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TOSCANA - DIA 1° SEM. 2018

Lo  sviluppato  tessuto  socio  -economico  della  Toscana  rende  la  regione  particolarmente  appetibile  per  la  criminalità  organizzata. Le  evidenze  di  analisi  e  le  risultanze  giudiziarie,  infatti,  danno  conto  di  varie  modalità  di  inquinamento  dell' economia  legale,  funzionali  sia  al  reinvestimento  che  al  riciclaggio  di  capitali. Sotto  questo  profilo,  le  dinamiche  delittuose  che  caratterizzano  la  regione  appaiono  indirizzate  innanzitutto  alla "gestione  del  mercato"  degli  affari,  piuttosto  che  al  "controllo  del  territorio",  inteso  quale  area  su  cui  radicare nuove  propaggini  mafiose. Risulta,  pertanto,  difficile  mappare  esattamente  le  zone  geografiche  su  cui  insistono  le  organizzazioni  mafiose, potendosi,  invece,  meglio  delineare  i  profili  di  una  infiltrazione  criminale  "a  macchia  di  leopardo",  rappresentativa  delle  differenti  tipologie  di  interessi  illeciti  coltivati  sul  territorio. L'elevata  flessibilità  organizzativa  della  criminalità  organizzata e  delle  sue  proiezioni  operative  in Toscana,  sembra  andare  di pari  passo  con la  spiccata capacità  di  utilizzare  strumentalmente  soggetti  autoctoni  e  professionisti, operanti  per  lo  più  nel  mondo  dell'imprenditoria. In  tale  scenario,  si  registrano  mire  espansionistiche  con connotazione  tipica  delle  c.d.  mafie  "classiche"  e  si  delineano,  altresì,  "nuove  mafie",  caratterizzate  dalla  forte  presenza  di  comunità  straniere,  cinesi  in  particolare  ma  anche  romene,  albanesi  e  nordafricane  che  operano,  con metodologia  assimilabile  a  quella  delle  organizzazioni di  stampo  mafioso  distintamente  o  in  collaborazione  con  soggetti  criminali  di nazionalità  italiana. Più  precisamente  e  in  riferimento  alle  organizzazioni  criminali  nazionali,  nel  corso  del  tempo  è  sensibilmente diminuita  la  presenza  di  gruppi  mafiosi  riconducibili  a  cosa  nostra  e  di  appartenenti  alla  sacra  corona  unita. Di  contro,  la  camorra  e  la  'ndrangheta  si  confermano  protagoniste  di  un consolidamento  organizzativo,  colmando, specie  nel  caso  delle  cosche  calabresi,  gli  spazi  lasciati  vuoti  dai  gruppi  siciliani. Nella  regione,  infatti,  sebbene  non  si  rilevino  insediamenti  strutturati  di  natura  'ndranghetista,  si  registra  la  presenza  di  soggetti  collegati  alle  cosche  crotonesi,  reggine  e  della  provincia  di  Cosenza. Nell'operare fuori  area,  i  sodalizi  di  origine  calabrese  mostrano,  infatti,  una  forte  capacità  di  adattamento  ai  differenti  contesti  socio-economici,  dove  affermano,  con  "autorevolezza",  la  propria  competitività  coltivando  una fitta  rete  collusiva.
