo in virtù del fatto che era considerato, almeno all’esterno, ‘la stessa cosa’ del RIINA. Pertanto, se di fatto ha finito per svolgere funzioni di coordinamento tra i vari mandamenti, tali funzioni sono state svolte attraverso l’aspetto del consiglio ma mai dell’ordine (come testimonia la copiosa corrispondenza del boss latitante acquisita l’11 aprile 2006), in ossequio, dunque, alle regole formali dell’associazione mafiosa. Di conseguenza, PROVENZANO, al di là della ‘strategia della sommersione’ con cui ha inteso dirigere cosa nostra, comunque non avrebbe mai potuto assumere determinazioni che erano, e rimangono, nella ‘competenza’ della Commissione provinciale. Sicché, l’associazione mafiosa, pur rimanendo vitale e dinamica, si è trovata, già dai tempi dell’avvento del PROVENZANO, e nonostante il suo carisma unanimemente riconosciuto, nell’impossibilità, almeno formale, di deliberare sulle vicende di maggiore rilievo, quelle capaci cioè di incidere sul profilo di Cosa nostra e sui suoi ‘rapporti’ con le Istituzioni. L’esempio più significativo di tale assunto è dato dalla risaputa questione, già oggetto di approfondita trattazione nel procedimento cd ‘Gotha’ (n.2474/05 NR) e in quello cd ‘Old Bridge’ (11059/06 NR), del rientro in Italia degli scappati (e degli INZERILLO, in particolare) di cui, come è noto, era stato deciso, a suo tempo, l’esilio negli Stati Uniti. Qui basti ricordare che, da una parte, lo schieramento, capeggiato da ROTOLO Antonino, si opponeva al rientro degli INZERILLO, principalmente per il timore di possibili propositi di vendetta da parte dei “perdenti”, non disgiunte dal riconoscimento delle “potenzialità” degli INZERILLO; dall’altra parte, una pluralità eterogenea di soggetti mafiosi, alcuni dei quali storicamente legati agli Stati Uniti d’America e alle famiglie della LCN (La Cosa nostra) statunitense, tra i quali spicca la figura di Salvatore LO PICCOLO, era invece favorevole con motivazioni varie a consentire il rientro degli INZERILLO. Entrambi gli schieramenti, poi, cercavano di ottenere l’approvazione del PROVENZANO, che sarebbe stata decisiva per la prevalenza dell’una o dell’altra posizione; il PROVENZANO, però, consapevole della profondità del contrasto in corso e del rischio che esso portasse ad episodi di violenza fino a sfociare in una nuova “guerra di mafia”, ha evitato fino all’ultimo, pur mostrandosi in linea di principio possibilista, di prendere una posizione chiara e ha preferito invece, per evitare che la situazione precipitasse, temporeggiare ed inviare messaggi carichi di ambiguità. La difficoltà per giungere ad una decisione sull’argomento era dovuta al fatto che la questione rientrava nella competenza della Commissione, che già aveva deliberato l’esilio dei perdenti. Decisione questa che non poteva essere modificata in quanto la Commissione non poteva più riunirsi a causa della detenzione dei suoi componenti che, comunque, mantenevano ancora formalmente la loro carica. Invero, come detto, il PROVENZANO era possibilista e così scriveva al LO PICCOLO (cfr. ‘pizzino’ sequestrato a LO PICCOLO Salvatore, in occasione del suo arresto): Io vi prego se possiamo trovare un accordo tutti insieme QUELLI CHE SIAMO FUORI e là dove è possibile risolviamo le cose CON LA RESPONSABILITÀ DI TUTTI ..: IL MIO FINE È DI EVITARE DI POTERCI ACCUSARE L’UNO CON L’ALTRO LÀ DOVE CI FOSSE QUALCUNO CHE POTESSI CHIEDERE CONTO DI ALCUNE COSE. Analoga lettera era stata inviata dal PROVENZANO al ROTOLO come si evince