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LA COMMISSIONE PROVINCIALE DOPO L’ARRESTO DI SALVATORE RIINA

Tratto dall'ordinanza sulla cupola 2.0


Già  alla  fine  degli  anni  ’50,  al  Grand  Hotel  et  des  Palmes  di  Palermo,  una  riunione  tra  i  rappresentanti  delle cosche  mafiose  americane  e  siciliane  diede  vita  alla  Commissione  provinciale,  organismo  di  vertice  di  Cosa  nostra, composto  dai  capi  mandamento  e  deputato  ad  assumere  le  decisioni di  maggiore  rilievo  per  l’organizzazione. Come  è  noto,  dopo  la  ‘seconda  guerra  di  mafia’,  agli  inizi  degli  anni  ’80  la  Commissione,  sostanzialmente, mutava  fisionomia,  nel  senso  che  il  potere  ormai  incontrastato  dei  corleonesi    faceva    sì che  perdesse  la  sua  natura  di organo  collegiale  e  ‘democratico’  per  essere,  invece,    dominata  da  RIINA  Salvatore.    Tanto  che    il  collaboratore Tommaso  BUSCETTA,    nell’aula  bunker  di  Rebibbia,    nel  noto  confronto    con  il  RIINA,  lo  accusava  di    avere ‘ucciso  Cosa  nostra’. Con  l’arresto  di  quest’ultimo,  avvenuto  nel  1993,  la  commissione,  ormai  decapitata,  cessava  di  funzionare, pur  rimanendo  nella  struttura  ordinamentale  di  cosa  nostra  le  cui regole,  almeno  nella  forma,  non  perdono  vigore. In  assenza  del  RIINA,  dunque,  il  ruolo  di  vertice  dell’associazione  mafiosa  veniva  assunto,  come  è  noto,    da un  altro  corleonese,  il latitante  PROVENZANO  Bernardo. Ma ciò  con  una  necessaria  precisazione. PROVENZANO,  infatti,    non  ha  mai  goduto  di  un’investitura  formale  da  parte  dei  capi  mandamento.  Egli, quindi,  ha  esercitato  il  suo  predominio  sostanzialmente  ma  non  anche  formalmente,  e  ciò  solo  in  virtù  del  fatto  che   era  considerato,  almeno  all’esterno,  ‘la  stessa  cosa’  del  RIINA. Pertanto,  se  di  fatto  ha  finito  per  svolgere    funzioni  di  coordinamento  tra  i  vari  mandamenti,  tali  funzioni sono  state  svolte  attraverso  l’aspetto  del  consiglio  ma  mai  dell’ordine  (come  testimonia  la  copiosa  corrispondenza del  boss  latitante  acquisita  l’11  aprile  2006),  in  ossequio,  dunque,  alle  regole  formali  dell’associazione  mafiosa. Di conseguenza,    PROVENZANO,  al  di  là  della  ‘strategia  della  sommersione’  con  cui  ha  inteso  dirigere  cosa nostra,  comunque  non  avrebbe  mai  potuto  assumere  determinazioni  che  erano,  e  rimangono,    nella  ‘competenza’ della  Commissione  provinciale. Sicché,  l’associazione  mafiosa,  pur  rimanendo  vitale  e  dinamica,  si  è  trovata,  già  dai  tempi  dell’avvento  del PROVENZANO,  e  nonostante  il  suo  carisma  unanimemente  riconosciuto,  nell’impossibilità,  almeno  formale,  di deliberare  sulle  vicende  di  maggiore  rilievo,  quelle  capaci  cioè  di  incidere  sul  profilo  di  Cosa  nostra  e  sui  suoi ‘rapporti’  con  le  Istituzioni. L’esempio  più  significativo  di  tale  assunto  è  dato  dalla  risaputa  questione,  già  oggetto  di  approfondita trattazione  nel  procedimento  cd  ‘Gotha’  (n.2474/05  NR)  e  in  quello  cd  ‘Old  Bridge’  (11059/06  NR),  del  rientro  in Italia  degli  scappati  (e  degli  INZERILLO,  in  particolare)  di  cui,  come  è  noto,  era  stato  deciso,    a  suo  tempo,  l’esilio negli Stati Uniti. Qui  basti  ricordare  che,  da    una  parte,  lo  schieramento,  capeggiato  da  ROTOLO  Antonino,  si  opponeva  al rientro  degli  INZERILLO,  principalmente  per  il  timore  di  possibili  propositi  