Lo sviluppato tessuto socio -economico della Toscana rende la regione particolarmente appetibile per la criminalità organizzata. Le evidenze di analisi e le risultanze giudiziarie, infatti, danno conto di varie modalità di inquinamento dell' economia legale, funzionali sia al reinvestimento che al riciclaggio di capitali. Sotto questo profilo, le dinamiche delittuose che caratterizzano la regione appaiono indirizzate innanzitutto alla "gestione del mercato" degli affari, piuttosto che al "controllo del territorio", inteso quale area su cui radicare nuove propaggini mafiose. Risulta, pertanto, difficile mappare esattamente le zone geografiche su cui insistono le organizzazioni mafiose, potendosi, invece, meglio delineare i profili di una infiltrazione criminale "a macchia di leopardo", rappresentativa delle differenti tipologie di interessi illeciti coltivati sul territorio. L'elevata flessibilità organizzativa della criminalità organizzata e delle sue proiezioni operative in Toscana, sembra andare di pari passo con la spiccata capacità di utilizzare strumentalmente soggetti autoctoni e professionisti, operanti per lo più nel mondo dell'imprenditoria. In tale scenario, si registrano mire espansionistiche con connotazione tipica delle c.d. mafie "classiche" e si delineano, altresì, "nuove mafie", caratterizzate dalla forte presenza di comunità straniere, cinesi in particolare ma anche romene, albanesi e nordafricane che operano, con metodologia assimilabile a quella delle organizzazioni di stampo mafioso distintamente o in collaborazione con soggetti criminali di nazionalità italiana. Più precisamente e in riferimento alle organizzazioni criminali nazionali, nel corso del tempo è sensibilmente diminuita la presenza di gruppi mafiosi riconducibili a cosa nostra e di appartenenti alla sacra corona unita. Di contro, la camorra e la 'ndrangheta si confermano protagoniste di un consolidamento organizzativo, colmando, specie nel caso delle cosche calabresi, gli spazi lasciati vuoti dai gruppi siciliani. Nella regione, infatti, sebbene non si rilevino insediamenti strutturati di natura 'ndranghetista, si registra la presenza di soggetti collegati alle cosche crotonesi, reggine e della provincia di Cosenza. Nell'operare fuori area, i sodalizi di origine calabrese mostrano, infatti, una forte capacità di adattamento ai differenti contesti socio-economici, dove affermano, con "autorevolezza", la propria competitività coltivando una fitta rete collusiva.
Tale assunto trova conferma in diversi provvedimenti interdittivi antimafia nei confronti di imprese, aggiudicatarie di appalti pubblici in Toscana, ritenute esposte al pericolo di infiltrazione della criminalità organizzata di tipo calabrese. Appaiono altrettanto indicativi gli esiti delle inchieste collegate "Martingala" e "Vello d'Oro" della DIA, della Guardia di finanza e dei Carabinieri, che confermano l'operatività di sodalizi criminali dell'area tirrenica e jonica del reggino, finalizzata al riciclaggio e all'usura, con risvolti giudiziari che delineano, altresì, la capacità di infiltrazione nella gestione ed esecuzione di appalti pubblici con modus operandi e strategie finalizzate ali' elusione delle restrizioni connesse alle interdittive antimafia. Nel corso della prima operazione sono state sequestrate 51 imprese, tra le quali una con sede legale a Pomarance (PI), beni immobili e disponibilità finanziarie per un valore di 100 milioni di euro; nella seconda sono state sequestrate 12 imprese ed altre disponibilità finanziarie per un valore pari a circa 20 milioni di euro. Nel mese di maggio, poi, i due filoni investigativi collegati "Pluribus" e "Amici Nostri", hanno fatto luce su un'associazione per delinquere dedita, tra l'altro, all'intestazione fittizia di beni, al riciclaggio, all'usura, all'estorsione, al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e ali' emissione di fatture false. Nel corso dell'operazione sono state confiscate e commissariate 8 aziende, con sedi a Pistoia, Buggiano (PT) e Montelupo Fiorentino (FI). Le imprese coinvolte venivano fraudolentemente svuotate delle proprie risorse aziendali attraverso il depauperamento dell'attivo, determinandone l'insolvenza ed, in alcuni casi, il fallimento. Quanto distratto veniva illecitamente reimpiegato o riciclato in nuove realtà imprenditoriali che, di fatto, subentravano alle imprese fallite o insolventi e ne proseguivano l'attività, anche attraverso "prestanome". È stata