Tale  assunto  trova  conferma  in  diversi  provvedimenti  interdittivi  antimafia  nei  confronti  di  imprese,  aggiudicatarie  di  appalti  pubblici  in  Toscana,  ritenute  esposte  al  pericolo  di  infiltrazione  della  criminalità  organizzata  di tipo  calabrese. Appaiono  altrettanto  indicativi  gli  esiti  delle  inchieste  collegate  "Martingala"  e  "Vello  d'Oro"  della  DIA,  della Guardia  di  finanza  e  dei  Carabinieri,  che  confermano  l'operatività  di  sodalizi  criminali  dell'area  tirrenica  e  jonica  del  reggino,  finalizzata  al  riciclaggio  e  all'usura,  con  risvolti  giudiziari  che  delineano,  altresì,  la  capacità  di infiltrazione  nella  gestione  ed  esecuzione  di  appalti  pubblici  con modus  operandi  e  strategie  finalizzate  ali' elusione delle  restrizioni  connesse  alle  interdittive  antimafia. Nel  corso  della  prima  operazione  sono  state  sequestrate 51  imprese,  tra  le  quali  una  con  sede  legale  a  Pomarance  (PI),  beni  immobili  e  disponibilità  finanziarie  per  un valore  di  100  milioni  di  euro;  nella  seconda  sono  state  sequestrate  12  imprese  ed  altre  disponibilità  finanziarie per  un valore  pari  a  circa  20  milioni  di  euro. Nel  mese  di  maggio,  poi,  i  due  filoni  investigativi  collegati  "Pluribus"  e  "Amici  Nostri",  hanno  fatto  luce  su un'associazione  per  delinquere  dedita,  tra  l'altro,  all'intestazione  fittizia  di  beni,  al  riciclaggio,  all'usura,  all'estorsione,  al  favoreggiamento  dell'immigrazione  clandestina  e  ali' emissione  di fatture  false. Nel  corso  dell'operazione  sono  state  confiscate  e  commissariate  8  aziende,  con  sedi  a  Pistoia,  Buggiano  (PT)  e Montelupo Fiorentino  (FI).  Le  imprese  coinvolte  venivano  fraudolentemente  svuotate  delle  proprie  risorse  aziendali  attraverso  il  depauperamento  dell'attivo,  determinandone  l'insolvenza  ed,  in  alcuni  casi,  il  fallimento. Quanto  distratto  veniva  illecitamente  reimpiegato  o  riciclato  in nuove  realtà  imprenditoriali  che,  di  fatto,  subentravano  alle  imprese  fallite  o  insolventi  e  ne  proseguivano  l'attività,  anche  attraverso  "prestanome".  È  stata
accertata  un'attività  di usura  praticata  verso  soggetti,  che  venivano  poi sottoposti  ad  estorsione  per  la  restituzione delle  somme  prestate.  Oltre  ad  imprenditori  e  commercialisti  sono  risultati  coinvolti  anche numerosi  personaggi contigui  alla  criminalità  organizzata. Ancora  nel  mese  di  maggio,  nell'ambito  dell'operazione  "Vicerè",  la Guardia di finanza  ha eseguito  una  misura cautelare  nei  confronti  di  9  persone,  tra  cui  figurava  un  funzionario  pubblico  di  Livorno  ed  un  esponente  di rilievo  della  famiglia  piemontese  'ndranghetista  BELFIORE,  per  associazione  per  delinquere,  porto  abusivo  di esplosivi,  contrabbando,  nonché  per varie  operazioni  fiscali  illecite.  Il  sodalizio,  attivo  anche  nel contrabbando di  sigarette  e  nel  commercio  illegale  di  alcolici,  aveva  escogitato  un sistema  di false  compensazioni che  consentiva di  estinguere  i  debiti  con  l'Erario  pagando  meno  del  dovuto. È  del  successivo  mese  di  giugno,  invece,  la  confisca  di  beni,  per  un  valore  di  2  milioni  di  euro,  eseguita  dalla DIA  e  scaturita  da  una  proposta  del  Direttore,  nei  confronti  di  un  imprenditore  calabrese  da  molti  anni  attivo  a Firenze  nel  settore  della  ristorazione,  legato  alla  'ndrina  degli  areati  di  Reggio  Calabria. Si  ritiene,  da  ultimo,  che  elementi  contigui  alle  famiglie' ndranghetiste  possano  essere  in grado  di  inserirsi  con capitali  occulti  in  società  finanziarie,  per  pianificare  attività  che  richiedono  l'impiego  di  fondi  di  elevata  consistenza. Al  pari della 'ndrangheta,  anche  per  cosa  nostra  non si  rilevano  forme  di controllo  del territorio,  mentre  significativa rimane  la  capacità  di  infiltrazione  dei  ricchi  e  dinamici  settori  socio-economici  toscani. Significative  evidenze  di  analisi  e  importanti  riscontri  giudiziari  confermano,  infatti,  come  il  tessuto  produttivo della  regione  risulti  esposto  agli  investimenti  della  criminalità  siciliana,  sia  per  riciclare  che  per  reimpiegare  capitali  illeciti.