di  vendetta  da  parte  dei  “perdenti”,  non disgiunte  dal  riconoscimento  delle  “potenzialità”  degli  INZERILLO;    dall’altra  parte,  una  pluralità  eterogenea  di soggetti  mafiosi,  alcuni  dei  quali  storicamente  legati  agli  Stati  Uniti  d’America  e  alle  famiglie  della  LCN  (La  Cosa nostra)  statunitense,  tra  i  quali  spicca  la  figura  di  Salvatore  LO  PICCOLO,  era  invece  favorevole  con  motivazioni varie  a  consentire  il rientro  degli INZERILLO. Entrambi  gli  schieramenti,  poi,  cercavano  di  ottenere  l’approvazione  del  PROVENZANO,    che  sarebbe  stata decisiva  per  la  prevalenza  dell’una  o  dell’altra  posizione;  il  PROVENZANO,  però,  consapevole  della  profondità  del contrasto  in  corso  e  del  rischio  che  esso  portasse  ad  episodi  di  violenza  fino  a  sfociare  in  una  nuova  “guerra  di mafia”,  ha  evitato  fino  all’ultimo,  pur  mostrandosi  in  linea  di  principio  possibilista,  di  prendere  una  posizione  chiara e  ha  preferito  invece,  per  evitare  che  la  situazione  precipitasse,  temporeggiare  ed  inviare  messaggi  carichi  di ambiguità. La  difficoltà  per  giungere  ad  una  decisione  sull’argomento  era  dovuta  al  fatto  che  la  questione  rientrava  nella competenza  della  Commissione,  che  già  aveva  deliberato  l’esilio  dei  perdenti.  Decisione  questa  che  non  poteva essere  modificata  in  quanto  la  Commissione  non  poteva  più  riunirsi  a  causa  della  detenzione  dei  suoi  componenti che,  comunque,  mantenevano  ancora  formalmente  la  loro  carica. Invero,  come  detto,  il  PROVENZANO  era  possibilista  e  così  scriveva  al  LO  PICCOLO  (cfr.  ‘pizzino’ sequestrato  a  LO  PICCOLO  Salvatore,  in  occasione  del  suo  arresto): Io  vi  prego  se  possiamo  trovare  un  accordo  tutti  insieme  QUELLI  CHE  SIAMO  FUORI  e  là  dove  è  possibile risolviamo  le  cose  CON  LA  RESPONSABILITÀ  DI  TUTTI  ..:  IL  MIO  FINE  È  DI  EVITARE  DI  POTERCI ACCUSARE  L’UNO  CON  L’ALTRO  LÀ  DOVE  CI  FOSSE  QUALCUNO  CHE  POTESSI  CHIEDERE  CONTO  DI ALCUNE COSE. Analoga  lettera  era  stata  inviata  dal  PROVENZANO  al  ROTOLO  come  si  evince  da  una  conversazione, registrata  il 6  settembre  2005,  tra  quest’ultimo  e  SANSONE  Gaetano: ROTOLO:  (…)  Dopo,  dopo,  dopo  di  quella    che  mi  ha  scritto  a  me!  A  me  ne  ha  scritto  tre  lettere,    che  se  ne devono  andare  quelli,  ma  lui  responsabilità  no  se  ne  prende!  …    ora  mi  scrive  due  lettere,  una  che  mi  arriva  da  una parte  e  una  che  mi  arriva  dal  LO  PICCOLO  e  nemmeno    so  se  (incomprensibile)  dico…  comunque  e  c’è  scritto “eeee…  dice,    per  quanto  riguarda  la  questione  degli  INZERILLO  dato  che  ormai  di  quelli  che  hanno  deciso  questa cosa  non  c’è  più  nessuno,  siamo  rimasti…  a  potere  decidere    questa  cosa,  siamo  solo  tre,  io,  tu  e  LO  PICCOLO.” Lui  ha  sbattuto  la  testa  quando  era  piccolo!  Cioè  io,  lui……  e  tutti  gli  altri  sono  stracci,  immondizia.  Aspetta  un minuto,  questa  qualifica  al  LO  PICCOLO,  chi  gliel’ha  data?    