accertata un'attività di usura praticata verso soggetti, che venivano poi sottoposti ad estorsione per la restituzione delle somme prestate. Oltre ad imprenditori e commercialisti sono risultati coinvolti anche numerosi personaggi contigui alla criminalità organizzata. Ancora nel mese di maggio, nell'ambito dell'operazione "Vicerè", la Guardia di finanza ha eseguito una misura cautelare nei confronti di 9 persone, tra cui figurava un funzionario pubblico di Livorno ed un esponente di rilievo della famiglia piemontese 'ndranghetista BELFIORE, per associazione per delinquere, porto abusivo di esplosivi, contrabbando, nonché per varie operazioni fiscali illecite. Il sodalizio, attivo anche nel contrabbando di sigarette e nel commercio illegale di alcolici, aveva escogitato un sistema di false compensazioni che consentiva di estinguere i debiti con l'Erario pagando meno del dovuto. È del successivo mese di giugno, invece, la confisca di beni, per un valore di 2 milioni di euro, eseguita dalla DIA e scaturita da una proposta del Direttore, nei confronti di un imprenditore calabrese da molti anni attivo a Firenze nel settore della ristorazione, legato alla 'ndrina degli areati di Reggio Calabria. Si ritiene, da ultimo, che elementi contigui alle famiglie' ndranghetiste possano essere in grado di inserirsi con capitali occulti in società finanziarie, per pianificare attività che richiedono l'impiego di fondi di elevata consistenza. Al pari della 'ndrangheta, anche per cosa nostra non si rilevano forme di controllo del territorio, mentre significativa rimane la capacità di infiltrazione dei ricchi e dinamici settori socio-economici toscani. Significative evidenze di analisi e importanti riscontri giudiziari confermano, infatti, come il tessuto produttivo della regione risulti esposto agli investimenti della criminalità siciliana, sia per riciclare che per reimpiegare capitali illeciti.
È quanto si è riscontrato nell'indagine conclusa, nel mese di marzo, dall'Arma dei carabinieri, che ha portato all'arresto di due fratelli palermitani pregiudicati, titolari di fatto di una nota pasticceria del centro storico di Firenze, gestita attraverso dei prestanome. L'indagine, oltre a far luce su una complessa organizzazione dedita alla coltivazione, in Spagna, di piante di marijuana per la successiva importazione e commercializzazione in Italia, ha disvelato la fittizia intestazione delle quote societarie della citata pasticceria, allo scopo di nasconderne la reale proprietà per eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione. Sempre in relazione al settore degli stupefacenti, nel semestre in esame è stato arrestato, in provincia di Livomo, un cittadino albanese coinvolto in un'associazione finalizzata al traffico ed allo spaccio di cocaina nel territorio di Gela (CL). Sintomatico anche l' arresto, nell'aprile del 2017, in provincia di Pistoia, di un pluripregiudicato condannato all'ergastolo e ricercato dal 2016, esponente di spicco del clan CAPPELLO-BONACCORSI, in particolare della frangia dei cd. Carateddi. Ad ulteriore riprova dell'espansione e del radicamento delle attività mafiose di cosa nostra al di fuori dei territori di origine, risulta di rilievo un'importante e strutturata attività di indagine840 che ha interessato decine di società ed aziende, con sede, sia in Sicilia che in Toscana ( ove sono state sequestrate 6 aziende in provincia di Firenze, 5 in quella di Prato, 2 a Pisa, 1 a Livorno ed 1 in quella di Pistoia), Emilia Romagna, Lazio, Liguria, Puglia, e Veneto, per un valore complessivo di circa 60 milioni di euro. riorganizzazione, riconducibile al mandamento palermitano di BRANCACCIO, gestiva una serie di attività illecite, i cui proventi erano stati impiegati per creare e finanziare il predetto gruppo di imprese, attivo prevalentemente nel commercio di imballaggi industriali.