da una conversazione, registrata il 6 settembre 2005, tra quest’ultimo e SANSONE Gaetano: ROTOLO: (…) Dopo, dopo, dopo di quella che mi ha scritto a me! A me ne ha scritto tre lettere, che se ne devono andare quelli, ma lui responsabilità no se ne prende! … ora mi scrive due lettere, una che mi arriva da una parte e una che mi arriva dal LO PICCOLO e nemmeno so se (incomprensibile) dico… comunque e c’è scritto “eeee… dice, per quanto riguarda la questione degli INZERILLO dato che ormai di quelli che hanno deciso questa cosa non c’è più nessuno, siamo rimasti… a potere decidere questa cosa, siamo solo tre, io, tu e LO PICCOLO.” Lui ha sbattuto la testa quando era piccolo! Cioè io, lui…… e tutti gli altri sono stracci, immondizia. Aspetta un minuto, questa qualifica al LO PICCOLO, chi gliel’ha data? Perché il mandamento è a San Lorenzo e pure noi di qua riconosciamo a Nino, no a lui!? Il ROTOLO, quindi, per opporsi alla possibilità del rientro degli ‘scappati’, si faceva forte del fatto che l’originaria decisione sul punto della Commissione non poteva essere assolutamente modificata, nemmeno con l’accordo dei tre capimafia rimasti liberi, come risulta da una lettera inviata al PROVENZANO dal LO PICCOLO (e sequestrata nel covo di Montagna dei Cavalli), in cui quest’ultimo scriveva che il n. 164 (CINA’ Antonino) e il n. 25 (ROTOLO Antonino) ritenevano che gli INZERILLO non potessero ritornare in Sicilia ‘perché all’epoca fu deciso che se ne dovevano stare in america e siccome fu stabilito dallo zio totuccio r. ed inoltre anche se è arrestato è sempre lui il capo commissione, di lasciare il discorso come all’epoca fu stabilito. Con l’arresto del PROVENZANO e quello di poco successivo di ROTOLO Antonino e CINA’ Antonino, e poi anche del LO PICCOLO (che pur aveva avviato una strategia di espansione), non solo, quindi, rimane fermo il problema dell’impossibilità di ovviare allo stato di quiescenza della Commissione, ma non vi è più nemmeno un leader riconosciuto dall’intera organizzazione che possa fungere da coordinamento tra i vari mandamenti. Sin dal mese di maggio 2008, i Carabinieri del RONI di Palermo documentavano una serie di riunioni tra importanti esponenti dell’associazione mafiosa aventi ad oggetto, appunto, il tema della riorganizzazione di cosa nostra. Tali tematiche hanno costituito oggetto, come è noto, del procedimento Perseo che ha portato al fermo di 94 persone in data 16 dicembre 2008. Oltre alla questione della composizione dei diversi mandamenti, veniva soprattutto affrontato il più delicato argomento della possibile ricostituzione della Commissione provinciale o, comunque, di un organismo similare in grado di assumere collegialmente le deliberazioni fondamentali per la vita dell’organizzazione. Ciò anche per evitare il ripetersi di episodi come quello dell’omicidio del capo mandamento di Porta nuova, Nicola INGARAO, deciso dal solo LO PICCOLO. E’ significativo che, in questo importante dibattito interno a Cosa nostra, i vertici dell’organizzazione, nonostante le diversità di vedute, riconoscessero tutti, ancora una volta, la perdurante ‘vigenza’ della Commissione provinciale presieduta dal RIINA. In particolare, da un lato vi era chi, come CAPIZZI Benedetto, sosteneva che fosse possibile rifondare la Commissione provinciale con l’accordo e la partecipazione degli attuali capi mandamento. Dall’altro lato, vi era chi, come LO PRESTI Gaetano, capo mandamento di Porta Nuova, si opponeva a tale progetto, e ancor più alla