Perché  il  mandamento  è  a  San  Lorenzo  e  pure  noi  di qua  riconosciamo  a  Nino,  no  a  lui!? Il   ROTOLO,  quindi,  per  opporsi  alla  possibilità  del  rientro  degli  ‘scappati’,   si  faceva  forte  del  fatto  che l’originaria  decisione  sul  punto  della  Commissione  non  poteva  essere  assolutamente  modificata,    nemmeno    con l’accordo  dei  tre  capimafia  rimasti  liberi,  come  risulta  da  una  lettera  inviata    al  PROVENZANO  dal  LO  PICCOLO (e  sequestrata  nel  covo  di  Montagna  dei  Cavalli),  in  cui  quest’ultimo  scriveva  che  il  n.  164  (CINA’  Antonino)  e  il  n. 25  (ROTOLO  Antonino)  ritenevano  che  gli  INZERILLO  non  potessero  ritornare  in  Sicilia  ‘perché  all’epoca  fu deciso  che  se  ne  dovevano  stare  in  america  e  siccome  fu  stabilito  dallo  zio  totuccio  r.  ed  inoltre  anche  se  è  arrestato è  sempre  lui il  capo  commissione,  di lasciare  il discorso  come  all’epoca  fu  stabilito. Con  l’arresto  del  PROVENZANO  e  quello  di  poco  successivo  di  ROTOLO  Antonino  e  CINA’  Antonino,  e poi  anche  del  LO  PICCOLO  (che  pur  aveva  avviato  una  strategia  di  espansione),  non  solo,  quindi,    rimane  fermo  il problema  dell’impossibilità  di  ovviare  allo  stato  di  quiescenza  della  Commissione,  ma  non  vi  è  più  nemmeno  un leader  riconosciuto  dall’intera  organizzazione  che  possa  fungere  da  coordinamento  tra  i vari  mandamenti. Sin  dal  mese  di  maggio  2008,  i  Carabinieri  del  RONI  di  Palermo  documentavano    una  serie  di  riunioni    tra importanti  esponenti  dell’associazione  mafiosa  aventi  ad  oggetto,  appunto,    il  tema  della  riorganizzazione  di  cosa nostra.  Tali  tematiche  hanno  costituito  oggetto,  come  è  noto,  del  procedimento  Perseo  che  ha  portato  al  fermo  di  94 persone  in  data  16  dicembre  2008. Oltre  alla  questione  della  composizione  dei  diversi  mandamenti,  veniva  soprattutto    affrontato  il  più  delicato argomento  della  possibile  ricostituzione    della  Commissione  provinciale  o,  comunque,  di  un  organismo  similare  in grado  di  assumere  collegialmente  le  deliberazioni  fondamentali  per  la  vita  dell’organizzazione.  Ciò  anche  per evitare  il  ripetersi  di  episodi  come  quello  dell’omicidio  del  capo  mandamento  di  Porta  nuova,  Nicola  INGARAO, deciso  dal  solo  LO  PICCOLO. E’  significativo  che,  in  questo  importante  dibattito  interno  a  Cosa  nostra,    i  vertici  dell’organizzazione, nonostante  le  diversità  di  vedute,    riconoscessero  tutti,  ancora  una  volta,  la  perdurante  ‘vigenza’  della  Commissione provinciale  presieduta  dal  RIINA. In  particolare,  da  un  lato  vi  era  chi,  come  CAPIZZI  Benedetto,  sosteneva  che  fosse  possibile  rifondare  la Commissione  provinciale  con  l’accordo  e  la  partecipazione  degli attuali  capi  mandamento. Dall’altro  lato,  vi  era  chi,  come  LO  PRESTI  Gaetano,  capo  mandamento  di  Porta  Nuova,    si  opponeva  a  tale progetto,  e  ancor  più  alla  nomina  del  CAPIZZI    come  capo  della  Commissione  provinciale,  sostenendo  che quest’ultimo  non  godesse  della  necessaria  ‘autorizzazione’  dei  capi  corleonesi  detenuti,  e  in  particolare  di  RIINA Salvatore  (SCADUTO  Giuseppe:  Loro  il  discorso  di  BENEDETTO  non  lo  vogliono  accettare  perché  lui  non  è autorizzato  …  gli  abbiamo  chiesto  chi  è  che  lo  autorizza  e  non  ci  vuole  dire  niente  e  noi  e  noi  che  siamo  carabinieri …p.i…  a  lui  chi  gliela  dà  tutta  questa  responsabilità  …  come  tu  sai  nessuno  si  può  prendere  in  questo  minuto  … salvo  che  spunta  quello  che  deve  spuntare  e  lo  manda  a  dire  quello  che  deve  mandare  a  dire  e  il  discorso  cambia …Mi  hanno  nominato  CORLEONE  …pure  i  paesi  …  CORLEONE  dice  lo  hanno  loro  …hanno  preso  pure  i  discorsi dello  ZIO  (PROVENZANO  