Aspetto non secondario del!' interesse e del radicamento nel territorio toscano di personaggi in vario modo riconducibili ai sodalizi mafiosi siciliani è anche l'acquisizione, spesso avvenuta con l'ausilio di figure professionali, di fondi e tenute agricole di pregio. Per quanto attiene alla camorra, in Toscana si conferma una migrazione di soggetti legati a clan campani, trasferitisi, anche in questo caso, per reinvestire capitali illeciti. Si tratta spesso di imprenditori ai quali verrebbe anche affidato il compito di ospitare latitanti ed assistere gli affiliati in Toscana, garantendo loro un impiego fittizio. Gli stessi verrebbero, peraltro, impiegati per sondare la permeabilità di imprese locali, specie di quelle che potrebbero partecipare a gare di appalto per conto del sodalizio. In diverse province, quali Grosseto, Prato, Pistoia, Arezzo e Firenze sono stati riscontrati insediamenti di personaggi campani, collegati ai sodalizi, a conferma di una spiccata capacità delle organizzazioni camorristiche ad operare come un soggetto economico in grado di acquisire anche posizioni dominanti. In particolare, nella città di Prato si registra l'operatività dei clan ASCIONE e BIRRA-IACOMINO, dediti prevalentemente a traffici illeciti di materie plastiche, come risulta dagli esiti di una operazione conclusasi nel!' aprile 2017, che ha visto anche la complicità di organizzazioni criminali cinesi. Nello stesso anno, ancora a Prato, si segnala l'importante sequestro di beni, riconducibili ad un affiliato del clan BIRRA-IACOMINO, operato dalla DIA di Firenze, per un valore di circa 2 milioni di euro.
Nel corso del semestre, precisamente nel mese di marzo, gli esiti giudiziari dell'operazione "Ghost Tender" hanno confermato la presenza sul territorio toscano di società riconducibili a consorterie campane. Nell'indagine sono stati coinvolti imprenditori contigui ai CASALESI -gruppo ZAGARIA- i quali, con la complicità di funzionari pubblici, erano riusciti ad aggiudicarsi illecitamente, l'esecuzione di oltre 50 commesse appaltate da una Asl campana. Per l'aggiudicazione dei servizi, del valore di svariati milioni di euro, venivano utilizzate società con sede in Toscana e Campania che praticavano "accordi di cartello" per aggiudicarsi i lavori. Nello specifico, le attività illecite avevano ad oggetto lavori dichiarati di somma urgenza e banditi per importi al di sotto dei valori di soglia, oltre i quali sarebbe stato necessario avviare formale gara di appalto. In questo modo, l'invito a partecipare veniva sistematicamente rivolto ad imprese, riconducibili al sodalizio, le quali, a turno, risultavano aggiudicatarie dei lavori, che attestati come eseguiti, di fatto non erano mai stati effettuati. Tra gli arrestati figurano 4 imprenditori casertani, 2 dei quali vivevano in Toscana, uno a Lucca, l'altro a Montecarlo (LU), mentre tra le aziende coinvolte figurano società con sede a Lucca, Altopascio (LU), Montecarlo (LU) e Follonica (GR). Quest'ultimo Comune il 13 aprile scorso, è stato teatro di un gravissimo fatto di sangue perpetrato a colpi di arma da fuoco, per futili motivi, da un soggetto originario del casertano, con precedenti per minacce e lesioni, che ha causato la morte di una persona ed il ferimento di altre due. L'autore del delitto, residente a Follonica, è figlio di un pregiudicato che, in passato, è stato coinvolto in due inchieste che hanno riguardato il clan MEZZERO, vicino alla famiglia SCHIAVONE. Sebbene l'episodio non sia direttamente riconducibile ad aspetti di criminalità organizzata, è caratterizzato, per i mezzi e le modalità usate nella risoluzione della controversia, dal modus operandi tipico degli appartenenti ad associazioni camorristiche. Sempre nel mese di aprile, la Corte d'Appello di Firenze ha condannato due coniugi campani, albergatori di Montecatini Terme (PT), che per conto del clan napoletano dei FORMICOLA, avevano eseguito diverse attività di riciclaggio, acquistando alberghi ed altri beni, impiegati per la gestione di quelle attività. Passando ai gruppi di matrice straniera, il "macro-fenomeno" più pervasivo è rappresentato dalla criminalità cinese, che assume connotazioni di pericolosità in relazione, innanzitutto, all'impiego e allo sfruttamento di manodopera clandestina, al contrabbando di prodotti, alla contraffazione di marchi, alla sicurezza dei prodotti e alle violazioni al Made in Italy, all'utilizzo illecito di money transfer, nonché al riciclaggio e al reimpiego di capitali. Un