nomina del CAPIZZI come capo della Commissione provinciale, sostenendo che quest’ultimo non godesse della necessaria ‘autorizzazione’ dei capi corleonesi detenuti, e in particolare di RIINA Salvatore (SCADUTO Giuseppe: Loro il discorso di BENEDETTO non lo vogliono accettare perché lui non è autorizzato … gli abbiamo chiesto chi è che lo autorizza e non ci vuole dire niente e noi e noi che siamo carabinieri …p.i… a lui chi gliela dà tutta questa responsabilità … come tu sai nessuno si può prendere in questo minuto … salvo che spunta quello che deve spuntare e lo manda a dire quello che deve mandare a dire e il discorso cambia …Mi hanno nominato CORLEONE …pure i paesi … CORLEONE dice lo hanno loro …hanno preso pure i discorsi dello ZIO (PROVENZANO Bernardo ndr)… Lo ZIO quando scriveva diceva le cose di CORLEONE, io posso dare consigli, ordini non ne posso dare … “BENEDETTO viene e mi viene a fare questi discorsi”… “chi lo autorizza a BENEDETTO?”, cfr. intercettazione del 15.11.2008). Ancora, vi era chi, come SCADUTO Giuseppe, capo mandamento di Bagheria, pur approvando le linee sostanziali del progetto del CAPIZZI ma, al contempo, condividendo la necessità della predetta formale ‘autorizzazione’, riteneva che, in assenza di quest’ultima, l’unica soluzione possibile fosse quella di creare una ‘specie di Commissione’ : ‘… noi non possiamo fare COMMISSIONE perché non siamo nessuno autorizzati… almeno io non sono autorizzato da nessuno … poi se qua ci siete persone autorizzate e potete disporre di fare una COMMISSIONE gli ho detto: la facciamo…Noi possiamo fare semmai… se ci mettiamo tutti d’accordo che dobbiamo essere tutti d’accordo … prendiamo quattro…cinque cristiani grandi o più piccoli …o chi o come… una specie … una cosa di consiglio fra noi per cose gravi … se dobbiamo fare cose gravi …. responsabilità credo non ne possiamo prendere nessuno salvo se c’è uno …una persona di là dentro che conosciamo tutti e manda a dire attraverso persone… no una sola … a diverse persone lo deve mandare a dire: rivolgetevi a questo,….. facciamo una specie di COMMISSIONE così per le cose gravi per le situazioni e restiamo tutti amici’. Nonostante il tentativo fallito, le successive indagini condotte dal Comando Provinciale dei Carabinieri, Nucleo Investigativo di Palermo “Oscar”, “Pedro”, “Talea” “Sisma”, “Argo” , “Alexander” , “Iago” , “Reset” , “Panta Rei” hanno documentato che cosa nostra, al fine di sopperire alla mancanza di un organismo decisionale idoneo a dare risposte urgenti in una fase di emergenza, aveva riconosciuto legittimità ad agire ad un organismo collegiale provvisorio, costituito dai più influenti reggenti dei mandamenti della città, con mere funzioni di consultazione e raccordo strategico fra i mandamenti palermitani. e L’insofferenza degli uomini d’onore a tale situazione di impasse è emersa nel tempo in svariate attività d’indagine, e recentemente si è manifestata con grande chiarezza nell’indagine “Brasca”. Infatti, l’08 gennaio 2015 veniva captato uno scambio di battute tra PULLARA' Santi e MARCHESE Mario, al vertice del mandamento di Villagrazia-Santa Maria di Gesù. Muovendo dalle precarie condizioni di salute di Bernardo PROVENZANO [U fatto di Bernardo PROVENZANO... minchia...l’hai visto?... sta morendo... mischino...] PULLARA' Santi commentava che solo la scomparsa di questi e di RIINA Salvatore avrebbe potuto aprire una nuova fase per 1’associazione mafiosa [...e se non muoiono tutti e due, luce non ne vede nessuno... è