Bernardo  ndr)…  Lo  ZIO  quando  scriveva  diceva  le  cose  di  CORLEONE,  io  posso  dare consigli,  ordini  non  ne  posso  dare  …  “BENEDETTO  viene  e  mi  viene  a  fare  questi  discorsi”…  “chi  lo  autorizza  a BENEDETTO?”,  cfr.  intercettazione  del  15.11.2008). Ancora,  vi  era  chi,  come  SCADUTO  Giuseppe,  capo  mandamento  di  Bagheria,  pur  approvando  le  linee sostanziali  del  progetto  del  CAPIZZI    ma,  al  contempo,  condividendo  la  necessità  della  predetta  formale ‘autorizzazione’,  riteneva  che,    in  assenza  di  quest’ultima,  l’unica  soluzione  possibile  fosse  quella  di  creare  una ‘specie  di Commissione’  : ‘…  noi  non  possiamo  fare  COMMISSIONE  perché  non  siamo  nessuno  autorizzati…  almeno  io  non  sono autorizzato  da  nessuno  …  poi  se  qua  ci  siete  persone  autorizzate  e  potete  disporre  di  fare  una  COMMISSIONE  gli ho  detto:  la  facciamo…Noi  possiamo  fare  semmai…  se  ci  mettiamo  tutti  d’accordo  che  dobbiamo  essere  tutti d’accordo  …  prendiamo  quattro…cinque  cristiani  grandi  o  più  piccoli  …o  chi  o  come…  una  specie  …  una  cosa  di consiglio  fra  noi  per  cose  gravi  …  se  dobbiamo  fare  cose  gravi  ….  responsabilità  credo  non  ne  possiamo  prendere nessuno  salvo  se  c’è  uno  …una  persona  di  là  dentro  che  conosciamo  tutti  e  manda  a  dire  attraverso  persone…  no una  sola  …  a  diverse  persone  lo  deve  mandare  a  dire:  rivolgetevi  a  questo,…..  facciamo  una  specie  di COMMISSIONE  così per le  cose  gravi  per le  situazioni e  restiamo  tutti amici’. Nonostante  il  tentativo  fallito,  le  successive  indagini  condotte  dal  Comando  Provinciale  dei  Carabinieri,  Nucleo Investigativo  di  Palermo  “Oscar”, “Pedro”, “Talea” “Sisma”, “Argo”  ,  “Alexander”  ,  “Iago” ,  “Reset”  ,  “Panta  Rei” hanno  documentato  che  cosa  nostra,  al  fine  di  sopperire  alla  mancanza  di  un  organismo  decisionale  idoneo  a dare  risposte  urgenti  in  una  fase  di  emergenza,  aveva  riconosciuto  legittimità  ad  agire  ad  un  organismo  collegiale provvisorio,  costituito  dai  più  influenti  reggenti  dei  mandamenti  della  città,  con  mere  funzioni  di  consultazione  e raccordo  strategico  fra  i  mandamenti  palermitani.   e L’insofferenza  degli  uomini  d’onore  a  tale  situazione  di  impasse  è  emersa  nel  tempo  in  svariate  attività d’indagine,  e  recentemente  si  è  manifestata  con  grande  chiarezza  nell’indagine  “Brasca”.    Infatti,  l’08  gennaio  2015  veniva  captato  uno  scambio  di  battute  tra  PULLARA'  Santi  e  MARCHESE  Mario,  al vertice  del  mandamento  di  Villagrazia-Santa  Maria  di  Gesù.  Muovendo  dalle  precarie  condizioni  di  salute  di  Bernardo PROVENZANO  [U  fatto  di Bernardo  PROVENZANO...  minchia...l’hai visto?...  sta  morendo...  mischino...]  PULLARA' Santi  commentava  che  solo  la  scomparsa  di  questi  e  di  RIINA  Salvatore  avrebbe  potuto  aprire  una  nuova  fase  per 1’associazione  mafiosa  [...e  se  non  muoiono  tutti e  due,  luce  non  ne  vede  nessuno...  è  vero  zio  Mario?]  ed  interpellato  in merito  MARCHESE  Mario  concordava  [lo  so].   Con  Totò  RIINA  in  carcere  la  commissione  provinciale  non  è  più  riuscita  a  riunirsi per  più  di 25  anni. Ecco  perché  il  17  novembre  2017,  data  della  morte  di  Totò  RIINA,  costituisce  uno  storico  spartiacque  per  cosa nostra,  creando  i presupposti  per  la  ricostituzione  della  commissione  provinciale. Infatti,  il  29  maggio  2018  –  poco  più  di  sei  mesi  dopo  la  morte  del  capo  corleonese  –le  indagini  dei  Carabinieri captavano  alcune  conversazioni  ambientali  che  svelavano  i  dettagli  di  un’importantissima  riunione  avvenuta,  tra  i reggenti  dei  mandamenti  mafiosi  della  provincia  palermitana.  