fenomeno insidioso a Firenze ma soprattutto nell'area di Prato, sede quest'ultima della più forte realtà produttiva dei migranti cinesi in Europa, conseguente alla presenza nel territorio di rilevanti distretti tessili. Proprio nei confronti di un imprenditore cinese di Prato, già condannato per reati di natura fiscale, per l'impiego di manodopera clandestina e per commercio di merce contraffatta, la DIA di Firenze ha eseguito un provvedimento di sequestro di beni per un milione di euro, emesso dal Tribunale di Prato, su proposta del Direttore della DIA. Le indagini economico-finanziarie condotte dalla DIA, sul suo conto e su quello dei suoi familiari, hanno accertato l'esistenza, nel tempo, di un tenore di vita e di movimentazioni di capitali, nonché di investimenti immobiliari, sproporzionati rispetto alle capacità reddituali dichiarate e, quindi, ritenuti il frutto delle citate attività illecite. In tale contesto non sono mancati, nel tempo, casi di connivenza tra soggetti italiani e cinesi. Più precisamente si fa riferimento alle condotte illecite realizzate tra ragionieri, contabili e imprenditori italiani che si prestano per assunzioni fittizie o che cedono in affitto capannoni industriali a soggetti cinesi che operano nell'illegalità. In proposito è da rilevare come i ricavi di molte realtà economiche illegali siano sottratti al fisco attraverso i collaudati sistemi delle partite Iva "apri e chiudi" e del ricorso a prestanome. La criminalità cinese stanziale in Toscana ha dimostrato, inoltre, una spiccata capacità anche nella gestione e nel controllo del traffico delle merci su strada. Una evidenza confermata, proprio nel semestre, dall'inchiesta "China truck" conclusa a gennaio dalla Polizia di Stato di Firenze e Prato, con l'arresto di 33 cittadini cinesi. L'associazione aveva, di fatto, acquisito il monopolio, in tutta Europa, del traffico su gomma delle merci delle aziende cinesi. Una egemonia nel campo della logistica che veniva, tra l'altro, alimentata con i proventi di attività criminali tipiche della malavita cinese.
Ai descritti ambiti criminali, va aggiunto, sebbene in maniera residuale, lo sfruttamento della prostituzione e il traffico di sostanze stupefacenti, in particolare metanfetaminici (tipo Shaboo). La Toscana non è esente, inoltre, dalla presenza di gruppi di origine albanese, che gestiscono importanti traffici di cocaina ed eroina. Lo spaccio sarebbe, invece, gestito da tunisini (cocaina ed eroina) e marocchini (hashish). La criminalità organizzata albanese, al pari di quella romena, risulta attiva nei furti e nello sfruttamento della prostituzione, quest'ultimo, realizzato spesso, con la complicità di organizzazioni nigeriane, anch'esse presenti nel territorio toscano. Le direttrici dell'azione degli investigatori e degli analisti, infine, non fanno escludere la presenza nella regione di criminali provenienti dai Paesi dell'ex Unione Sovietica, specie ucraini, moldavi e georgiani, potenzialmente attratti dal dinamismo economico del territorio. Il grafico che segue evidenzia i reati sintomatici di criminalità organizzata registrati in Toscana nel primo semestre del 2018:
Tale assunto trova conferma in diversi provvedimenti interdittivi antimafia nei confronti di imprese, aggiudicatarie di appalti pubblici in Toscana, ritenute esposte al pericolo di infiltrazione della criminalità organizzata di tipo calabrese. Appaiono altrettanto indicativi gli esiti delle inchieste collegate "Martingala" e "Vello d'Oro" della DIA, della Guardia di finanza e dei Carabinieri, che confermano l'operatività di sodalizi criminali dell'area tirrenica e jonica del reggino, finalizzata al riciclaggio e all'usura, con risvolti giudiziari che delineano, altresì, la capacità di infiltrazione nella gestione ed esecuzione di appalti pubblici con modus operandi e strategie finalizzate ali' elusione delle restrizioni connesse alle interdittive antimafia. Nel corso della prima operazione sono state sequestrate 51 imprese, tra le quali una con sede legale a Pomarance (PI), beni immobili e disponibilità finanziarie per un valore di 100 milioni di euro; nella seconda sono state sequestrate 12 imprese ed altre disponibilità finanziarie per un valore pari a circa 20 milioni di euro. Nel mese di maggio, poi, i due filoni investigativi collegati "Pluribus" e "Amici Nostri", hanno fatto luce su un'associazione per delinquere dedita, tra l'altro, all'intestazione fittizia di beni, al riciclaggio, all'usura, all'estorsione, al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e ali' emissione di fatture false. Nel corso dell'operazione sono state confiscate e commissariate 8 aziende, con sedi a Pistoia, Buggiano (PT) e Montelupo Fiorentino (FI). Le imprese coinvolte venivano fraudolentemente svuotate delle proprie risorse aziendali attraverso il depauperamento dell'attivo, determinandone l'insolvenza ed, in alcuni casi, il fallimento. Quanto distratto veniva illecitamente reimpiegato o riciclato in nuove realtà imprenditoriali che, di fatto, subentravano alle imprese fallite o insolventi e ne proseguivano l'attività, anche attraverso "prestanome". È stata