vero zio Mario?] ed interpellato in merito MARCHESE Mario concordava [lo so]. Con Totò RIINA in carcere la commissione provinciale non è più riuscita a riunirsi per più di 25 anni. Ecco perché il 17 novembre 2017, data della morte di Totò RIINA, costituisce uno storico spartiacque per cosa nostra, creando i presupposti per la ricostituzione della commissione provinciale. Infatti, il 29 maggio 2018 – poco più di sei mesi dopo la morte del capo corleonese –le indagini dei Carabinieri captavano alcune conversazioni ambientali che svelavano i dettagli di un’importantissima riunione avvenuta, tra i reggenti dei mandamenti mafiosi della provincia palermitana. Alcune modalità organizzative, nonché le ragioni dell’importante incontro emergevano, in particolare, dall’intercettazione di una conversazione intercorsa tra COLLETTI Francesco, attuale reggente del mandamento mafioso di Villabate, ed il suo fidato autista CUSIMANO Filippo, anch’egli uomo d’onore alla famiglia di Villabate. Nello specifico, COLLETTI Francesco, riferendo di aver partecipato alla riunione da poco conclusa, effettuava chiari riferimenti:
ad altri importanti reggenti di mandamenti mafiosi della città, anch’essi partecipanti alla riunione, quali MINEO Settimo (reggente del mandamento mafioso di Palermo Pagliarelli), BISCONTI Filippo (reggente del mandamento mafioso di Misilmeri – Belmonte Mezzagno) e DI GIOVANNI Gregorio (reggente del mandamento mafioso di Palermo Porta Nuova);
ad altri uomini d’onore che, sebbene ricoprissero ruoli apicali nelle diverse articolazioni mafiose territoriali, non avevano l’autorità per partecipare alla riunione. Esempio emblematico era SIRCHIA Giovanni 11 il quale, nonostante fosse un importante uomo d’onore del mandamento di Passo di Rigano-Boccadifalco, pur essendo fisicamente presente, era stato costretto a rimanere fuori dal locale ove aveva avuto luogo l’importante consesso, poiché potevano parteciparvi solo i rappresentanti dei relativi mandamenti;
alla presenza alla riunione di altri “vecchi di paese”, e cioè di reggenti di mandamenti mafiosi esterni alla città di Palermo, oltre a quelli espressamente citati;
alla centralità del ruolo che MINEO Settimo aveva assunto in seno alla riunione, durante la quale aveva preso la parola e ricordato le relative regole agli altri intervenuti, regole di fatto coincidenti con le storiche propalazioni di Tommaso BUSCETTA;
alla necessità di periodiche riunioni durante le quali i rappresentanti dei mandamenti dovrebbero scegliere i vertici delle famiglie mafiose (ed in tal senso durante la prima riunione si accennano a due casi: quello relativo alla scelta del reggente del mandamento della Noce e quello relativo alla scelta del reggente della famiglia mafiosa di Bagheria), dirimere gli eventuali contrasti tra i componenti delle varie articolazioni, nonché sanzionare gli uomini d’onore in caso di inadempienze o comportamenti censurabili allontanandoli temporaneamente o definitivamente dalle rispettive famiglie. Quindi, dalle parole di COLLETTI traspare che alla data del 29 maggio 2018 era stata ricostituita la commissione provinciale di cosa nostra palermitana, la cui sola esistenza ed operatività rappresentano un gravissimo pericolo per l’ordine pubblico sul territorio. È fin troppo evidente infatti che la ricostituzione di un organismo collegiale, consentirebbe l’allarmante rafforzamento dell’organizzazione mafiosa che diviene così in grado, di nuovo, di assumere decisioni anche ‘per le cose gravi’.