È  quanto  si  è  riscontrato  nell'indagine  conclusa,  nel  mese  di  marzo,  dall'Arma  dei  carabinieri,  che  ha  portato all'arresto  di  due  fratelli  palermitani  pregiudicati,  titolari  di  fatto  di  una  nota  pasticceria  del  centro  storico  di  Firenze,  gestita  attraverso  dei  prestanome.  L'indagine,  oltre  a  far  luce  su  una  complessa  organizzazione  dedita alla  coltivazione,  in Spagna,  di  piante  di  marijuana  per la successiva  importazione e  commercializzazione  in Italia, ha  disvelato  la  fittizia  intestazione  delle  quote  societarie  della  citata  pasticceria,  allo  scopo  di  nasconderne  la reale  proprietà  per  eludere  le  disposizioni  di  legge  in materia  di  prevenzione. Sempre in relazione  al  settore  degli  stupefacenti,  nel  semestre in esame è stato arrestato,  in provincia di  Livomo, un  cittadino  albanese  coinvolto  in  un'associazione  finalizzata  al  traffico  ed  allo  spaccio  di  cocaina  nel  territorio di  Gela  (CL).  Sintomatico  anche  l' arresto,  nell'aprile  del  2017,  in  provincia  di  Pistoia,  di  un  pluripregiudicato condannato  all'ergastolo  e  ricercato  dal  2016,  esponente  di  spicco  del  clan  CAPPELLO-BONACCORSI,  in particolare  della frangia  dei  cd.  Carateddi.  Ad  ulteriore  riprova  dell'espansione  e  del  radicamento  delle  attività  mafiose di  cosa  nostra  al  di  fuori  dei  territori  di  origine,  risulta  di rilievo  un'importante  e  strutturata  attività  di  indagine840 che  ha  interessato  decine  di  società  ed  aziende,  con sede,  sia  in Sicilia  che  in Toscana  ( ove  sono  state  sequestrate 6  aziende  in  provincia  di  Firenze,  5  in  quella  di  Prato,  2  a  Pisa,  1  a  Livorno  ed  1  in  quella  di  Pistoia),  Emilia  Romagna,  Lazio,  Liguria,  Puglia,  e  Veneto,  per un valore  complessivo  di circa  60  milioni  di euro.  riorganizzazione, riconducibile  al  mandamento  palermitano  di  BRANCACCIO,  gestiva  una  serie  di  attività  illecite,  i  cui  proventi erano  stati  impiegati  per creare  e  finanziare  il  predetto  gruppo  di  imprese,  attivo  prevalentemente nel  commercio di  imballaggi  industriali.
Aspetto  non  secondario  del!' interesse  e  del  radicamento  nel  territorio  toscano  di  personaggi  in  vario  modo  riconducibili  ai  sodalizi  mafiosi  siciliani  è  anche  l'acquisizione,  spesso  avvenuta con l'ausilio  di figure  professionali, di  fondi  e  tenute  agricole  di  pregio. Per  quanto  attiene  alla  camorra,  in  Toscana  si conferma  una  migrazione  di  soggetti  legati  a  clan campani,  trasferitisi,  anche  in  questo  caso,  per  reinvestire  capitali  illeciti. Si  tratta  spesso  di imprenditori  ai  quali  verrebbe  anche  affidato  il  compito  di  ospitare latitanti ed assistere  gli  affiliati in  Toscana,  garantendo  loro  un impiego fittizio.  Gli  stessi verrebbero,  peraltro,  impiegati  per sondare  la permeabilità di  imprese  locali,  specie  di  quelle  che  potrebbero  partecipare  a  gare  di  appalto  per conto  del  sodalizio. In  diverse  province,  quali  Grosseto,  Prato,  Pistoia,  Arezzo  e  Firenze  sono  stati  riscontrati  insediamenti  di personaggi  campani,  collegati  ai  sodalizi,  a  conferma  di  una  spiccata  capacità  delle  organizzazioni  camorristiche ad  operare  come  un  soggetto  economico  in  grado  di  acquisire  anche  posizioni  dominanti. In  particolare,  nella  città  di  Prato  si  registra  l'operatività  dei  clan ASCIONE  e  BIRRA-IACOMINO,  dediti  prevalentemente a  traffici  illeciti  di  materie  plastiche,  come  risulta  dagli  esiti  di  una  operazione conclusasi nel!' aprile 2017,  che  ha  visto  anche  la  complicità  di  organizzazioni  criminali  cinesi. Nello  stesso  anno,  ancora  a  Prato,  si  segnala  l'importante  sequestro  di  beni,  riconducibili  ad  un  affiliato  del clan  BIRRA-IACOMINO,  operato  dalla  DIA  di  Firenze,  per  un valore  di  circa  2  milioni  di  euro.
Nel  corso  del  semestre,  precisamente  nel  mese  di  marzo,  gli  esiti  giudiziari  dell'operazione  "Ghost  Tender" hanno confermato la  presenza sul  territorio  toscano  di  società  riconducibili  a  consorterie campane.  Nell'indagine sono  stati  coinvolti  imprenditori  contigui  ai  CASALESI  -gruppo  ZAGARIA- i  quali,  con la complicità  di  funzionari pubblici,  erano  riusciti  ad  aggiudicarsi  illecitamente,  l'esecuzione  di  oltre  50  commesse  appaltate  da  una  Asl campana.  Per  l'aggiudicazione  dei  servizi,  del  valore  di  svariati  milioni  di  euro,  venivano  utilizzate  società  con sede  in Toscana  e  Campania  che  praticavano "accordi  di  cartello"  per  aggiudicarsi  i  lavori.  Nello  specifico,  le  attività  illecite  avevano  ad  oggetto  lavori  dichiarati  di  somma  urgenza  e  banditi  per  importi  al  di  sotto  dei  valori di  soglia,  oltre  i  quali  sarebbe  stato  necessario  avviare  formale  gara  di  appalto.  In questo  modo,  l'invito  a  partecipare  veniva  sistematicamente  rivolto  ad  imprese,  riconducibili  al  sodalizio,  le  quali,  a  turno,  risultavano  aggiudicatarie  dei  lavori,  che  attestati  come  eseguiti,  di  fatto  non erano  mai  stati  effettuati.  Tra  gli  arrestati  figurano  4 imprenditori  casertani,  2  dei  quali  vivevano  in  Toscana,  uno  a  Lucca,  l'altro  a  Montecarlo  (LU),  mentre  tra  le aziende  coinvolte  figurano  società  con  sede  a  Lucca,  Altopascio  (LU),  Montecarlo  (LU)  e  Follonica  (GR). Quest'ultimo  Comune  il  13  aprile  scorso,  è  stato  teatro  di  un  gravissimo  fatto  di  sangue  perpetrato  a  colpi  di arma  da  fuoco,  per  futili  motivi,  da  un  soggetto  originario  del  casertano,  con  precedenti  per  minacce  e  lesioni, che  ha  causato  la  morte  di  una  persona  ed  il  ferimento  di  altre  due.  L'autore  del  delitto,  residente  a  Follonica,  è  figlio  di  un  pregiudicato che,  in  passato,  è  stato  coinvolto  in  due inchieste  che  hanno  riguardato  il  clan  MEZZERO,  vicino  alla  famiglia  SCHIAVONE.  Sebbene  l'episodio  non  sia direttamente  riconducibile  ad  aspetti  di  criminalità  organizzata,  è caratterizzato,  per  i  mezzi  e  le  modalità  usate nella  risoluzione  della  controversia,  dal  modus  operandi  tipico  degli  appartenenti  ad  associazioni  camorristiche. Sempre  nel  mese  di  aprile,  la  Corte  d'Appello  di  Firenze  ha  condannato  due  coniugi  campani,  albergatori  di Montecatini  Terme  (PT),  che  per  conto  del  clan  napoletano  dei  FORMICOLA,  avevano  eseguito  diverse  attività di  riciclaggio,  acquistando  alberghi  ed  altri  beni,  impiegati  per  la  gestione  di  quelle  attività. Passando  ai  gruppi  di  matrice  straniera,  il  "macro-fenomeno"  più  pervasivo  è  rappresentato  dalla  criminalità cinese,  che  assume  connotazioni  di  pericolosità  in  relazione,  innanzitutto,  all'impiego  e  allo  sfruttamento  di  manodopera clandestina,  al  contrabbando  di prodotti,  alla  contraffazione  di  marchi,  alla  sicurezza  dei  prodotti  e  alle violazioni  al  Made  in  Italy,  all'utilizzo  illecito  di  money  transfer,  nonché  al  riciclaggio  e  al  reimpiego  di  capitali. Un  fenomeno  insidioso  a  Firenze  ma  soprattutto  nell'area  di  Prato,  sede  quest'ultima  della  più  forte  realtà  produttiva  dei  migranti  cinesi  in Europa,  conseguente  alla  presenza  nel  territorio  di  rilevanti  distretti  tessili. Proprio  nei  confronti  di  un imprenditore  cinese  di  Prato,  già condannato per reati  di  natura fiscale,  per l'impiego di  manodopera  clandestina  e  per  commercio  di  merce  contraffatta,  la  DIA  di  Firenze  ha  eseguito  un  provvedimento  di  sequestro  di  beni  per  un  milione  di  euro,  emesso  dal  Tribunale  di  Prato,  su  proposta  del  Direttore della  DIA. Le  indagini economico-finanziarie  condotte  dalla DIA,  sul suo conto e  su  quello  dei suoi familiari,  hanno accertato l'esistenza,  nel  tempo,  di  un  tenore  di  vita  e  di  movimentazioni  di  capitali,  nonché  di  investimenti  immobiliari, sproporzionati rispetto  alle  capacità  reddituali  dichiarate  e,  quindi,  ritenuti  il  frutto  delle  citate  attività  illecite. In  tale  contesto  non sono mancati,  nel  tempo,  casi  di  connivenza tra  soggetti italiani e  cinesi.  Più  precisamente  si fa  riferimento  alle  condotte  illecite  realizzate  tra  ragionieri,  contabili  e  imprenditori  italiani  che  si  prestano  per assunzioni  fittizie  o  che  cedono  in affitto  capannoni  industriali  a  soggetti  cinesi  che  operano  nell'illegalità. In  proposito  è  da  rilevare  come  i  ricavi  di  molte  realtà  economiche  illegali  siano  sottratti  al  fisco  attraverso  i  collaudati  sistemi  delle  partite  Iva  "apri  e  chiudi"  e  del  ricorso  a  prestanome. La  criminalità  cinese  stanziale  in Toscana  ha  dimostrato,  inoltre,  una  spiccata capacità  anche  nella  gestione  e  nel controllo  del  traffico  delle  merci su  strada.  Una  evidenza confermata,  proprio nel  semestre,  dall'inchiesta "China truck"  conclusa  a  gennaio  dalla  Polizia  di  Stato  di  Firenze  e  Prato,  con  l'arresto  di  33  cittadini  cinesi.  L'associazione  aveva,  di  fatto,  acquisito  il  monopolio,  in tutta  Europa,  del  traffico  su  gomma  delle  merci  delle  aziende cinesi.  Una  egemonia nel campo  della logistica  che  veniva,  tra  l'altro,  alimentata con i  proventi  di  attività  criminali tipiche  della  malavita  cinese.
Ai  descritti  ambiti  criminali,  va  aggiunto,  sebbene  in  maniera  residuale,  lo  sfruttamento  della  prostituzione  e  il traffico  di  sostanze  stupefacenti,  in particolare  metanfetaminici  (tipo  Shaboo). La  Toscana  non  è  esente,  inoltre,  dalla  presenza  di gruppi  di  origine  albanese,  che  gestiscono  importanti  traffici di  cocaina  ed  eroina.  Lo  spaccio  sarebbe,  invece,  gestito  da  tunisini  (cocaina  ed  eroina)  e  marocchini  (hashish). La  criminalità  organizzata  albanese,  al  pari  di  quella  romena,  risulta  attiva  nei  furti  e  nello  sfruttamento  della prostituzione,  quest'ultimo,  realizzato  spesso,  con  la  complicità  di  organizzazioni  nigeriane,  anch'esse  presenti nel  territorio  toscano. Le  direttrici  dell'azione  degli  investigatori  e  degli  analisti,  infine,  non  fanno  escludere  la presenza  nella  regione di  criminali  provenienti  dai  Paesi  dell'ex  Unione  Sovietica, specie  ucraini,  moldavi  e  georgiani,  potenzialmente  attratti dal  dinamismo  economico  del territorio. Il  grafico  che  segue evidenzia  i  reati  sintomatici  di  criminalità  organizzata  registrati  in  Toscana  nel primo  semestre  del 2018:

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