accertata un'attività di usura praticata verso soggetti, che venivano poi sottoposti ad estorsione per la restituzione delle somme prestate. Oltre ad imprenditori e commercialisti sono risultati coinvolti anche numerosi personaggi contigui alla criminalità organizzata. Ancora nel mese di maggio, nell'ambito dell'operazione "Vicerè", la Guardia di finanza ha eseguito una misura cautelare nei confronti di 9 persone, tra cui figurava un funzionario pubblico di Livorno ed un esponente di rilievo della famiglia piemontese 'ndranghetista BELFIORE, per associazione per delinquere, porto abusivo di esplosivi, contrabbando, nonché per varie operazioni fiscali illecite. Il sodalizio, attivo anche nel contrabbando di sigarette e nel commercio illegale di alcolici, aveva escogitato un sistema di false compensazioni che consentiva di estinguere i debiti con l'Erario pagando meno del dovuto. È del successivo mese di giugno, invece, la confisca di beni, per un valore di 2 milioni di euro, eseguita dalla DIA e scaturita da una proposta del Direttore, nei confronti di un imprenditore calabrese da molti anni attivo a Firenze nel settore della ristorazione, legato alla 'ndrina degli areati di Reggio Calabria. Si ritiene, da ultimo, che elementi contigui alle famiglie' ndranghetiste possano essere in grado di inserirsi con capitali occulti in società finanziarie, per pianificare attività che richiedono l'impiego di fondi di elevata consistenza. Al pari della 'ndrangheta, anche per cosa nostra non si rilevano forme di controllo del territorio, mentre significativa rimane la capacità di infiltrazione dei ricchi e dinamici settori socio-economici toscani. Significative evidenze di analisi e importanti riscontri giudiziari confermano, infatti, come il tessuto produttivo della regione risulti esposto agli investimenti della criminalità siciliana, sia per riciclare che per reimpiegare capitali illeciti.
È quanto si è riscontrato nell'indagine conclusa, nel mese di marzo, dall'Arma dei carabinieri, che ha portato all'arresto di due fratelli palermitani pregiudicati, titolari di fatto di una nota pasticceria del centro storico di Firenze, gestita attraverso dei prestanome. L'indagine, oltre a far luce su una complessa organizzazione dedita alla coltivazione, in Spagna, di piante di marijuana per la successiva importazione e commercializzazione in Italia, ha disvelato la fittizia intestazione delle quote societarie della citata pasticceria, allo scopo di nasconderne la reale proprietà per eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione. Sempre in relazione al settore degli stupefacenti, nel semestre in esame è stato arrestato, in provincia di Livomo, un cittadino albanese coinvolto in un'associazione finalizzata al traffico ed allo spaccio di cocaina nel territorio di Gela (CL). Sintomatico anche l' arresto, nell'aprile del 2017, in provincia di Pistoia, di un pluripregiudicato condannato all'ergastolo e ricercato dal 2016, esponente di spicco del clan CAPPELLO-BONACCORSI, in particolare della frangia dei cd. Carateddi. Ad ulteriore riprova dell'espansione e del radicamento delle attività mafiose di cosa nostra al di fuori dei territori di origine, risulta di rilievo un'importante e strutturata attività di indagine840 che ha interessato decine di società ed aziende, con sede, sia in Sicilia che in Toscana ( ove sono state sequestrate 6 aziende in provincia di Firenze, 5 in quella di Prato, 2 a Pisa, 1 a Livorno ed 1 in quella di Pistoia), Emilia Romagna, Lazio, Liguria, Puglia, e Veneto, per un valore complessivo di circa 60 milioni di euro. riorganizzazione, riconducibile al mandamento palermitano di BRANCACCIO, gestiva una serie di attività illecite, i cui proventi erano stati impiegati per creare e finanziare il predetto gruppo di imprese, attivo prevalentemente nel commercio di imballaggi industriali.