Già alla fine degli anni ’50, al Grand Hotel et des Palmes di Palermo, una riunione tra i rappresentanti delle cosche mafiose americane e siciliane diede vita alla Commissione provinciale, organismo di vertice di Cosa nostra, composto dai capi mandamento e deputato ad assumere le decisioni di maggiore rilievo per l’organizzazione. Come è noto, dopo la ‘seconda guerra di mafia’, agli inizi degli anni ’80 la Commissione, sostanzialmente, mutava fisionomia, nel senso che il potere ormai incontrastato dei corleonesi faceva sì che perdesse la sua natura di organo collegiale e ‘democratico’ per essere, invece, dominata da RIINA Salvatore. Tanto che il collaboratore Tommaso BUSCETTA, nell’aula bunker di Rebibbia, nel noto confronto con il RIINA, lo accusava di avere ‘ucciso Cosa nostra’. Con l’arresto di quest’ultimo, avvenuto nel 1993, la commissione, ormai decapitata, cessava di funzionare, pur rimanendo nella struttura ordinamentale di cosa nostra le cui regole, almeno nella forma, non perdono vigore. In assenza del RIINA, dunque, il ruolo di vertice dell’associazione mafiosa veniva assunto, come è noto, da un altro corleonese, il latitante PROVENZANO Bernardo. Ma ciò con una necessaria precisazione. PROVENZANO, infatti, non ha mai goduto di un’investitura formale da parte dei capi mandamento. Egli, quindi, ha esercitato il suo predominio sostanzialmente ma non anche formalmente, e ciò solo in virtù del fatto che era considerato, almeno all’esterno, ‘la stessa cosa’ del RIINA. Pertanto, se di fatto ha finito per svolgere funzioni di coordinamento tra i vari mandamenti, tali funzioni sono state svolte attraverso l’aspetto del consiglio ma mai dell’ordine (come testimonia la copiosa corrispondenza del boss latitante acquisita l’11 aprile 2006), in ossequio, dunque, alle regole formali dell’associazione mafiosa. Di conseguenza, PROVENZANO, al di là della ‘strategia della sommersione’ con cui ha inteso dirigere cosa nostra, comunque non avrebbe mai potuto assumere determinazioni che erano, e rimangono, nella ‘competenza’ della Commissione provinciale. Sicché, l’associazione mafiosa, pur rimanendo vitale e dinamica, si è trovata, già dai tempi dell’avvento del PROVENZANO, e nonostante il suo carisma unanimemente riconosciuto, nell’impossibilità, almeno formale, di deliberare sulle vicende di maggiore rilievo, quelle capaci cioè di incidere sul profilo di Cosa nostra e sui suoi ‘rapporti’ con le Istituzioni. L’esempio più significativo di tale assunto è dato dalla risaputa questione, già oggetto di approfondita trattazione nel procedimento cd ‘Gotha’ (n.2474/05 NR) e in quello cd ‘Old Bridge’ (11059/06 NR), del rientro in Italia degli scappati (e degli INZERILLO, in particolare) di cui, come è noto, era stato deciso, a suo tempo, l’esilio negli Stati Uniti. Qui basti ricordare che, da una parte, lo schieramento, capeggiato da ROTOLO Antonino, si opponeva al rientro degli INZERILLO, principalmente per il timore di possibili propositi di vendetta da parte dei “perdenti”, non disgiunte dal riconoscimento delle “potenzialità” degli INZERILLO; dall’altra parte, una pluralità eterogenea di soggetti mafiosi, alcuni dei quali storicamente legati agli Stati Uniti d’America e alle famiglie della LCN (La Cosa nostra) statunitense, tra i quali spicca la figura di Salvatore LO PICCOLO, era invece favorevole con motivazioni varie a consentire il rientro degli INZERILLO. Entrambi gli schieramenti, poi, cercavano di ottenere l’approvazione del PROVENZANO, che sarebbe stata decisiva per la prevalenza dell’una o dell’altra posizione; il PROVENZANO, però, consapevole della profondità del contrasto in corso e del rischio che esso portasse ad episodi di violenza fino a sfociare in una nuova “guerra di mafia”, ha evitato fino all’ultimo, pur mostrandosi in linea di principio possibilista, di prendere una posizione chiara e ha preferito invece, per evitare che la situazione precipitasse, temporeggiare ed inviare messaggi carichi di ambiguità. La difficoltà per giungere ad una decisione sull’argomento era dovuta al fatto che la questione rientrava nella competenza della Commissione, che già aveva deliberato l’esilio dei perdenti. Decisione questa che non poteva essere modificata in quanto la Commissione non poteva più riunirsi a causa della detenzione dei suoi componenti che, comunque, mantenevano ancora formalmente la loro carica. Invero, come detto, il PROVENZANO era possibilista e così scriveva al LO PICCOLO (cfr. ‘pizzino’ sequestrato a LO PICCOLO Salvatore, in occasione del suo arresto): Io vi prego se possiamo trovare un accordo tutti insieme QUELLI CHE SIAMO FUORI e là dove è possibile risolviamo le cose CON LA RESPONSABILITÀ DI TUTTI ..: IL MIO FINE È DI EVITARE DI POTERCI ACCUSARE L’UNO CON L’ALTRO LÀ DOVE CI FOSSE QUALCUNO CHE POTESSI CHIEDERE CONTO DI ALCUNE COSE. Analoga lettera era stata inviata dal PROVENZANO al ROTOLO come si evince da una conversazione, registrata il 6 settembre 2005, tra quest’ultimo e SANSONE Gaetano: ROTOLO: (…) Dopo, dopo, dopo di quella che mi ha scritto a me! A me ne ha scritto tre lettere, che se ne devono andare quelli, ma lui responsabilità no se ne prende! … ora mi scrive due lettere, una che mi arriva da una parte e una che mi arriva dal LO PICCOLO e nemmeno so se (incomprensibile) dico… comunque e c’è scritto “eeee… dice, per quanto riguarda la questione degli INZERILLO dato che ormai di quelli che hanno deciso questa cosa non c’è più nessuno, siamo rimasti… a potere decidere questa cosa, siamo solo tre, io, tu e LO PICCOLO.” Lui ha sbattuto la testa quando era piccolo! Cioè io, lui…… e tutti gli altri sono stracci, immondizia. Aspetta un minuto, questa qualifica al LO PICCOLO, chi gliel’ha data? Perché il mandamento è a San Lorenzo e pure noi di qua riconosciamo a Nino, no a lui!? Il ROTOLO, quindi, per opporsi alla possibilità del rientro degli ‘scappati’, si faceva forte del fatto che l’originaria decisione sul punto della Commissione non poteva essere assolutamente modificata, nemmeno con l’accordo dei tre capimafia rimasti liberi, come risulta da una lettera inviata al PROVENZANO dal LO PICCOLO (e sequestrata nel covo di Montagna dei Cavalli), in cui quest’ultimo scriveva che il n. 164 (CINA’ Antonino) e il n. 25 (ROTOLO Antonino) ritenevano che gli INZERILLO non potessero ritornare in Sicilia ‘perché all’epoca fu deciso che se ne dovevano stare in america e siccome fu stabilito dallo zio totuccio r. ed inoltre anche se è arrestato è sempre lui il capo commissione, di lasciare il discorso come all’epoca fu stabilito. Con l’arresto del PROVENZANO e quello di poco successivo di ROTOLO Antonino e CINA’ Antonino, e poi anche del LO PICCOLO (che pur aveva avviato una strategia di espansione), non solo, quindi, rimane fermo il problema dell’impossibilità di ovviare allo stato di quiescenza della Commissione, ma non vi è più nemmeno un leader riconosciuto dall’intera organizzazione che possa fungere da coordinamento tra i vari mandamenti. Sin dal mese di maggio 2008, i Carabinieri del RONI di Palermo documentavano una serie di riunioni tra importanti esponenti dell’associazione mafiosa aventi ad oggetto, appunto, il tema della riorganizzazione di cosa nostra. Tali tematiche hanno costituito oggetto, come è noto, del procedimento Perseo che ha portato al fermo di 94 persone in data 16 dicembre 2008. Oltre alla questione della composizione dei diversi mandamenti, veniva soprattutto affrontato il più delicato argomento della possibile ricostituzione della Commissione provinciale o, comunque, di un organismo similare in grado di assumere collegialmente le deliberazioni fondamentali per la vita dell’organizzazione. Ciò anche per evitare il ripetersi