Alcune  modalità  organizzative,  nonché  le  ragioni dell’importante  incontro  emergevano,  in  particolare,  dall’intercettazione  di  una  conversazione  intercorsa  tra  COLLETTI Francesco,  attuale  reggente  del  mandamento  mafioso  di  Villabate,  ed  il  suo  fidato  autista  CUSIMANO  Filippo, anch’egli  uomo  d’onore  alla  famiglia  di Villabate. Nello  specifico,  COLLETTI  Francesco,  riferendo  di  aver  partecipato  alla  riunione  da  poco  conclusa,  effettuava chiari riferimenti:
  ad  altri  importanti  reggenti  di  mandamenti  mafiosi  della  città,  anch’essi  partecipanti  alla riunione,  quali  MINEO  Settimo  (reggente  del  mandamento  mafioso  di  Palermo  Pagliarelli), BISCONTI  Filippo  (reggente  del  mandamento  mafioso  di  Misilmeri  –  Belmonte  Mezzagno)  e DI  GIOVANNI  Gregorio  (reggente  del  mandamento  mafioso  di Palermo  Porta  Nuova);
  ad  altri  uomini  d’onore  che,  sebbene  ricoprissero  ruoli  apicali  nelle  diverse  articolazioni mafiose  territoriali,  non  avevano  l’autorità  per  partecipare  alla  riunione.  Esempio  emblematico era  SIRCHIA  Giovanni 11  il  quale,  nonostante  fosse  un  importante  uomo  d’onore  del mandamento  di  Passo  di  Rigano-Boccadifalco,  pur  essendo  fisicamente  presente,  era  stato costretto  a  rimanere  fuori  dal  locale  ove  aveva  avuto  luogo  l’importante  consesso,  poiché potevano  parteciparvi solo  i  rappresentanti  dei  relativi  mandamenti;
  alla  presenza  alla  riunione  di  altri  “vecchi  di  paese”,  e  cioè  di  reggenti  di  mandamenti  mafiosi esterni alla  città  di Palermo,  oltre  a  quelli espressamente  citati;
  alla  centralità  del  ruolo  che  MINEO  Settimo  aveva  assunto  in  seno  alla  riunione,  durante  la   quale  aveva  preso  la  parola  e  ricordato  le  relative  regole  agli  altri  intervenuti,  regole  di  fatto coincidenti con  le  storiche  propalazioni di Tommaso  BUSCETTA;
  alla  necessità  di  periodiche  riunioni  durante  le  quali  i  rappresentanti  dei  mandamenti dovrebbero    scegliere  i  vertici  delle  famiglie  mafiose  (ed  in  tal  senso  durante  la  prima  riunione si  accennano  a  due  casi:  quello  relativo  alla  scelta  del  reggente  del  mandamento  della  Noce  e quello  relativo  alla  scelta  del  reggente  della  famiglia  mafiosa  di  Bagheria),  dirimere  gli eventuali  contrasti  tra  i  componenti  delle  varie  articolazioni,  nonché  sanzionare  gli  uomini d’onore  in  caso  di  inadempienze  o  comportamenti  censurabili  allontanandoli  temporaneamente o  definitivamente  dalle  rispettive  famiglie. Quindi,  dalle  parole  di  COLLETTI  traspare  che  alla  data  del  29  maggio  2018  era  stata  ricostituita  la commissione  provinciale  di  cosa  nostra  palermitana,  la  cui  sola  esistenza  ed  operatività  rappresentano  un  gravissimo pericolo  per  l’ordine  pubblico  sul territorio. È  fin  troppo  evidente  infatti  che  la  ricostituzione  di  un  organismo  collegiale,  consentirebbe  l’allarmante rafforzamento  dell’organizzazione  mafiosa  che  diviene  così  in  grado,  di  nuovo,    di  assumere  decisioni  anche  ‘per  le cose  gravi’.


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