Aspetto non secondario del!' interesse e del radicamento nel territorio toscano di personaggi in vario modo riconducibili ai sodalizi mafiosi siciliani è anche l'acquisizione, spesso avvenuta con l'ausilio di figure professionali, di fondi e tenute agricole di pregio. Per quanto attiene alla camorra, in Toscana si conferma una migrazione di soggetti legati a clan campani, trasferitisi, anche in questo caso, per reinvestire capitali illeciti. Si tratta spesso di imprenditori ai quali verrebbe anche affidato il compito di ospitare latitanti ed assistere gli affiliati in Toscana, garantendo loro un impiego fittizio. Gli stessi verrebbero, peraltro, impiegati per sondare la permeabilità di imprese locali, specie di quelle che potrebbero partecipare a gare di appalto per conto del sodalizio. In diverse province, quali Grosseto, Prato, Pistoia, Arezzo e Firenze sono stati riscontrati insediamenti di personaggi campani, collegati ai sodalizi, a conferma di una spiccata capacità delle organizzazioni camorristiche ad operare come un soggetto economico in grado di acquisire anche posizioni dominanti. In particolare, nella città di Prato si registra l'operatività dei clan ASCIONE e BIRRA-IACOMINO, dediti prevalentemente a traffici illeciti di materie plastiche, come risulta dagli esiti di una operazione conclusasi nel!' aprile 2017, che ha visto anche la complicità di organizzazioni criminali cinesi. Nello stesso anno, ancora a Prato, si segnala l'importante sequestro di beni, riconducibili ad un affiliato del clan BIRRA-IACOMINO, operato dalla DIA di Firenze, per un valore di circa 2 milioni di euro.
Nel corso del semestre, precisamente nel mese di marzo, gli esiti giudiziari dell'operazione "Ghost Tender" hanno confermato la presenza sul territorio toscano di società riconducibili a consorterie campane. Nell'indagine sono stati coinvolti imprenditori contigui ai CASALESI -gruppo ZAGARIA- i quali, con la complicità di funzionari pubblici, erano riusciti ad aggiudicarsi illecitamente, l'esecuzione di oltre 50 commesse appaltate da una Asl campana. Per l'aggiudicazione dei servizi, del valore di svariati milioni di euro, venivano utilizzate società con sede in Toscana e Campania che praticavano "accordi di cartello" per aggiudicarsi i lavori. Nello specifico, le attività illecite avevano ad oggetto lavori dichiarati di somma urgenza e banditi per importi al di sotto dei valori di soglia, oltre i quali sarebbe stato necessario avviare formale gara di appalto. In questo modo, l'invito a partecipare veniva sistematicamente rivolto ad imprese, riconducibili al sodalizio, le quali, a turno, risultavano aggiudicatarie dei lavori, che attestati come eseguiti, di fatto non erano mai stati effettuati. Tra gli arrestati figurano 4 imprenditori casertani, 2 dei quali vivevano in Toscana, uno a Lucca, l'altro a Montecarlo (LU), mentre tra le aziende coinvolte figurano società con sede a Lucca, Altopascio (LU), Montecarlo (LU) e Follonica (GR). Quest'ultimo Comune il 13 aprile scorso, è stato teatro di un gravissimo fatto di sangue perpetrato a colpi di arma da fuoco, per futili motivi, da un soggetto originario del casertano, con precedenti per minacce e lesioni, che ha causato la morte di una persona ed il ferimento di altre due. L'autore del delitto, residente a Follonica, è figlio di un pregiudicato che, in passato, è stato coinvolto in due inchieste che hanno riguardato il clan MEZZERO, vicino alla famiglia SCHIAVONE. Sebbene l'episodio non sia direttamente riconducibile ad aspetti di criminalità organizzata, è caratterizzato, per i mezzi e le modalità usate nella risoluzione della controversia, dal modus operandi tipico degli appartenenti ad associazioni camorristiche. Sempre nel mese di aprile, la Corte d'Appello di Firenze ha condannato due coniugi campani, albergatori