di episodi come quello dell’omicidio del capo mandamento di Porta nuova, Nicola INGARAO, deciso dal solo LO PICCOLO. E’ significativo che, in questo importante dibattito interno a Cosa nostra, i vertici dell’organizzazione, nonostante le diversità di vedute, riconoscessero tutti, ancora una volta, la perdurante ‘vigenza’ della Commissione provinciale presieduta dal RIINA. In particolare, da un lato vi era chi, come CAPIZZI Benedetto, sosteneva che fosse possibile rifondare la Commissione provinciale con l’accordo e la partecipazione degli attuali capi mandamento. Dall’altro lato, vi era chi, come LO PRESTI Gaetano, capo mandamento di Porta Nuova, si opponeva a tale progetto, e ancor più alla nomina del CAPIZZI come capo della Commissione provinciale, sostenendo che quest’ultimo non godesse della necessaria ‘autorizzazione’ dei capi corleonesi detenuti, e in particolare di RIINA Salvatore (SCADUTO Giuseppe: Loro il discorso di BENEDETTO non lo vogliono accettare perché lui non è autorizzato … gli abbiamo chiesto chi è che lo autorizza e non ci vuole dire niente e noi e noi che siamo carabinieri …p.i… a lui chi gliela dà tutta questa responsabilità … come tu sai nessuno si può prendere in questo minuto … salvo che spunta quello che deve spuntare e lo manda a dire quello che deve mandare a dire e il discorso cambia …Mi hanno nominato CORLEONE …pure i paesi … CORLEONE dice lo hanno loro …hanno preso pure i discorsi dello ZIO (PROVENZANO Bernardo ndr)… Lo ZIO quando scriveva diceva le cose di CORLEONE, io posso dare consigli, ordini non ne posso dare … “BENEDETTO viene e mi viene a fare questi discorsi”… “chi lo autorizza a BENEDETTO?”, cfr. intercettazione del 15.11.2008). Ancora, vi era chi, come SCADUTO Giuseppe, capo mandamento di Bagheria, pur approvando le linee sostanziali del progetto del CAPIZZI ma, al contempo, condividendo la necessità della predetta formale ‘autorizzazione’, riteneva che, in assenza di quest’ultima, l’unica soluzione possibile fosse quella di creare una ‘specie di Commissione’ : ‘… noi non possiamo fare COMMISSIONE perché non siamo nessuno autorizzati… almeno io non sono autorizzato da nessuno … poi se qua ci siete persone autorizzate e potete disporre di fare una COMMISSIONE gli ho detto: la facciamo…Noi possiamo fare semmai… se ci mettiamo tutti d’accordo che dobbiamo essere tutti d’accordo … prendiamo quattro…cinque cristiani grandi o più piccoli …o chi o come… una specie … una cosa di consiglio fra noi per cose gravi … se dobbiamo fare cose gravi …. responsabilità credo non ne possiamo prendere nessuno salvo se c’è uno …una persona di là dentro che conosciamo tutti e manda a dire attraverso persone… no una sola … a diverse persone lo deve mandare a dire: rivolgetevi a questo,….. facciamo una specie di COMMISSIONE così per le cose gravi per le situazioni e restiamo tutti amici’. Nonostante il tentativo fallito, le successive indagini condotte dal Comando Provinciale dei Carabinieri, Nucleo Investigativo di Palermo “Oscar”, “Pedro”, “Talea” “Sisma”, “Argo” , “Alexander” , “Iago” , “Reset” , “Panta Rei” hanno documentato che cosa nostra, al fine di sopperire alla mancanza di un organismo decisionale idoneo a dare risposte urgenti in una fase di emergenza, aveva riconosciuto legittimità ad agire ad un organismo collegiale provvisorio, costituito dai più influenti reggenti dei mandamenti della città, con mere funzioni di consultazione e raccordo strategico fra i mandamenti palermitani. e L’insofferenza degli uomini d’onore a tale situazione di impasse è emersa nel tempo in svariate attività d’indagine, e recentemente si è manifestata con grande chiarezza nell’indagine “Brasca”. Infatti, l’08 gennaio 2015 veniva captato uno scambio di battute tra PULLARA' Santi e MARCHESE Mario, al vertice del mandamento di Villagrazia-Santa Maria di Gesù. Muovendo dalle precarie condizioni di salute di Bernardo PROVENZANO [U fatto di Bernardo PROVENZANO... minchia...l’hai visto?... sta morendo... mischino...] PULLARA' Santi commentava che solo la scomparsa di questi e di RIINA Salvatore avrebbe potuto aprire una nuova fase per 1’associazione mafiosa [...e se non muoiono tutti e due, luce non ne vede nessuno... è vero zio Mario?] ed interpellato in merito MARCHESE Mario concordava [lo so]. Con Totò RIINA in carcere la commissione provinciale non è più riuscita a riunirsi per più di 25 anni. Ecco perché il 17 novembre 2017, data della morte di Totò RIINA, costituisce uno storico spartiacque per cosa nostra, creando i presupposti per la ricostituzione della commissione provinciale. Infatti, il 29 maggio 2018 – poco più di sei mesi dopo la morte del capo corleonese –le indagini dei Carabinieri captavano alcune conversazioni ambientali che svelavano i dettagli di un’importantissima riunione avvenuta, tra i reggenti dei mandamenti mafiosi della provincia palermitana. Alcune modalità organizzative, nonché le ragioni dell’importante incontro emergevano, in particolare, dall’intercettazione di una conversazione intercorsa tra COLLETTI Francesco, attuale reggente del mandamento mafioso di Villabate, ed il suo fidato autista CUSIMANO Filippo, anch’egli uomo d’onore alla famiglia di Villabate. Nello specifico, COLLETTI Francesco, riferendo di aver partecipato alla riunione da poco conclusa, effettuava chiari riferimenti:
ad altri importanti reggenti di mandamenti mafiosi della città, anch’essi partecipanti alla riunione, quali MINEO Settimo (reggente del mandamento mafioso di Palermo Pagliarelli), BISCONTI Filippo (reggente del mandamento mafioso di Misilmeri – Belmonte Mezzagno) e DI GIOVANNI Gregorio (reggente del mandamento mafioso di Palermo Porta Nuova);
ad altri uomini d’onore che, sebbene ricoprissero ruoli apicali nelle diverse articolazioni mafiose territoriali, non avevano l’autorità per partecipare alla riunione. Esempio emblematico era SIRCHIA Giovanni 11 il quale, nonostante fosse un importante uomo d’onore del mandamento di Passo di Rigano-Boccadifalco, pur essendo fisicamente presente, era stato costretto a rimanere fuori dal locale ove aveva avuto luogo l’importante consesso, poiché potevano parteciparvi solo i rappresentanti dei relativi mandamenti;
alla presenza alla riunione di altri “vecchi di paese”, e cioè di reggenti di mandamenti mafiosi esterni alla città di Palermo, oltre a quelli espressamente citati;
alla centralità del ruolo che MINEO Settimo aveva assunto in seno alla riunione, durante la quale aveva preso la parola e ricordato le relative regole agli altri intervenuti, regole di fatto coincidenti con le storiche propalazioni di Tommaso BUSCETTA;
alla necessità di periodiche riunioni durante le quali i rappresentanti dei mandamenti dovrebbero scegliere i vertici delle famiglie mafiose (ed in tal senso durante la prima riunione si accennano a due casi: quello relativo alla scelta del reggente del mandamento della Noce e quello relativo alla scelta del reggente della famiglia mafiosa di Bagheria), dirimere gli eventuali contrasti tra i componenti delle varie articolazioni, nonché sanzionare gli uomini d’onore in caso di inadempienze o comportamenti censurabili allontanandoli temporaneamente o definitivamente dalle rispettive famiglie. Quindi, dalle parole di COLLETTI traspare che alla data del 29 maggio 2018 era stata ricostituita la commissione provinciale di cosa nostra palermitana, la cui sola esistenza ed operatività rappresentano un gravissimo pericolo per l’ordine pubblico sul territorio. È fin troppo evidente infatti che la ricostituzione di un organismo collegiale, consentirebbe l’allarmante rafforzamento dell’organizzazione mafiosa che diviene così in grado, di nuovo, di assumere decisioni anche ‘per le cose gravi’.