di Montecatini Terme (PT), che per conto del clan napoletano dei FORMICOLA, avevano eseguito diverse attività di riciclaggio, acquistando alberghi ed altri beni, impiegati per la gestione di quelle attività. Passando ai gruppi di matrice straniera, il "macro-fenomeno" più pervasivo è rappresentato dalla criminalità cinese, che assume connotazioni di pericolosità in relazione, innanzitutto, all'impiego e allo sfruttamento di manodopera clandestina, al contrabbando di prodotti, alla contraffazione di marchi, alla sicurezza dei prodotti e alle violazioni al Made in Italy, all'utilizzo illecito di money transfer, nonché al riciclaggio e al reimpiego di capitali. Un fenomeno insidioso a Firenze ma soprattutto nell'area di Prato, sede quest'ultima della più forte realtà produttiva dei migranti cinesi in Europa, conseguente alla presenza nel territorio di rilevanti distretti tessili. Proprio nei confronti di un imprenditore cinese di Prato, già condannato per reati di natura fiscale, per l'impiego di manodopera clandestina e per commercio di merce contraffatta, la DIA di Firenze ha eseguito un provvedimento di sequestro di beni per un milione di euro, emesso dal Tribunale di Prato, su proposta del Direttore della DIA. Le indagini economico-finanziarie condotte dalla DIA, sul suo conto e su quello dei suoi familiari, hanno accertato l'esistenza, nel tempo, di un tenore di vita e di movimentazioni di capitali, nonché di investimenti immobiliari, sproporzionati rispetto alle capacità reddituali dichiarate e, quindi, ritenuti il frutto delle citate attività illecite. In tale contesto non sono mancati, nel tempo, casi di connivenza tra soggetti italiani e cinesi. Più precisamente si fa riferimento alle condotte illecite realizzate tra ragionieri, contabili e imprenditori italiani che si prestano per assunzioni fittizie o che cedono in affitto capannoni industriali a soggetti cinesi che operano nell'illegalità. In proposito è da rilevare come i ricavi di molte realtà economiche illegali siano sottratti al fisco attraverso i collaudati sistemi delle partite Iva "apri e chiudi" e del ricorso a prestanome. La criminalità cinese stanziale in Toscana ha dimostrato, inoltre, una spiccata capacità anche nella gestione e nel controllo del traffico delle merci su strada. Una evidenza confermata, proprio nel semestre, dall'inchiesta "China truck" conclusa a gennaio dalla Polizia di Stato di Firenze e Prato, con l'arresto di 33 cittadini cinesi. L'associazione aveva, di fatto, acquisito il monopolio, in tutta Europa, del traffico su gomma delle merci delle aziende cinesi. Una egemonia nel campo della logistica che veniva, tra l'altro, alimentata con i proventi di attività criminali tipiche della malavita cinese.
Ai descritti ambiti criminali, va aggiunto, sebbene in maniera residuale, lo sfruttamento della prostituzione e il traffico di sostanze stupefacenti, in particolare metanfetaminici (tipo Shaboo). La Toscana non è esente, inoltre, dalla presenza di gruppi di origine albanese, che gestiscono importanti traffici di cocaina ed eroina. Lo spaccio sarebbe, invece, gestito da tunisini (cocaina ed eroina) e marocchini (hashish). La criminalità organizzata albanese, al pari di quella romena, risulta attiva nei furti e nello sfruttamento della prostituzione, quest'ultimo, realizzato spesso, con la complicità di organizzazioni nigeriane, anch'esse presenti nel territorio toscano. Le direttrici dell'azione degli investigatori e degli analisti, infine, non fanno escludere la presenza nella regione di criminali provenienti dai Paesi dell'ex Unione Sovietica, specie ucraini, moldavi e georgiani, potenzialmente attratti dal dinamismo economico del territorio. Il grafico che segue evidenzia i reati sintomatici di criminalità organizzata registrati in Toscana nel primo semestre del 2018: